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I concorsi pittorici non servono a niente o quasi


I concorsi pittorici sono gare in cui si cimentano i pittori (appunto) per decidere chi ha fatto meglio rispetto ad un tema proposto.
Possono sostanzialmente declinarsi in due modi principali:
-Estemporanea di pittura
-Esposizione quadri da studio.

La graduatoria, che solitamente non si estende oltre il numero dei premi in palio, viene redatta da una o più giurie con varie metodologie.
Alla fine delle opere vengono premiate in graduatoria assieme al loro autore.

I problemi de i concorsi pittorici

Ci sono varie problematiche legate ai concorsi pittorici, ma sostanzialmente, questi non dicono nulla sulla qualità dell’opera vincitrice ne sulle qualità del pittore vincitore.
Non ci dicono la verità, nonostante tutte le accortezze del regolamento atte ad evitarlo.
E non è che questo succeda alcune volte solamente.
Questo accade sempre.
Non riusciamo mai a sapere se l’opera premiata lo meritava.
Il problema nasce dalle regole implementate, dalla composizione della giuria e dalla natura delle manifestazioni stesse.

Analizziamo i problemi de i concorsi pittorici

– Regole

Le regole ed il tema servono a limitare la libertà di espressione dell’artista, che se viene censurato o si autocensura non da libero sfogo al suo pensiero, non è più artista, diventa artigiano, mestierante, lacchè. Senza offesa per queste categorie di lavoratori dipendenti, l’artista deve fare ciò che vuole, ciò che si sente.

– Giuria

Come può una giuria giudicare il lavoro di un artista dal prodotto di poche ore di lavoro, come può classificarlo se non lo conosce, ponderarlo e dargli un valore rispetto all’altro artista? Un artista potrebbe essere giudicato solo rispetto a se stesso. Ma la giuria non sa quasi mai nulla di lui e non valuta quell’opera rispetto alle altre sue, quindi il suo giudizio non sarà mai oggettivo e essendo soggettivo non può essere usato per una classifica rispetto ad altri.

La giuria non serve a nulla, è inutile. Ma senza giuria non si può redigere la classifica, allora la classifica è inutile anch’essa.

– Manifestazioni

Le manifestazioni pittoriche sono utili per ritrovarsi assieme ad altri pittori, per dipingere assieme, per discutere assieme, per vedere cosa fanno i colleghi, ma queste manifestazioni non possono determinare il valore assoluto comparativo dei partecipanti. Quindi gli incontri sono utilissimi ma la classifica è falsa ed inutile.

Conclusione l’arte non può essere competizione non potendo classificare il valore dell’arte tanto vale non fare i concorsi.
Non ha senso giudicare un artista per quello che fa in estemporanea, in poco tempo e probabilmente neppure quello che fa in studio confrontandolo con quello che hanno fatto altri.
Non ha neppure senso seguire un tema dato.

Perciò non ha neppure senso partecipare a concorsi del genere in generale.

Giancarlo

immagine di copertina

Giancarlo Arrigucci – Bozzetto per Doodle – 2021 – Acquerello su carta – 29×21 cm

Il divano rosso

Il divano rosso era li, in mezzo alla stanza, indifferente.

Il rosso non era sgargiante, ne volgare, era rosso, sì, ma poteva essere anche di un altro colore.

L’uomo attraversò la stanza con passi lenti ma decisi, guardando innanzi a se, preso nei suoi pensieri, quasi sognante. Quasi inciampò nel divano rosso, si ravvide appena in tempo e lo scansò, ma senza distogliere lo sguardo dalla parete opposta, a cui continuò ad avvicinarsi.
Dopo averlo superato l’uomo si fermò a circa metà strada dalla parete per un tempo che sembrava non finire mai. I movimenti, quasi impercettibili, della sua bocca lo facevano apparire, a chi in quel momento gli fosse stato vicino per guardarlo, ora sorridente, ora angosciato. Come se il suo umore variasse al movimento dei suoi occhi, movimento molto più ampio ma meno frequente di quello della bocca.

