Pistoia

Non ero mai stato a Pistoia.

La grande passione per Pistoia

Ho sempre amato Pistoia, “città di crucci, aspra Pistoia”, pur non essendoci mai stato.

Faccio parte di un tempo passato, io. Un tempo in cui non si viaggiava tanto. Muoversi era difficile. Ci si muoveva poco, piano piano, senza mai andare troppo lontano.

PistoiaMi son domandato tante volte perché?

Perché volesi vederla?

Forse per l’immagine della torre campanaria, così piena di fascino. Con le bifore a scalare. Con con le tre logge colonnate che lo alleggeriscono in alto. Pur lasciandole una struttura potente, su cui spicca l’orologio, moderno, elegante, essenziale.

Dalla sua posizione, il campanile protegge il fianco del Duomo, del palazzo dei Vescovi e degli altri edifici che, attaccati, si riparano, sostenendosi a vicenda.

Ma forse

Mi ha affascinato anche la montagna Pistoiese, li dietro, con le sue storie di animali selvaggi e di banditi non meno feroci.

Che dire poi del Pantheon degli uomini illustri? Ne avevo sentito parlare e mi immaginavo un posto dove passeggiando, si potevano incontrare i grandi personaggi del passato, Leonardo, Michelangelo, Dante, Piero della Francesca. Immaginavo che ti potevi sedere con loro gustandoti un buon bicchiere di vino chiacchierando del più e del meno, del tempo o dei massimi sistemi.

Ma non mi devo scordare di dirvi la ragione più importante, più sentita per andare là; il blues, Pistoia blues. A vedere, a sentire Frank Zappa, B.B. King, Deep Purple, Dream Theater, Muddy Waters, Bob Dylan, Stevie Ray Vaughan, John Lee Hooker, Lou Reed e Canned Heat, Carlos Santana, Steve Vai, Joe Satriani, Ray Charles, Patti Smith, Joe Cocker, Robert Plant, The Doors, Chickenfoot, Joss Stone, PFM, Porcupine Tree, Gamma Ray, Anathema, David Bowie, Skunk Anansie. Un sogno, un incubo, un chiodo fisso, una mania ossessiva e compulsiva.

Ma no! Non sono mai andato. Non ho mai coronato il mio sogno.

Si! Non ho mai visto Pistoia.

E me ne dolgo ancora.

Ceppoduro

Povera Italia

Povera Italia

Povera Italia.

Meno male che abbiamo la buona scuola (sic) perché ci manca del tutto il buon governo.

Il futuro di un paese dovrebbe essere coltivato dalla scuola. La scuola, di ogni ordine e grado è gestita dal MIUR, il ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca. Almeno questo è il significato dell’acronimo che lo definisce.

Nella patria di scrittori come il Manzoni, poeti come il Foscolo, scienziati come Galilei, matematici come Fibonacci, pittori come Modigliani, ingegneri come Olivetti, in un’Italia grande esportatrice di cervelli all’estero, ma non di cervelli da friggere con i carciofi, di cervelli pensanti, di geni. Per quanto si possa essere geni, nella moderna società tecnologica. Dove le specializzazioni sono spinte al massimo per creare mostruose macchine pensanti e facenti .

In questa terra gloriosa, dicevo, il MIUR si dovrebbe occupare della scuola, uso il condizionale, ma spero che sia giusto usare il presente “si occupa”. Non ho modo, da comune cittadino, di sapere e controllare cosa faccia il ministero, come passino il tempo i suoi addetti, impiegati, funzionari e dirigenti.

Surfando, surfando.

Ma da utente del web mi capita di vistare siti internet, anche quello del MIUR.

In realtà non è stato un caso, volevo prendere informazioni sugli eventuali adempimenti per l’iscrizione di mio figlio al prossimo anno scolastico. Sono entrato nel sito ed ho selezionato l’area famiglie.

D’altronde sono andato li anche lo scorso anno per l’iscrizione al primo anno, e tutto aveva funzionato bene.

Povera Italia

Che ti trovo?

