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Talete. E’ stato un filosofo greco antico il primo a cui

Talete

E’ stato un filosofo greco antico. Il primo a cui fu dato l’attributo di “sapiente” come attesta Platone che, nel dialogo, lo inserisce in una lista di nomi (i cosiddetti Sette savi). « Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, Solone, Cleobulo di Lindos, Misone di Chene e Chilone di Sparta. Tutti quanti furono emuli, ammiratori e discepoli della costituzione spartana »

Erodoto attribuisce a Talete la previsione dell’eclissi di sole verificatasi il 28 maggio 585 a.C. Che avrebbe impressionato talmente i Medi e i Lidi, in guerra tra loro, da smettere di combattere.Nonché l’elaborazione d’un espediente che avrebbe permesso all’esercito di Creso, il re della Lidia in guerra contro il persiano Ciro il Grande, di attraversare il fiume Halys.

Racconta Erodoto che abbia fatto guadare l’esercito, dividendo il fiume halys in due bracci. Con un’abile scavo sulla riva a monte dell’accampamento delle truppe. I due bracci, suddividendo la portata del fiume, sarebbero entrambi divenuti guadabili.

Talete

Egli scrisse ma non è rimasto nulla dei suoi scritti.

Gli sono attribuite varie opere letterarie e alcune sentenze. Tra queste mi piacciono:

 

  • Il più veloce è l’intelletto, perché passa attraverso tutto.
  • Il più forte è la necessità, perché tutto domina.
  • Che il tempo è più saggio di tutti, scopre sempre tutto.
  • La cosa più sgradevole è vedere un tiranno esser potuto invecchiare.
  • Che si vive virtuosamente non facendo quello che rinfacciamo agli altri.
  • Di non abbellirsi nell’aspetto ma nei comportamenti.
  • Sosteneva che la morte non è diversa in nulla dalla vita. A chi gli obbiettava perché allora non morisse, rispondeva che era perché non c’era alcuna differenza.
Si diceva che

Talete avesse misurato l’altezza della piramide di Cheope. Calcolando il rapporto tra la sua ombra e quella del suo corpo. Nel momento del giorno in cui la sua ombra ha la stessa lunghezza della sua altezza. In questo caso l’angolo tra altezza e larghezza della piramide è esattamente 45°C. Relazionando l’ombra della piramide ad un ombra di un’altezza nota si può agevolmente calcolare l’altezza ignota. Perché i triangoli generati da ombra, altezza e larghezza sono simili. Per similitudine esistono relazioni tra le varie misure.

Giza_piramidi_di_Henutsen_e_CheopeProclo, il commentatore di Euclide, attribuisce a Talete anche cinque teoremi di geometria elementare:

  • Un cerchio è diviso in due aree uguali da qualunque diametro“.
  • Gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali“.
  • In due rette che si taglino fra loro, gli angoli opposti al vertice sono uguali“.
  • Due triangoli sono uguali se hanno un lato e i due angoli adiacenti uguali“.
  • Un triangolo inscritto in una semicirconferenza è rettangolo“.
Talete aveva anche interessi astronomici.

Stabilì, tra l’altro, che alcune stelle non erano, come sembravano, fisse rispetto ad altre. Chiamandole pertanto pianeti, ossia corpi erranti. Avrebbe anche fissato in trenta il numero dei giorni del mese. Constatò che l’anno era composto da 365 giorni e un quarto. Poi per primo disse che la luna è illuminata dal sole.

Talete pensava che il principio di tutto, il nutrimento delle cose, fosse l’acqua o l’umido. In ogni caso l’acqua e le sue trasformazioni pesavano nella realtà delle cose. La sua ricerca della verità ne tenne sempre conto.