Ma insomma

Quasi ansimava come un pesce fuor d’acqua che si avvicinò ancora e più si avvicinava più appariva meravigliato, estasiato, beato.
Quasi inebetito dalla vicinanza con quella parete anonima che, in apparenza non aveva nulla di strano, nulla di diverso dalle altre della sala con al centro il divano rosso.
D’improvviso accelerò, quasi fino a sbattere sul muro, ma senza farlo.
Era così vicino che poteva vedere ogni particolare, ogni forma, ogni segno.
Avrebbe voluto toccare quella superficie ma non lo fece, indietreggiò invece. A più riprese.
Deglutì alcune volte, sentiva la gola secca ardere, se avesse avuto dell’acqua avrebbe bevuto in maniera indecorosa, rumorosamente a garganella. Sembrava sudato, forse lo era, certamente non stava più bene come quando si era avvicinato alla parete. Forse adesso era preso da tachicardia, il suo cure batteva e batteva e batteva, forte, sempre più forte.
Si sentì svenire, come stesse cadendo; cadde.

Fortuna che c’erra il divano rosso

Cadde sul divano rosso, che nel frattempo gli era sopraggiunto ai polpacci.

Quel signore ero io.

In una sala del MART di Rovereto ammirando “La sera romagnola” di Ubaldo Oppi.

E le gambe mi mancarono come a Stendhal.

Giancarlo

PS
In copertina

Due figure mitologiche Giorgio De Chirico 1927

Corciano

Corciano , secondo un’antica leggenda, è sorta per opera di Coragino, mitico compagno dell’eroe greco Ulisse.

Le tracce più antiche della presenza dell’uomo risalgono al Neolitico.

Si tratta di alcuni frammenti di utensili su lama di selce e vari frammenti di vasi in impasto non tornito.

La scoperta di due vasi cinerari (conservati nell’Antiquarium del palazzo Comunale) segnalano la presenza umana in un periodo compreso tra il IX e l’VIII secolo a.C.

Tra il III e il I secolo a.C. si formarono numerosi nuclei abitati dediti prevalentemente all’attività agricola e a quella artigianale.

Probabilmente in relazione alla crescente richiesta di travertino. Utilizzato per la produzione di urne, cippi funerari, ma soprattutto per la costruzione della città urbana di Perugia.

Corciano e Braccio da Montone

Tra il 1415 e il 1416 il Capitano di ventura Braccio da Montone, espulso da Bologna, con le sue truppe si dirige in Umbria seminando distruzione e morte.

Tenta di conquistare Corciano, ma la cittadina si difende valorosamente e mette in fuga le truppe di Braccio. I Magistrati perugini, come compenso per l’eroica difesa, esentarono Corciano da ogni tassa per cinque anni.

Ma Braccio non si ferma: dopo aver conquistato 120 castelli nel territorio perugino, torna a Corciano che, non potendo sopportare un nuovo assedio, gli apre spontaneamente le porte.

Nel XIV secolo Corciano passò, come quasi tutta l’Umbria, nell’orbita dello Stato della Chiesa e divenne feudo dei Duchi della Corgna.
Essi avevano la loro residenza nell’attuale palazzo Comunale.

Nel 1809 l’esercito napoleonico stabilì a Perugia il Governo imperiale e Corciano venne eretta a Mairie.

Il 9 novembre 1860 viene pubblicato il plebiscito per l’annessione della Provincia di Perugia al Regno d’Italia: 97.000 voti favorevoli e 386 contrari.

Detto questo domenica 29 Agosto hanno fatto un’estemporanea a Corciano a cui ho partecipato.

Non ho vinto nulla ma mi son divertito.
Eccovi i quadri realizzati da me e glia altri partecipanti.

Se cliccate sopra ad un’immagine la potrete ingrandire o scaricare.


Giancarlo

Altro su Corciano nel Blog di Bucine

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Cosa sbagliano le giurie dei concorsi di pittura

Cosa sbagliano le giurie?
Prima conviene premettere che il loro responso è sempre insindacabile, quindi non ci si può far niente, sono come il Papa, infallibili per concessione divina.
Ma io non intendevo, ne intendo, ne tanto meno intenderò in futuro sindacare il loro responso, il loro giudizio, la loro classifica. Anche se io non sarò inserito in quella lista d’eccellenza, accetterò il misero destino che sono andato cercandomi e non criticherò.