In primo piano le modalità di iscrizione all’anno scolastico 2017/2018.

Di fine febbraio 2017 l’ultimo articolo informativo pubblicato nella sezione in basso. Tutti glia altri post presenti sono più vecchi, ben più vecchi. Controllate lo screen shot qui spra o andate voi al sito.

Beh, che ancora non ci siano informazioni sul prossimo anno scolastico sembra normale ma che ci siano ancora le istruzioni per quello che oramai volge al termine, e che non ci sia stato altro da comunicare alle famiglie da febbraio scorso, da un anno, non riesco a crederlo.

Sarà un bug, sarà un trojan della Casaleggio & Associati. Non sarà mica che sarebbe ora di mandarli tutti a casa?

A meditare sulla vita.

A studiare.

Giancarlo

Libero arbitrio

Perché si parla di

Libero arbitrio?

Innanzitutto perché non esiste il fato o la predestinazione.

Tutto è scelta. Tutto dipende da noi.

In ogni momento ci troviamo di fronte a bivi, a volte trivi. Allora che facciamo?

Andiamo di qua o di la?

Facciamo questo, quello o quell’altro ancora?

Ragioniamo, seguiamo il cuore o ascoltiamo suggerimenti di altri?

libero arbitrio
Ercole al bivio, dipinto di Annibale Carracci (1596), raffigurante l’indecisione dell’eroe fra le alternative della virtù e del vizio

Naturalmente si potrebbe obiettare che, comunque vada, non scegliamo mai, ma facciamo solo quello che dobbiamo, inconsapevolmente.

E’ una possibilità, tra una miriade di altre.

Immaginare che qualcuno ha scritto per noi tutto quello che abbiamo fatto, stiamo facendo o ci accingiamo a fare, è una presunzione indecente.

Chi siamo per meritare tanta attenzione? Chi può dedicarcene così tanta? Maniacale e perversa.

Quando le cose non vanno bene abbiamo scelto male. Al contrario quando facciamo qualcosa che ci soddisfa, quando ci va bene.

libero arbitrio
Stemma di Forcella raffigurante la Y pitagorica, che simboleggiava la possibilità di scelta tra i due opposti sentieri iniziatici del vizio e della virtù.

Se avessimo svoltato a sinistra non ci saremmo scontrati con l’altra auto.

Restando a casa, invece che andare in collina, non avremmo preso il raffreddore.

Se fossimo andati al mare, l’anno scorso, adesso forse saremmo fidanzati con qualche bella ragazza. Ma non essendoci andati, non sapremo mai se l’avremmo trovata.

Anche quando scegliamo di non scegliere, scegliamo.

Libero arbitrio

Quindi sia in negativo che in positivo, siamo noi a scegliere il nostro destino. Noi con gli altri che, o che non, incrociamo nella nostra vita. Altri che fanno scelte arbitrarie come noi.

Non c’è ragione di essere fatalisti o deterministi, le cose non vano come vogliono o come devono, ma come le facciamo andare.

libero arbitrio
Giorgio De Chirico Ettore ed Andromaca 1916

Quello che è vero oggi domani sarà diverso.

Quando tutto va male, anche al colmo della disperazione non conviene arrendersi, chi si arrende non può cambiare il corso delle cose.

Dobbiamo esercitare quel libero arbitrio che nessuno ci ha donato. Che possediamo assieme all’intelligenza, alla ragione.

Dobbiamo continuare a ragionare sugli sbagli, per imparare a non sbagliare più.

Per non affidare le nostre scelte al caso.

Per scegliere.

Giancarlo

 

Enciclopedia Treccani

Rapporto DAVOS 2018

Sì, è passato un anno dal precedente

rapporto ed uno nuovo (DAVOS 2018) è stato appena pubblicato da OXFAM.

Nulla è cambiato, se non peggiorato.

I ricchi sono sempre più ricchi i poveri sempre di più e sempre più poveri.

leggi il reportage dello scorso anno Rapporto Uneconomia-per-il-99-percento_gennaio-2017 e quello di quest’anno Rapporto Davos-2018.-Ricompensare-il-Lavoro-Non-la-Ricchezza.