Il motivo della scelta dell’acqua deriva indubbiamente dalla sua importanza nella crescita e nell’alimentazione delle cose viventi. Della sua funzione nella vita quotidiana degli uomini, come dalle osservazioni che Talete avrebbe fatto in Egitto sull’importanza del Nilo. Ma l’originalità di Talete sta nell’aver trasformato questa spiegazione mitica in un principio di conoscenza fisica e metafisica. L’unità dell’elemento acqua è anche l’unità del mondo. L’analogia con le spiegazioni mitologiche orientali esiste indubbiamente, ma il principio utilizzato da Talete non è mitico ma fisico. Questa tesi innovativa presuppone affermazioni di verità non a partire da alcuni oggetti particolari. Come avveniva per gli Egiziani e i Babilonesi, ma per un’infinità di oggetti contenuti nel mondo. E per il mondo stesso. Egli enuncia verità che riguardano tutti gli esseri. L’apporto di Talete sta nell’aver generalizzato e concettualizzato le sue osservazioni. Giungendo al concetto dell’Uno senza perdersi nell’accumulazione di osservazioni disparate.

Insomma tutto ha origine dall’acqua e l’acqua è l’origine del mondo. Argomento che farà discutere i filosofi per tanti anni a venire.

Anche questo mostra la grandezza di Talete.

Giancarlo

 

TV, il nulla. Niente, niente, niente. Zero

TV, la TV dopo Carosello

Sto guardando una parte di un programma su un canale TV.

Ci sono donne che si fanno fotografare, (semi) nude. Che competono, per non so quale gloria. Che parlano, di non so che cosa.

Non ci capisco niente.

Ma proprio nulla.

Cosa vorranno fare? Forse dimostrare qualcosa. O forse ottenere la copertina di una qualche rivista patinata. Oppure solo far parlare di quella trasmissione. Nella quale si parla di sesso, in maniera soft ma comunque sconcia, volgare, brutale, strana e inusuale. Non so come riferire questi argomenti sessuali.

Altri programmi, che ho visto, parlavano di cibo. Di come si mangia il cibo. Di come si gusta. Come fossero sommelier, ma assaggiando panini, barbecue, sterco. Un gran argomentare su quella merda.

TVHo visto altri programmi TV parlare del nulla. Di cantanti, attori, debuttanti. In cerca di fama, affamati di fama, famelici, orrendamente famelici. Ognuno con talenti strani. Tutti costruiti a tavolino. Nessuno di reale interesse. ma di alto interesse mediatico.

TVHo visto programmi di cartoni animati parlare di niente. E sul niente voler giocare, educare divertire. Come fanno tanti altri programmi TV: le telenovela, i serial, gli eccetera eccetera.

Programmi TV che non sai di che parlano. Non parlano di niente. Non dicono niente. Senti parlare, parlare, parlare, parlare, parlare, cantare, cantare, cantare, ansimare, ansimare, ansimare, guaire, guaire, guaire, guaire e poi nulla. Niente. Nada. Rien. Merda, merda, merda e orina. Orina e peti, e merda. Nulla da fare. Niente da capire, da dire. Un vuoto interstellare.

TV

Un buco nero profondo che attrae tutto e non da nulla indietro. E pensare che per capire il nulla, lo zero i Romani ci hanno messo secoli. E non lo hanno scoperto loro, ma se lo sono dovuti far insegnare da altri.

Che stiano cercando di insegnarci lo zero? Il concetto dello zero? Del nulla?

Niente, non riesco a capire.

Ceppoduro

Il paradosso di Berlusconj, che insegnò legge gratis a Renzj

Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo.

Il paradosso di Berlusconj

di Rosy Bindj

Bindy, Il paradosso di Berlusconj

Il grande sofista Berlusconj accettò di insegnare legge a uno studente di nome Renzj.
Poiché questi era povero, i due presero i seguenti accordi: Renzj avrebbe ricompensato Berlusconj non appena avesse vinto la sua prima causa in tribunale.
Terminati gli studi, Renzj decise di seguire la carriera politica, abbandonando il proposito di praticare la professione legale. Berlusconj, che non aveva ancora ricevuto l’onorario pattuito, chiese a Renzj il pagamento. Quest’ultimo rispose che avrebbe dovuto pagare solo dopo aver vinto la sua prima causa. E ciò non era ancora avvenuto. Allora Berlusconj, irritatissimo, decise di citare Renzj in giudizio. Per fargli mantenere la promessa.

In dibattimento.