Non che non ci sia da criticare, nevvero? Ma non importa non è la posizione in classifica che ti fa fare un bel quadro o meno, casomai non ti rimborsa le spese del viaggio, della mensa, dei materiali, ma chissenefrega.

Si vive una volta sola e si dipinge per sempre. Prima o poi sarò ben giudicato… o forse non lo sarò mai… mah!

Ma anche se nulla si può eccepire sul risultato, lo si può sul metodo, sul comportamento, sulle motivazioni. Per me è tuttora un mistero come giurie così malmesse riescano pur sempre a compilare un’ineccepibile lista dei più bei quadri. Collegata, incredibilmente, ad una lista parallela dei più bravi pittori, almeno i più bravi del concorso giudicato certamente.

Cosa sbagliano

Beh non è che sbaglino sempre, non è che sbaglino tutto, ma sbagliano.
Okkey, okkey ora ve lo dico, lo so che ho tirato anche troppo la corda, ma non posso fare l’articolo in dieci parole, lo devo strutturare, almeno un po.
Devo creare un minimo di suspense, devo darvi modo di indovinarlo da soli…
Aha! Cci siete arrivati? Bene allora posso dirvelo anch’io.

– Sbagliano a giustificarsi affermando che c’erano tante opere meritevoli ed è stato difficile decidere”.

– Sbagliano a giustificarsi spiegando i meccanismi, perversi, usati per definire la insindacabile lista.

– Poi sbagliano a giustificarsi per la loro incompetenza o a ribadire la loro competenza specifica.

– Infine, ma non meno importante sbagliano a motivare.

Magari motivare un giudizio non è sbagliato in se ma è quasi sempre sbagliata la motivazione.

Il buon Pistoni mi disse” Se non sai una cosa non ne parlare, se ti chiedono di quel che non sai di che non lo sai, che ti informi e poi rispondi, ma non aprire la bocca come un ciuco che raglia”.

La motivazione non è una bella prosa.
Non deve piacere, ma essere colta e veritiera.

Per essere ineccepibile e concreta.
Meglio se non la dicono, credetemi.

Ci vuole coraggio

Vorrei una giuria che pur negandomi il premio dicesse apertamente che:

La loro lista rispecchia i quadri più belli e/o i migliori tecnicamente.

E’ stato arduo fare la graduatoria, ma solo perché non c’erano abbastanza opere degne di essere premiate.

Ci aspettano il prossimo anno, ma solo se avremmo migliorato sostanzialmente le nostre capacità pittoriche.

Non esprimano giudizi e motivazioni sui premiati.

Ecco una giuria infallibile, insindacabile e credibile.

Giancarlo

I volti del mio paese

I volti del mio paese non è un’estemporanea, è una competizione pittorica a tema.
Il tema sono i volti del mio paese, riferito a Monteverdi Marittimo e le sue frazioni, Canneto ecc.

Non è un’estemporanea.

I quadri si fanno con comodo a casa (o in studio per i più professionali). Abbiamo circa un mese di tempo; ci forniscono le foto degli abitanti del paese, tra cui scegliere chi si vuol ritrarre e, se non l’ha già scelto qualcun altro, si parte a dipingere.

Come si vuole, dove si vuole, quando si vuole… ma che vogliamo di più.

Naturalmente se il soggetto, in un primo tempo prescelto, se lo è aggiudicato un altro se ne sceglie un secondo. Se siamo sfortunati che anche quello è già sotto il pennello di un altro, si va per un terzo.

Insomma se siamo più pittori che abitanti non se ne fa nulla, altrimenti ci si imbarca all’avventura.

E allora via alla pittura de i volti del mio paese

Beh del volto, e quanti ne vogliamo fare? Già farne uno è complicato e difficile.

Anzi non è complicato, è un ritratto, ma è difficile perché non si conosce il personaggio, non si sa nulla di lui tranne la foto e il nome proprio.
Io ho scelto Francesco, un bel signore allegro. Non ride ma si vede che è allegro e sicuramente sarà anche simpatico. Peccato non averlo incontrato e conosciuto in occasione della premiazione, ci ho passato tante ore assieme, che ormai ci stavo bene. Sarà per la prossima volta.