Questo non succede nel mondo, lontano da noi, ma anche in Italia, in mezzo a noi.

Allora mi chiedo perché qualcuno vada dicendo di aver fatto grandi riforme, che hanno migliorato la situazione italiana. Che hanno creato un milione di posti di lavoro. Come, del resto, aveva già fatto qualcun altro prima.

Poi anche se qualcuno dirà che i posti in più sono stati effettivamente creati, come certificato dall’ISTAT, dobbiamo domandarci cosa effettivamente ci abbiano dato?

Metà dei posti sono a tempo indeterminato e gli altri mezzo milione? Precari, come sono precari quelli fissi a tutele crescenti del Jobs Act.

Ma se avete il buon cuore

di leggere il rapporto OXFAM, quello che c’è e lavoro di sfruttamento, pochi, sempre meno, diritti associati a remunerazioni minori, aumenta solo la diseguaglianza e lo sfruttamento di genere.

OXFAM si appella ai politici perché al giorno d’oggi è difficile trovare un leader politico o un dirigente d’impresa che non dica di essere preoccupato a causa della disuguaglianza.

Ma ciò che conta non sono le parole, bensì i fatti, e proprio i fatti sono il punto debole della maggioranza dei nostri leader.
Nella pratica alcuni promuovono attivamente politiche che possono accentuare la
disuguaglianza.
Nel rapporto si afferma, tra l’altro:
I governi esercitano anche un altro ruolo chiave nella riduzione della disuguaglianza:
possono usare l’imposizione fiscale e la spesa pubblica per ridistribuire la ricchezza.

E qui, da noi, i “politici” parlano di riduzione delle tasse. Non ci servono meno tasse ci serve un utilizzo migliore ed onesto dei proventi delle tasse.

Raccomandazioni del Rapporto

Governi ed istituzioni internazionali devono prendere atto degli effetti che il modello
economico neoliberista produce sui poveri del mondo.
Devono inoltre adoperarsi per costruire economie più umane che abbiano quale obiettivo principale una maggiore equità.
La disuguaglianza non è ineluttabile; è una scelta politica. La maggior parte dei leader
politici opera tuttavia scelte sbagliate, nonostante affermazioni di segno opposto e
nonostante le richieste dei propri cittadini. Un po’ in tutto il mondo, i cittadini di molti Paesi rischiano la vita per far sentire la propria voce contro la disuguaglianza e l’ingiustizia.
CIVICUS, un’alleanza che opera in favore dell’empowerment dei cittadini, ha riscontrato gravi minacce alle libertà civili in oltre 100 Paesi i cui governi preferiscono soffocare la democrazia anziché combattere la disuguaglianza.

Importanza del lavoro

La creazione di posti di lavoro dignitosi e l’incremento della quota di reddito nazionale di lavoratori e produttori, specialmente donne, sono indispensabili nella lotta alla
disuguaglianza.
Il lavoro è dignitoso se fornisce:
• Un reddito equo
• Sicurezza del posto di lavoro e tutela sociale per i lavoratori e le loro famiglie
• Migliori prospettive di sviluppo personale e integrazione sociale
• Libertà di esprimere le proprie riserve, organizzarsi e partecipare alle decisioni che
incidono sulla propria vita
• Pari opportunità e pari trattamento per uomini e donne
Insomma leggetevi il rapporto e meditateci sopra.
Chiedetevi cosa ci promettono e cosa fanno e poi votiamo.

link:

Rapporto Oxfam

Articolo precedente

Ceppoduro

L’ultimo teorema di Fermat

Voi non immaginate nemmeno quanto sia bello il

Teorema di Fermat, anzi l’ultimo teorema di Fermat.

Sono sicuro che tutti voi ne avete sentito parlare, ma se ciò non fosse…

… quella sopra è una formula che, molto semplicemente, dice che la somma di due numeri corrisponde ad un altro numero. Però questo è vero per  n=1

ad esempio 1+2=3

Cioè si possono sommare due numeri interi qualunque ottenendo, sempre, un numero intero.