Di fronte alla corte, Berlusconj disse che se Renzj avesse perso la causa, allora avrebbe dovuto obbedire al giudizio della corte. E quindi pagare il dovuto. Se, invece, Renzj avesse vinto, allora avrebbe appunto vinto la sua prima causa. E quindi, in base al vecchio accordo, avrebbe dovuto versare a Berlusconj la cifra pattuita.
Renzj, in maniera altrettanto impeccabile, dimostrando di aver appreso brillantemente quanto insegnatogli dal Maestro, ribatté che se avesse vinto la causa, la corte avrebbe dato ragione a lui, quindi non avrebbe dovuto nulla a Berlusconj. Se, invece, avesse perso la causa non avrebbe dovuto pagare comunque il suo vecchio Maestro. Non avendo ancora vinto la sua prima causa.

Il verdetto.

A chi dareste ragione?
Quale decisione prese la Corte?


Berlusconi, Il paradosso di Berlusconj Renzi, Il paradosso di Berlusconj

Riflessioni

Ringrazio infinitamente Maria Elena Boschj, Pier Luigi Bersanj, Massimo Da-lemà per il contributo che segue. Questo preziosissimo lavoro fa finalmente luce sulle origini del paradosso di Berlusconj.

Rosy

Boschi, Il paradosso di Berlusconj
Maria Elena Boschj,
Bersani, Il paradosso di Berlusconj
Pier Luigi Bersanj
Dalema, Il paradosso di Berlusconj
Massimo Da-lemà

Gent.ma Rosy,

Pier Luigi Bersanj, Massimo Da-lemà e io abbiamo contattato, tramite posta elettronica, il prof. Odifreddi. Cercando di trovare la fonte latina del “Paradosso di Berlusconj”. Il quale non appare negli “Academica II, 95” di Cicerone.

Odifreddi, con squisita gentilezza, ci ha immediatamente risposto. Rimanendo in contatto con noi, per collaborare nel portare a termine la ricerca. Ci ha soccorso citando “Le notti aretine” di Aulo Ljcjo Gellj.

gelli, Il paradosso di Berlusconj
Aulo Ljcjo Gellj

In queste ultime siamo riusciti a trovare il brano ricercato. Precisamente nel libro quinto, al capitolo 10. Trascriviamo il testo latino:

(NOCTIUM ARETIARUM V, X)

De argumentis quae Graece «antistréphonta» appellantur, a nobis «reciproca» dici possunt.

1. Inter vitia argumentorum longe maximum esse vitium videtur quae “antistréphonta” Graeci dicunt.

2. Ea quidam e nostris non hercle nimis absurde “reciproca”appellaverunt.

3. Id autem vitium accidit hoc modo, cum argumentum propositum referri contra convertique in eum potest a quo dictum est, et utrimque pariter valet; quale est pervolgatum illud quo Berlusconjm, sophistarum acerrimum, usum esse ferunt adversus Renzhlum, discipulum suum.

4. Lis namque inter eos et controversia super pacta mercede haec fuit.

5. Renzje, adulescens dives, eloquentiae discendae causarumque orandi cupiens fuit.

6. Is in disciplinam Berlusconje sese dedit daturumque promisit mercedem grandem pecuniam, quantam Berlusconjs petiverat, dimidiumque eius dedit iam tunc statim priusquam disceret, pepigitque ut reliquum dimidium daret quo primo die causam apud iudices orasset et vicisset.

7. Postea cum diutule auditor adsectatorque Berlusconje fuisset et in studio quidem facundiae abunde promovisset, causas tamen non reciperet tempusque iam longum transcurreret et facere id videretur, ne relicum mercedis daret, capit consilium Berlusconjs, ut tum existimabat, astutum;

8. petere institit ex pacto mercedem, litem cum Renzjo contestatur.

9. Et cum ad iudices coniciendae consistendaeque causae gratia venissent, tum Berlusconjs sic exorsus est:”Disce, inquit, stultissime adulescens, utroque id modo fore uti reddas quod peto, sive contra te pronuntiatum erit sive pro te.

10. Nam si contra te lis data erit, merces mihi ex sententia debebitur, quia ego vicero; sin vero secundum te iudicatum erit, merces mihi ex pacto debebitur, quia tu viceris”

11. Ad ea respondit Renzje:”Potui, inquit, huic tuae tam ancipiti captioni isse obviam, si verba non ipse faceret atque alio patrono uterer.