Per quest’anno mi devo accontentare di aver conosciuto Stefano, colui che ho ritratto nel 2019, durante l’ultima edizione della manifestazione prima di questa e che allora non avevo conosciuto.

Ed ora bando alle ciance vi faccio vedere cosa hanno realizzato i miei concorrenti, ed anch’io naturalmente:

E’ un peccato che tutti questi ritratti vadano dispersi e solo i premiati restino.
Tra qualche hanno sarebbero un prezioso documento storico.

Va beh, cosi è la vita.
Giancarlo

P. S. cliccate su una foto per ingrandirla o scaricarla.

Silvia

Silvia Carizia è una pittrice, una pittrice di Città di Castello (Perugia).

La conosco da tanto tempo e l’ho vista dipingere sempre, sempre bene, sempre originale; l’ho sempre ammirata per questo.

A Città di Castello ha organizzato una mostra che ho visitato.
Direi che si tratta di una retrospettiva, non so quanto vada addietro nel tempo ma mostra un percorso, l’evoluzione del suo dipingere.

Vi metto le foto dei quadri esposti, ma le opere esposte sono molto più belle viste dal vivo.
D’altronde la giornata non era delle migliori per fotografare e le luci interne non tanto forti da farmi fotografare al meglio.
Ma vi garantisco che i colori, la loro combinazione, le forme e le strutture che il pennello modella sul quadro sono meravigliosi.

La prima parte delle opere esposte:

La mostra di Silvia Carizia prosegue:

Altre opere

Le nature morte e le Madonne dipinte da Silvia

Ora la parte onirica


Silvia insomma ci sa fare, d’altronde quando la pittura viene dal cuore, non possiamo aspettarci di meno.
La mostra è in Corso Vittorio Emanuele a Città di Castello e rimarrà aperta per quindici giorni.
Se potete fate una visita.

Io alla fine

Io, alla fine del percorso, mi sono preso un ricordo, un piccolo regalo per la mia collezione personale.

Bella mostra, in una bella città, assolutamente da vedere:
Assolutamente da non perdere.
Giancarlo

Guardare un’opera d’arte

Guardare un’opera non è difficile, ci mettiamo davanti ad un dipinto, alla giusta distanza, e lo ammiriamo. Nel caso di una statua dovremo scegliere anche la posizione attorno o, meglio, cambiarla più volte. Quindi osserviamo quello che c’è e quello che non c’è. Cambiamo più volte anche la distanza dall’opera, almeno passiamo da più lontano a più vicino. Il gioco è fatto: secondo quello che ci avrà trasmesso, piacere o dispiacere, sapremo se l’opera è un’opera d’arte o meno.

In realtà non voglio insegnarvi a guardare un’opera d’arte.

Voglio insegnarvi a valutare se l’opera è arte. Per voi, certo, ma se non lo è per voi non ha senso dedicargli altro tempo, almeno non subito. Magari in futuro la situazione potrebbe cambiare, ma questo è un altro discorso.

E’ noto che un’opera d’arte si guarda con gli occhi, con il cuore e con la testa.
Voi limitatevi a guardarla con gli occhi, se volete anche con il cuore. Per osservarla con la testa bisogna conoscere tante cose: Storia dell’arte, dell’artista, del movimento artistico oltre alla situazione politico-economica e sociale del periodo in cui è stata fatta. Ma osservarla con la testa non è veramente necessario, ci può far cambiare idea come ho detto poc’anzi ma se vi sarà piaciuta con gli occhi e con il cuore lo sarà sicuramente anche con la testa.

Certo c’è il rischio che un’opera che vi piace non sia considerata arte dagli esperti, ma resta il fatto che a voi ha dato piacere e tanto deve bastare.

Lo so, mi direte che l’arte deve anche dire qualcosa, avere un messaggio, ma se di arte si tratta quei messaggi li capirete comunque, senza bisogno che voi sappiate di più di quel che vedete.

Non era forse questo il compito dei dipinti, delle pale e degli affreschi nelle chiese? Spiegare il vangelo a poveri analfabeti. Tutti potevano leggerli senza che ci fosse scritto nulla.

Bene.