In certi casi è possibile ottenere una somma intera anche per n=2.

Come nel teorema di Pitagora. In un triangolo rettangolo la somma dei quadrati  è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa. Un esempio facile da capire senza calcoli complessi è quello di un triangolo rettangolo i cui cateti misurano: uno 3 e l’altro 4 unità, l’ipotenusa conseguentemente misurerà 5 unità. Quindi (3×3)+(4×4)=(5×5) –>(9)+(16)=(25) –> 25=25.

Pierre de Fermat affermò che non esistono soluzioni intere positive all’equazione:

se  .

Cioè non ci sono numeri

Cioè non ci sono numeri interi che risolvano questa equazione per esponenti maggiori di 2. Cubi, potenze di 4 ecc. Questa asserzione fu detta congettura di Fermat. Il quale affermò di poterla dimostrare nel 1637. Quando annotò nel margine di un libro: “Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina”. Dimostrazione che però poi non trascrisse da nessun’altra parte. E nessuno, seppur molti provassero, riuscì nel tentativo di dimostrare la veridicità della congettura. Qualcuno trovò dimostrazioni per l’esponente 3 (Eulero) o per l’esponente 5 (Legendre) ecc. Solo nel secolo scorso (1994) Wiles è riuscito a dimostrarlo per qualsiasi esponente, ma la dimostrazione è difficile, complicata e coinvolge conoscenza matematiche superiori. Tanto che la maggior parte dei matematici la mastica a malapena.

Non tenterò certo di spiegarla io, qui, ora.

Quello che vorrei farvi notare del teorema di Fermat

Quello che vorrei farvi notare, invece è come intuitivamente sia semplice capire che l’equazione non può essere vera per esponenti maggiori di 2.

L’esponente uno ci pone in un mondo unidimensionale per cui ad ogni unità posso aggiungerne altre e queste daranno sempre un numero intero di unità.

L’esponente 2 ci pone in un mondo bidimensionale, anche qui si possono sommare quadrati per ottenere altre figure bidimensionali, di queste ultime quelle quadrate saranno meno frequenti ma ce ne saranno.

la prima delle tante è

 

 

 

cioè 9 + 16 = 25

Teorema di Fermat+Teorema di Fermat

= Teorema di FermatOra, se adiamo avanti, l’esponente 3 ci porta in un mondo tridimensionale.

E’ intuitivo che in questo mondo la somma di due volumi, qualunque siano i loro valori unitari, non potrà mai dare un altro cubo uguale alla somma degli stessi. Cioè se si sommano le unità di volume in una direzione non ci saranno più unità da espandere nell’altra.

Teorema di Fermat

Teorema di FermatTeorema di Fermat

Se raddoppiamo il volume o lo aumentiamo di una unità nelle tre direzioni non otteniamo mai un cubo.

Teorema di FermatPer ottenere ancora un cubo dobbiamo raddoppiare i lati, ma il volume diviene di otto unità (una dietro non si vede).

e non si possono sommare due cubi ottenendo un altro cubo, è fisicamente impossibile. Se triplichiamo il lato il volume aumenta di 27 volte.

Teorema di Fermat

Assumiamo lo stesso andamento  per spazi superiori al tridimensionale, che però non posso rappresentarvi.

Ecco, in modo empirico, abbiamo risolto la congettura di Fermat. Che quindi è vera. Ma questa dimostrazione, seppur mi piaccia, non è matematicamente corretta o accettabile.

Sarebbe stato troppo bello, troppo facile. Dovrete studiarvi meglio la matematica se vorrete affrontare la dimostrazione ufficiale del teorema di fermat, dell’ultimo teorema.

In realtà per raddoppiare il cubo occorre ampliare i lati del cubo di circa 1,259921049894873164767210607… (sequenza A002580 dell’OEIS) che è il valore della radice cubica di 2.

Mi domando, comunque, come potrà mai, l’utilizzo di questo valore, dare un risultato intero nel raddoppio del cubo?