12. Sed maius mihi in ista victoria prolubium est, cum te non in causa tantum, sed in argomento quoque isto vinco.

13. Disce igitur tu quoque, magister sapientissime, utroque modo fore uti non reddam quod petis, sive contra me pronuntiatum fuerit sive pro me.

14. Nam si iudices pro causa mea senserint, nihil tibi ex sententia debebitur, quia ego vicero; sin contra me pronuntiaverint, nihil tibi ex pacto debebo, quia non vicero.”

15. Tum iudices, dubiosum hoc inexplicabileque esse quod utrimque dicebatur rati, ne sententia sua, utramcumque in partem dicta esset, ipsa sese rescinderet, rem iniudicatam reliquerunt causamque in diem longissimam distulerunt.

16. Sic ab adulescente discipulo magister eloquentiae inclutus suo sibi argumento confutatus est et captionis versute excogitatae frustratus fuit.

Traduzione

Sugli argomenti che in greco si chiamano “antistréphonta”. Che da noi (Latini) possono essere detti “reciproca”

Fra gli argomenti errati, il più errato sembra quello che i Greci chiamano “antistréphon” (convertibile). Questo dai nostri, non certo senza ragione, è chiamato “reciprocum”. Cioè facile da ritorcere. Ora questo errore avviene nel seguente modo:

Quando un argomento esposto si può ritorcere in senso opposto. Ed usare contro chi se ne è servito e ha uguale valore in entrambi i casi. Tale è quello, molto conosciuto, di cui dicono si sia servito Berlusconj, il più sottile di tutti i sofisti, contro il proprio discepolo Renzj.

La discussione e la lite (nate) tra loro a proposito della mercede pattuita era questa:

Renzj, giovane ricco, desiderava essere istruito nell’eloquenza e nell’arte di discutere le cause. Egli era venuto da Berlusconj per essere istruito. E si era impegnato a corrispondere, quale mercede, l’ingente somma che Berlusconj aveva richiesto. E ne aveva versata la metà subito, prima di incominciar le lezioni. Impegnandosi a versare l’altra metà il giorno in cui avesse discussa e vinta la prima causa davanti ai giudici. Ma, pur essendo stato a lungo ascoltatore e discepolo di Berlusconj. E pur avendo fatto notevoli progressi nell’arte oratoria, non gli era toccata alcuna causa. E poiché era ormai passato molto tempo, sembrava facesse ciò a bella posta, per non pagare il saldo a Berlusconj.

Questi allora ebbe una trovata che gli parve astuta: chiese il pagamento del saldo e intentò un processo a Renzj.

Quando venne il momento di esporre e contestare il caso davanti ai giudici. Berlusconj così si espresse: “Sappi, giovane assai insensato, che in qualsiasi modo il tribunale si pronunci su ciò che chiedo, sia contro di me sia contro di te, tu dovrai pagarmi. Infatti, se il giudice ti darà torto, tu mi dovrai la somma in base alla sentenza, perciò io sarò vittorioso. Ma anche se ti verrà data ragione mi dovrai ugualmente pagare, perché avrai vinto una causa”. Renzj gli rispose: “Se, invece di discutere io stesso, mi avvalessi di un avvocato, mi sarebbe facile di trarmi dall’inganno pericoloso.

Ma io proverò maggior piacere avendo ragione di te non soltanto nella causa, ma anche nell’argomento da te addotto.

Apprendi a tua volta, dottissimo maestro, che in qualsiasi modo si pronuncino i giudici, sia contro di te sia in tuo favore, io non sarò affatto obbligato a versarti ciò che chiedi. Infatti, se i giudici si pronunceranno in mio favore nulla ti sarà dovuto perché avrò vinto; se contro di me, nulla ti dovrò in base alla pattuizione, perché non avrò vinto. I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana. Così un famoso maestro di eloquenza fu sconfitto da un giovane discepolo che, servendosi dello stesso argomento, scaltramente prese nella trappola chi l’aveva tesa.