Se vi chiedono un giudizio su un quadro non scusatevi dicendo che non ve ne intendete. Osservatelo dalla distanza che vi permette di vederlo nell’insieme e da vicino per capire l’autore e la sua tecnica, per osservare i dettagli.

Esprimete un giudizio estetico o sentimentale.
Così si guarda un opera d’arte.

Se poi volete saperne di più e conoscere tutti i retroscena dovete studiare o, ahimè, fidarvi di Sgarbi.

Giancarlo

P.S.

Quello appena letto è un corso per “Dummies”, cioè per principianti.
Seguendolo rischiate che vi piaccia una riproduzione dozzinale de “Il Bevitore” di Teomondo Scrofalo senza sapere nulla del “Bevitore” di Giuseppe de Curtis o ignorando completamente “Il bevitore” di Paul Cézanne.
Ma si sa, senza sforzo nulla viene.

Scriptici

Ho un amico pittore che…

scripta. Cioè crea degli scriptici.

Lo scriptico è un quadretto in cui è rappresentata una scritta ironica argutamente celata tra i segni pittorici e di disegno. L’aspetto è più o meno quello di un quadro astratto ma il titolo del quadro è celato nello stesso, la scritta ironica.

Il pittore si chiama Max Oddone, Max è un mito, è figlio d’arte (il padre è un ottimo pittore vincitore di molte estemporanee) fin da giovane mostra la predilezione per il lato ironico dell’arte, per esempio fonda la F.I.G.A. Federazione Italiana Giovani Artisti ed altre amenità del genere.

Le sue opere sono minimali dipinge su tutte le superfici, realizza collages o assemblaggi di legno ed altro materiale, spesso materiale povero e di recupero: spazzatura, come i suoi quadri.
Ma Max è un genio e i geni sbocciano, come le rose.
Tra l’altro i suoi segni, le sue pennellate, tutto quello che fa, hanno solide basi tecniche e si vede.
Comunque la sua evoluzione raggiunge il suo apice nella serie dei nuovi mondi ed in quella degli scriptici.

Galleria di “Nuovi mondi di Max Oddone”.

Belli vero? Però il meglio è nell’altra serie.

Gli scriptici

Veri e propri enigmi ed io mi diverto a risolverli, ma non è facile.

ho provato

riprovato

e risolto

Di seguito altre serie di scriptici e di soluzioni.

Ancora:

Ancora una bellina e poi basta:

Piaciuto?

Giancarlo

Immagine di copertina: Max Oddone mostra personale improvvisata (di opere della serie nuovi mondi) in un pagliaio in mezzo ad un campo di grano appena raccolto, sperduto nella campagna.

Arte povera

Arte povera

Arte povera o… povera arte?

Povera arte direi… perché l’arte è sempre stata povera e l’artista pure. Poi, dopo qualche anno, il commercio dell’arte può farla diventare ricca, ancor di più se in quel che si commercia l’arte non c’è. Basta che qualcuno, esperto, suggerisca il contrario e le quotazioni volano alte… alte, alte, alte. Vedi tanti “artisti” che altro non sono che “oggettisti” (La “ Fontana” o l’orinatoio di Duchamp), o “installatori” (come i 99 lupi di Cai Guo Qiang al museo d’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato) o “tipografi” (La Marylin Monroe o i barattoli di pomodoro Campbell di Andy Warol) senza arte ne parte.

Beh la parte la fanno tutti questi ed anche quelli che non ho menzionato, la parte di Mida, trasformare in oro tutta la merda che toccano.

Ma non è arte; è solo commercio, promozione e studio delle esigenze di mercato, fortuna.
D’altronde cosa c’è di meglio che creare il nulla e farselo pagare a peso d’oro? Specialmente se non ci vuole un grande impegno e, men che meno conoscenza a realizzarle, ma “solamente” un’idea originale; magari dissacrante (l’orinatoio che diventa fontana). Il sogno alchemico, la scoperta della trasmutazione che diviene realtà.

Anche se per completezza d’informazione ed onestà intellettuale, dovrei dirvi che Duchamp era un DADA, insomma uno che non credeva nell’arte o nella fattibilità dell’arte. Tutta l’arte che sto cercando ferocemente di criticare è realmente dada.

E allora l’arte povera?