Giancarlo

 

 

Quanto vale un opera d’arte?

Quanto vale  un quadro? Un dipinto, una scultura, un acquerello?

E’ veramente difficile valutare un quadro.

Specialmente quando non è stato realizzato da un artista famoso, da uno cioè che non è conosciuto e apprezzato e quindi non ha mercato.

Possiamo dire che artisti famosi hanno quotazioni oramai consuete e se le loro opere fossero vendute in una asta potremmo solo aspettarci forti emozioni speculative. Altrimenti, senza l’impulso speculativo non aspettatevi sorprese, il prezzo sarebbe quello che è e basta.

Anche se, devo dire, che ai grandi nomi dell’arte vengono perdonate cose che a me non lo sarebbero. Girando per musei, ad esempio,  ho visto dei “De Chirico”, pittore che amo, con errori madornali. Errori prospettici, errori di ombre ed errori di ogni genere, ma il quadro è un “De Chirico” e resta “De Chirico”  turandosi il naso e coprendosi gli occhi. Insomma ho visto “croste” di De Chirico, opere chiaramente tirate via, fatte tanto per fare, forse perché comunque in quel momento richieste dal “mercato” , esposte in bella mostra in importanti musei, senza problemi e senza vergogna.

Senza vergogna?

Vergogna!

Sono quadri che comunque costano e chissà se valgono il loro costo?

I miei quadri non costano così tanto, anzi non costano tanto, per superare i mille Euro devo darmi da fare su quadri di notevoli dimensioni.

 

quanto vale
Si, ma quanto vale?

E se un quadro ti piace non stare li a menatela.

Cazzo, se ti piace un quadro compralo e non rompere i coglioni, il prezzo è un di cui, non è così importante.

Si, dirai, ma quanto vale?

Vale la pena di comprarlo, farai felice te e chi lo ha fatto.

Ma quali sono i quadri più quotati?

Sono quelli meno validi!
Magari non sono bellissimi ma seguono la quotazione dell’artista e se l’artista è di moda…

Ma non comprare un quadro perché l’autore è in voga, un quadro deve esprimere un concetto, un’idea, qualcosa, altrimenti deve essere tecnicamente ineccepibile.

Non dice niente ma è tecnicamente perfetto? Prendilo e pagalo.

Non è tecnicamente perfetto ma ti appaga, ti soddisfa, ti piace? Prendilo e pagalo.

Ma che vuoi di più? Costa tanto ? Ma cosa sono pochi Euro per una opera che piace, che se lo guardi ti trasmette qualcosa?

Ci sono tanti dipinti, ci sono tanti pittori, non devi faticare devi solo guardare. Che te li hanno fatti a fare gli occhi, se non li usi?

Se poi il dipinto non ti piace, anche se quotato, che lo vuoi a fare? Lascia perdere e compra qualcos’altro.

Un quadro vale solo se ti piace.
Quanto vale quel quadro? Tanto quanto ti piace.

Conclusione:

Alla domanda “quanto vale un quadro?” Ti rispondo che non ha un costo, ha solo un valore.

Non comprare croste ma se una crosta ti piace non è una crosta, prendila e pagala quel che ti chiedono.

Vaffanculo.

Giancarlo

 

PS: Guarda ti mostro opere fatte da miei amici; se te ne piace una e la acquisti da loro, li renderai e mi renderai felice, senza spendere un capitale.

fonte:

Blog

Il paese

Ho visto un paese

era il paese ideale.

il paeseL’ho visto, ma non ricordo dove, in sogno forse, o su wikimapia, chissà?

Era un pese bello. Era piccolo. Ma popolato di gente. C’erano ragazzi, ovunque, e donne e uomini.

Il paese era in collina, accanto ad un boschetto di querce. Intorno tanti orti e ulivi e viti.  Lungo le strade fiori, fiori ovunque, nelle case, nelle strade, in piazza, lungo i muri.