In attesa di una tua risposta, t’invio i migliori saluti, unitamente a Pier Luigi Bersanj e a Enrico

Maria Elena Boschj


Analisi effettuata da Taluno.
Il testo è poco dettagliato, o troppo generale, come dir si voglia: non viene specificato se Renzj (ahi, che nome, sciogli lingua di vocali) avesse dovuto vincere la sua prima causa da avvocato o da imputato.
E il gioco fonda il suo tentativo paradossale sullo scambio di dette situazioni.
Innanzitutto anticipo il risultato, e cioè che ha ragione Renzj in quanto nell’accordo non sono stati posti limiti di tempo. (questo secondo logica, anche se qualcuno potrebbe umanamente parteggiare per Berlusconj, non digerendo la furbizia di Renzj)

Caso 1)
Renzj potrebbe eludere la richiesta di Berlusconj (pur avendo vinto la causa in tribunale) affermando di aver vinto da imputato e non già da avvocato secondo i termini dell’accordo. (nella soluzione data dal testo invece si afferma che Renzj dovrebbe pagare, proprio perché si gioca sulla transitorietà dei ruoli imputato/avvocato)
Caso 2)
Il tribunale dà ragione a Berlusconj! (è un caso anomalo poiché il verdetto dovrebbe essere a favore di Renzj per i motivi di cui sopra, comunque………)
In questo caso Berlusconj potrebbe richiedere il pagamento di Renzj ricorrendo al potere esecutivo del tribunale che gli ha dato ragione ma contravvenendo ai patti presi ai tempi delle lezioni. (se volesse restare ai patti Berlusconj dovrebbe rinunciare ai soldi di Renzj o restituirglieli in un secondo tempo, nonostante il verdetto a suo favore da parte del tribunale)

Caso 3)
Renzj si presenta in veste di avvocato difensore di se stesso! In questo caso se il tribunale gli dà ragione, per rispettare l’accordo con Berlusconj Renzj dovrebbe pagare; è il caso in cui Renzj si trova a cadere nella trappola di Berlusconj.

Si potrebbe anche ritenere che nel testo non si faccia distinzione tra perdere (o vincere) da imputato o da avvocato; in ogni caso dopo che il tribunale ha emesso la sentenza bisogna fare i conti con i termini dell’accordo che sarà in ultima analisi quello che conta. È una questione di tempi; prima c’è il verdetto del tribunale (che decreta se Renzj vince o perde la causa), poi in base al responso si procede a risolvere secondo l’accordo preso; non si può altalenare tra le due cose fingendo il paradosso.

Ma.

Tornare indietro e pretendere le richieste del verdetto andando contro l’accordo preso è un atto di forza che la logica non considera.
Sottolineo ancora il fatto che la corte dovrebbe dare ragione a Renzj; in quel caso Renzj vince la causa ma da imputato e non da avvocato; quindi Berlusconj non becca il becco di un quattrino!

Forse non ho scritto didatticamente bene!
Pazienza!
Accetto domande!

(mi basta un bicchiere di vino e mi addormento assai)


Ringrazio Elena Maria, esperta in legge, per il simpatico (e tecnico) scioglimento del paradosso.

Talaltro.

Buongiorno! Mi sono imbattuto nel Paradosso di Berlusconj riportato sulle vostre pagine, e mi sono divertito a ipotizzare una soluzione “giuridica”, con il sorriso sulle labbra…

L’accordo stretto tra Berlusconj e Renzj ai giorni nostri si definirebbe contratto condizionale (art. 1353 c.c.), perché l’esigibilità della prestazione da parte di Berlusconj (la somma dovuta dal suo allievo per le lezioni), sarebbe subordinata al verificarsi della condizione secondo cui Renzj intraprenda o meno la carriera forense, e vinca la sua prima causa. Non è pertanto in discussione il “se” Renzj debba dei soldi a Berlusconj, o il “quanto” denaro gli debba, bensì unicamente il “quando” glieli darà.

Tale condizione oggi si definirebbe “meramente potestativa”, giacché il suo verificarsi dipenderebbe unicamente dalla volontà di Renzj. La situazione, infatti, gli consentirebbe di far si che la condizione non si verifichi mai, per esempio scegliendo un’altra professione, il che lo lascerebbe pertanto libero da obblighi verso il suo maestro.