E allora, e allora, forse ci sono certo artisti bravi, che fanno cose belle e originali partendo dai fondamenti, conoscendo quello che è stato fatto prima, sapendolo fare, ma, se ci sono, hanno successo?

Non so, però se sono ancora poveri no non lo hanno. Il successo si misura coi soldi. E magari sono gli unici artisti rimasti a fare arte.
Posso aggiungere che, anche nell’arte minore, tra i semiprofessionisti ed i dilettanti, siano essi allievi, juniores o d’eccellenza, valgono gli stessi principi.
Non si fa arte, non si crea, si da in pasto qualcosa al pubblico, alle giurie, ai comitati, gli si da quello che questi soggetti vogliono vedere.

Sperimenti all’inizio, quando non sei nessuno tra i nessuno, poi, magicamente trovi la sequenza di note che danno un motivetto orecchiabile.
E’ il successo… e poi… poi fai sempre lo stesso quadro, sempre uguale a se stesso, sempre appetibile per l’occhio critico del professore delle medie, del vicesindaco e del presidente della pro-loco.
Qualcuno comincia ad imitarti, se non a copiarti di brutto, la stessa cosa che fai tu per quel futile orgoglio che non ti permette più di sbagliare un colpo. E per non sbagliare non cambi più.

La tua arte è morta, l’Arte in genere è morta, e non risorgerà.
Non che qualcuno si dispiaccia troppo per questo.


Giancarlo

Il bello dell’arte

Il bello

Cos’è interessante nell’arte? Il bello dell’arte è la ricerca, il percorso. L’arrivo, poi, è noioso, ripetitivo, sempre quello. Bello, per carità, bellissimo ma noioso.
Anzi, direi che è bello per chi ne usufruisce, per lo spettatore, ma mortalmente palloso per l’autore.
Sarebbe meglio non arrivare mai, rimanere sospesi nel limbo della ricerca, cambiare sempre segno, colore… essere irriconoscibili.

Nel dipingere, come in tante altre cose della vita, ci si appassiona nel cercare, non nel trovare. Ovvero è bello trovare, che è lo scopo della ricerca, ma abbiamo più emozioni e più a lungo durante la ricerca che al momento in cui raggiungiamo il risultato. Una volta coronato il sogno non resta più nulla mentre il percorso, con i suoi successi ed insuccessi parziali, le sue illuminazioni ed i suoi vuoti, le idee, i tentativi e le continue delusioni disegna un grafo adrenalinico che ci mantiene vivi.

Raggiunto lo scopo si perde subito l’interesse e quello che era un piacere o un rovello, finisce e diventa mestiere, obbligo… routine.

Il brutto dell’arte

Una volta trovati e definiti i canoni di uno stile che permettono di realizzare qualcosa di bello e riconoscibile, qualcosa che piace a noi ed agli altri, questi stessi canoni ci strangolano perché vanno seguiti, diventano ostacolo, impedimento, costrizione.

Non che questo ci intralci a realizzare capolavori, anzi le opere della maturità artistica sono di solito le più belle. Il tratto si affina, gli sfondi si perfezionano, la composizione si intensifica si raggiunge, finalmente, la perfezione.

Anche nella musica succede lo stesso una volta al top si migliora sempre, magari più lentamente, ma con continuità, finché…

Finché il bello

Non tracolla nel nulla nella scolastica ripetizione del nulla, nella banalità che non dice niente nel verso insipido, la ripetizione pletorica dei segni scontati e stra-conosciuti o delle note trite e ritrite, per tornare al parallelo musicale.

Insomma il bello dell’arte per la critica e per il pubblico è l’arrivo. L’artista arrivato è conosciuto, riconosciuto. E’ apprezzato perché sappiamo cosa troveremo ed anche se nonostante lo sappiamo ogni volta spalanchiamo la bocca meravigliati domandandoci: “ Ma come avrà fatto a farlo?” estasiati.

Ma per l’artista il bello della condizione di autore affermato è il tragitto compiuto, gli sbagli, gli errori, le delusioni, le speranze.
Insomma il percorso è coma la vita, è la vita.

Il traguardo è la morte.

Artisti affermati

riposate in pace.

Giancarlo