Il paese aveva meli, peri e tanti altri frutti, piantati ai margini delle strade.

il paeseLa gente

era cortese, produceva tutto in casa, in piazza ed in speciali capannoni a vetro che chiamavano fabbriche. Nelle fabbriche c’erano una o due macchine che producevano il necessario per la comunità. Vi lavoravano per il tempo necessario a far quello che serve e rimettere in ordine.

Le donne accudivano i figli da sole o assieme agli uomini, quando non dovevano assentarsi da casa per lavorare in fabbrica o nei campi.

il paeseNon si viaggiava molto nel paese, nessuno era mai stato lontano, avevano la televisione per questo, conoscevano bene il mondo, c’erano programmi che raccontavano tutto, usi e costumi, laghi e montagne. Poi si studiavano bene, queste cose, a scuola. Erano le materie fondamentali assieme alla lingua Nazionale. ed alle materie scientifiche.

Solo qualcuno si spostava, per vendere i prodotti in eccesso, nei paesi vicini oppure da questi posti arrivava un venditore di merce simile.

Il paese e gli anziani

I vecchi erano molto considerati, la loro esperienza di vita era importante, controllavano  i giovani, aiutando madri e padri con la famiglia, nell’orto ed in qualsiasi faccenda gli venisse chiesto aiuto.

Erano anziani felici, sempre occupati, mai che si sentissero un peso o inutili.

Le case

erano grandi a un solo piano, alcune avevano una piccionaia in alto, un secondo piano ristretto. Tutte la case erano rivestite di finestre, sembravano serre. E le serre dei giardini, sembravano piccole case.

Più grandi e più ampie erano le scuole, le biblioteche, i musei. Non c’erano asili, i bambini stavano con le mamme ed i nonni. Non c’erano chiese, caserme, prigioni, non servivano a nessuno.

Mancavano le autorità.

Non sono riuscito a chiedere perché mancassero poliziotti, militari, preti, indovini e politicanti vari. Ma forse, ripensandoci, non sarebbero serviti a nulla. Non c’erano lavori sporchi da far fare a qualcuno, non c’erano lavori ben retribuiti da accaparrarsi. Non c’era potere. Mancava totalmente il potere. Nessuno che volesse utilizzarlo, nessuno.

Nessuno ne sentiva il bisogno. Davvero una cosa stranissima. Nonostante questo la gente faceva tutte le cose necessarie.

Un sogno, anzi, un Utopia.

Ceppoduro

Esperti

Gli esperti siamo noi.

Esperti di qui, esperti di la, mi sembrano tanti Figaro, barbieri di qualità, in quantità.

Tutto un gran parlare di esperti e, per contrapposizione diretta, di inesperti o neòfiti.

Esperto: colui che ha conoscenze specifiche in un ben delineato settore (Wikizionario).

Oppure, detto meglio:

Un esperto, nel senso di competente, è una persona alla quale, per motivo di professione oppure per una comunque acquisita competenza ed esperienza su una data materia, viene richiesto di fornire pareri scientifici su argomenti di dettaglio. (Wikipedia)
Spesso ci viene detto di affidare il fare delle cose agli esperti, di evitare gli incompetenti, i dilettanti ed i neofiti.

Ma è giusto diffidare?

Penso che non sempre lo sia, ma prima mettiamoci d’accordo su chi possa fregiarsi del termine esperto.
Non è per auto-definizione e non è per tutti i settori.
Nei campi specifici, la definizione di esperto è stabilita dal consenso degli altri specialisti e non è necessario per un individuo avere qualifiche professionali o accademiche per essere definito un esperto.
Ma non sempre l’esperto è definito tale da specialisti, siamo soliti dare o darci dell’esperto informalmente, a piacere nostro, senza che ci siano criteri oggettivi per sapere quanto lo sia veramente.
Di solito il fattore tempo sembra determinante, col tempo si matura esperienza in quello che si fa o nel mondo in cui si opera.

Operare bene o male, questo è il nocciolo.