Ad evitare tale pericolo, il nostro codice civile (art. 1355 c.c.) sanziona con la nullità tale tipo di condizione, che si considera pertanto come non apposta, il che consentirebbe a Berlusconj di esigere immediatamente la prestazione dal suo allievo. Renzj pertanto perderebbe la causa. Apparentemente, la sentenza non porrebbe la parola fine circa l’interpretazione dell’accordo, ma andrebbe a costituire un elemento del medesimo, perché statuirebbe che la condizione non si è verificata (Renzj non ha vinto). Riempirebbe cioè di significato (negativo) la domanda, contenuta nel contratto, “si è verificato l’avvenimento previsto dalle parti?”. Avremmo cioè una sentenza che dice una cosa, e un contratto che dice il contrario proprio a seguito di quella sentenza.

Allorché in forza della sentenza Berlusconj richieda la prestazione a Renzj. E

gli tuttavia non potrebbe opporre l’eccezione relativa al mancato verificarsi della condizione “ho vinto la mia prima causa” contenuta nel contratto, proprio perché tale condizione è nulla per i motivi già visti. La sentenza agirebbe cioè “a monte” del verificarsi della condizione, rendendola nulla, e Berlusconj avrebbe via libera al soddisfacimento del proprio credito, indipendentemente dal fatto se Renzj abbia vinto o meno la sua prima causa… 🙂

Giancarlo

Civati, Il paradosso di Berlusconj
Giusephphe Civatj Non c’entra gran che ma c’avevo la foto.

Il Barbiere. Avete mai sentito del barbiere di Capraia?

Il Barbiere

Sono stato nel piccolo paese di Capraia nell’omonima isola di Capraia. Immersa nel Tirreno e nel parco naturale dell’arcipelago Toscano. A Capraia, son venuto a sapere, che vi è un solo barbiere. L’ho incontrato anche al bar, è un uomo minuto, ben curato e ben sbarbato. Egli mi ha detto, tra l’altro, di radere solo e tutti gli uomini del paese che non si radono da soli. Riflettendoci mi sono chiesto se il barbiere rada se stesso? »

Paradossi.

Beh, io sono di Bucine e non conosco bene Capraia, ma se lo facesse verrebbe meno alla premessa di radere solo quelli che non si radono da soli. Lui, infatti, si raderebbe da solo. Ma se non lo facesse ci dovrebbe essere un altro barbiere a Capraia. Lui non sarebbe il solo barbiere. Neppure raderebbe tutti quelli che, sull’isola, non si radono da soli.

Il barbiere di CapraiaSono caduto in una trappola?

No è il famoso paradosso del barbiere. La contraddizione che si esplicita nell’enunciato del problema. Deriva, diciamo che è una versione più semplice, dell’antinomia di Russell.

Bertrand Russell, famoso filosofo Inglese, la enunciò all’inizio del secolo scorso, rivoluzionando le conoscenze logico matematiche del tempo.

L’antinomia di Russell deriva dal tentativo di un matematico illustre del tempo, Gottlob Frege, di rifondare la matematica dal punto di vista della logica. Frege aveva già pubblicato il primo volume dei suoi Principî dell’aritmetica, in cui procedeva alla vera e propria “logicizzazione” della matematica, quando Russell gli scrisse una lettera. Enunciando l’antinomia in cui era incappato leggendo quel primo volume. Frege, che aveva in stampa il secondo volume non poté che riportare, in appendice, la scoperta di Russell. Scusandosi, non per aver commesso lui degli errori, ma perché risultava impossibile ridurre la matematica alla logica.

Il pardosso di Russell si applica nel campo degli insiemi  di Cantor, che per definizione possono essere definiti liberamente.