Si può affrontare un compito o un problema agendo bene o male. Possiamo trovare una o più soluzioni, creare modus operandi di successo, aumentare il benessere societario (collettivo o individuale), scoprire cure efficaci, inventare nuove macchine ecc. Ma possiamo anche non azzeccarne una, creare procedure insulse e fallimentari, impoverire la società (ditta o comunità che sia), favorire il diffondersi di pandemie, lesinare sulla qualità di attrezzi e macchinari prodotti, ecc.

In entrambi i casi siamo esperti del settore e della materia, perché vi abbiamo dedicato tempo e risorse, ma con scopo e risultati non certamente positivi.
Poi ci sono dei campi, come quello politico, che affidarli ad un neofita, possa essere di giovamento
Considerando i risultati politici dei politici esperti.
Considerando gli scandali in cui si sono cacciati.
Per non favorire favoritismi e scambi di piaceri.
Vogliamo un neofita come nuovo presidente del consiglio.
Vogliamo neofiti in tutto il parlamento.
Una squadra nuova, ma di gente con voglia di fare, che non si metta nulla in tasca.
Centinaia di persone che non arricchiscano, se non di esperienza, dall’esperienza politica.
Costruita dal nulla, facendo le cose per bene, giorno per giorno.
Ceppoduro

Rinco

Rinco.

Tutti lo chiamavano Rinco.

Lo so non era particolarmente sveglio, d’altra parte anche per questo non era mai Rincoandato a scuola. Nessuno conosceva il suo vero nome.

Rimase orfano il primo giorno della sua vita, una vita di merda.

La madre morì di parto, dandolo alla luce. Lui era stato fortunato per non averla subito seguita in quella triste sorte. Questo però fu merito del padre che, pur inesperto e rozzo, riuscì ad estrarlo da dove sembrava non ci fosse verso di uscire.

Riuscì anche a pulirlo, a farlo vagire per la prima volta ed a tagliare e legare il cordone che fino a poco prima lo tratteneva alla strada per la vita. Poi, sfinito, il povero uomo crollò. Si fermò come il battito del suo cuore e Rinco restò solo.

… La vita va avanti.

Cresciuto con gli zii, questi lo avevano messo presto al lavoro nella stalla. Prima dell’alba doveva pulire per terra, in attesa della mungitura dello zio. Poi andava nel recinto dei maiali, per portarli fuori a pascolare nel campo o sotto le querce lungo il fosso.

A pranzo un piatto di pasta, molte volte scondita, poi del pane e una fetta di formaggio, se c’era.

Rinco

Rinco, non parlava molto, non glielo avevano insegnato bene e non si relazionava molto con gli altri.  Forse per lo sforzo del travaglio o per la presa forte del padre per liberarlo dal laccio del cordone sul collo. Forse per le ore rimasto all’addiaccio con il babbo e la mamma esanimi accanto a lui.

E forse non era del tutto sbagliato il suo soprannome… Forse…

Perché Rinco non si interessava degli altri. Gli piaceva il mondo piccino piccino che vive nell’erba, nella corteccia degli alberi o dovunque ci sia un piccolo riparo.

Curiosità.

Quando era con i maiali passava delle ore sdraiato per terra o, se pioveva, appoggiato agli alberi guardando il mondo degli insetti. Gli piacevano molto le formiche per la loro agitazione. La vivacità delle formiche lo affascinava. Andavano avanti e indietro, come pazze, a volte si aiutavano nel trasporto di qualcosa ma altre volte si litigavano un frammento di pianta, un pezzetto di cibo o di qualsiasi altra cosa.

Dai bordi delle pozze d’acqua, dove si abbeveravano gli animali, osservava i ragni d’acqua guizzare di qua e di là. Guardava le salamandre, che lui immaginava fossero sirene, delle quali aveva sentito più volte racconti in famiglia.

Lo affascinava il giallo maculato delle loro code.

Rinco Rinco

Aveva tentato più volte di prenderne una, ma il braccio era sempre troppo corto o l’acqua troppo alta. E quando le aveva trovate fuori a crogiolarsi al sole, loro scappavano subito al suo arrivare, immergendosi in quell’acqua limpida.

Un giorno fu particolarmente fortunato.

Mentre era seduto sul margine della pozza si assopì leggermente. Quando riaprì gli occhi vide una bella salamandra fare capolino sulla riva. Allungando d’istinto la mano per catturarla scivolò nell’acqua chiara. La sirena lo guardò allibita mentre lui, con un espressione altrettanto meravigliata, sentì l’acqua fresca entrargli nella gola e arrivare ai polmoni.
Rinco non sapeva nuotare, non sapeva nemmeno che in acqua si dovesse nuotare. Rinco non sapeva che in acqua non si potesse respirare.

Eppure le sirene vivono fuori o dentro alla pozza senza problemi.

Rinco non lo sapeva ma era stupito e curioso di capire cosa gli stesse succedendo.

Non lo sapeva, non avrebbe mai saputo, ma stava solo… annegando.

Ceppoduro

Guardalo su you tube

Mario Pterodattili

Mario

La vera storia di Mario Pterodattili.

Mario era nato in montagna, se possiamo dire Solata in montagna con i suoi 620 metri, circa, sul livello del mare. Faceva freddo a Solata, in inverno. Il camino era sempre acceso ed anche la stufa economica raramente si spegneva.

Ma Solata è circondata di boschi, la legna da ardere non è mai stata un problema lassù. Se non  per il taglio delle piante, l’accatastamento nel bosco ed il trasporto a casa.

Ma Mario era troppo giovane per occuparsene, lo facevano gli altri componenti della famiglia. A lui toccava di portare la brocca dell’acqua e di andare a riempirla al borro, quando finiva.

Il borro era il borro di Solata, un rigagnolo che scende piano piano, tuffo dopo tuffo, pozza piccola dopo pozza grande verso valle, verso Ristolli, per arrivare a Mercatale e, da li, scendere fino al Valdarno per gettarsi nell’Ambra, poco prima che questa si perda nell’Arno.

Mario era affascinato dal corso del borro.

L’acqua non scorreva sempre, ma dopo le piogge ripartiva e scendeva allegra verso il basso.

C’erano delle piccole grotte, buche in una parete, che avevano un soffitto, una volta naturale e che per questo chiamava grotte. Ma erano introflessioni nelle rocce o erosioni delle pareti grandi, al massimo, di mezzo metro cubo. Nicchie, bellissime, piene di licheni, a volte con qualche stalattite, piccola piccola. A volte con un laghetto interno, dove poteva ammirare gamberi e gamberetti o pesciolini.

Nelle pozze, sotto ai tuffi, c’erano trote o altri pesci. Il fondo brulicava di molluschi, animali con una piccola conchiglia addosso che si confondevano col fondo sassoso. Come le trote, del resto e tutta l’altra fauna del luogo.

Mario, ogni tanto, guardando il fondo per trovare i pesci vedeva pezzetti di pietra brillare, le raccoglieva e li conservava in un sacchetto. Li conservava per regalarli alla ragazza che avrebbe sposato, più avanti.

Il sacchetto fu l’unica cosa che trovarono di lui, giù al borro. Era ai bordi di una enorme buca, testimonianza dell’esplosione appena avvenuta.

Era Maggio del 1944.

Un aereo nemico, impegnato in uno dei frequenti bombardamenti del ponte ferroviario di Bucine, era stato colpito da una contraerea leggera posta alle Caselle, vicino a Tontenano.

Mario
Il Ponte di Bucine, il mulino e la rimessa

Il pilota, in difficoltà, avrebbe voluto virare ancora verso il ponte, ma l’aereo, diventato ingovernabile, puntava dritto alle colline. Alla fine, sorvolato San Leolino, decise di sganciare il carico.

Sul fondo, nel borro, Mario era corso verso una radura, con gli occhi al cielo per vedere l’aereo, il motore che stava  arrivando.

Il rumore era forte, l’aereo basso, il fischio fu breve.

Ceppoduro

 

Approfondimenti:

1:1944-mi-ricordo

2: Sfollati