Pensiamo, come fece il nostro Russell, di dividere gli insiemi in due categorie distinte:

  1. Gli insiemi che tra i loro elementi hanno loro stessi. Cioè gli insiemi che appartengono a sé stessi. Ad esempio chiamando “breve” l”insieme di tutte le cose che hanno un nome breve. Che appartiene a sé stesso perché, a sua volta, ha un nome breve.  Composto di solo 5 lettere “breve” è certamente un nome breve.
  2. Gli insiemi che tra i loro elementi non hanno loro stessi. Cioè gli insiemi che non appartengono a sé stessi. Ad esempio, chiamando “lungo” l’insieme delle cose dal nome lungo. Composto sempre di 5 lettere, non possiamo certo definire “lungo” un nome lungo.

A questo punto se riusciamo a definire più insiemi che rispondono al secondo requisito possiamo definire un’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi. Che chiameremo Russell o, più brevemente “R”. Il problema posto da Russell fu se questo nuovo insieme appartenesse o meno a sé stesso.

Supponendo che vi appartenga, si avrebbe che:

  • R appartiene a sé stesso.
  • Quindi R soddisfa la definizione che ne abbiamo appena dato.
  • Ma R, per la definizione che ne abbiamo dato al momento della sua creazione, deve essere uno degli “insiemi che non appartengono a sé stessi”.
  • Quindi R non appartiene a sé stesso. Il che contraddice quanto appena supposto nel primo enunciato.
Partendo invece dall’affermazione contraria, cioè supponendo che R non appartenga a sé stesso, si avrebbe che:
  • R non appartiene a sé stesso;
  • Quindi R non soddisfa la definizione;
  • R, pertanto, non è uno degli “insiemi che non appartengono a sé stessi”;
  • Quindi R deve essere un insieme “che appartiene a sé stesso”, il che contraddice il primo enunciato.

In sintesi, il paradosso di Russell si può enunciare così: l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi appartiene a sé stesso se, e solo se, non appartiene a sé stesso. Ovvero se appartiene ad un livello di insiemi superiore.

Il Bibliotecario di Capraia

Il paradosso del bibliotecario è un’altra versione del paradosso di Russell dovuta al logico matematico norvegese Thoralf Skolem.

Qui il responsabile di una grande biblioteca (di Capraia?) comincia a catalogare ogni libro presente. Utilizzando diversi argomenti: autore, titolo, anno di edizione, pagine, casa editrice ecc. Dato il gran numero di cataloghi prodotti, si rende necessaria una catalogazione dei cataloghi stessi. Per una migliore fruizione degli stessi. Nella catalogazione di questi cataloghi definisce un criterio. I cataloghi che catalogano anche se stessi. Es. il catalogo dei volumi con meno di 100 pagine. I cataloghi che non includono loro stessi nella lista dei cataloghi catalogati. Per una catalogazione esaustiva il bibliotecario giunge a fare il catalogo di tutti i cataloghi. Comprensivo della lista di tutti i cataloghi che riportano se stessi e di tutti i cataloghi che non riportano se stessi.

Ma, a questo punto della catalogazione il bibliotecario non riesce a definire se in quest’ultimo catalogo dovrà o meno riportare questo stesso catalogo in elenco, ed abbandona l’impresa.

Capraia è un’isola meravigliosa.

Commenti?

Giancarlo

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Articolo 32.

<<La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.>>
Articolo 32 "Piazza Venezia dal Vittoriano". Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Piazza_Venezia_dal_Vittoriano.jpg#/media/File:Piazza_Venezia_dal_Vittoriano.jpg
“Piazza Venezia dal Vittoriano”. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons – http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Piazza_Venezia_dal_Vittoriano.jpg#/media/File:Piazza_Venezia_dal_Vittoriano.jpg
Come possiamo pensare che sia stato scritto qualcosa di più bello. Si sancisce che la cosa più importante, quello che conta di più nella nostra comunità nazionale è l’individuo, i suoi diritti, il suo rispetto.
Tutto il resto non conta o viene in secondo piano.
Per l’Articolo 32:
La persona deve rimanere in salute, anzi la sua salute è tutelata, non possiamo offrile un ambiente degradato, del cibo adulterato, non possiamo privarla delle cure, anche se non può permettersi di pagarle. Ma neppure possiamo forzarla a sottoporsi a trattamenti terapeutici indesiderati, salvo esigenze collettive e, in questo caso, a patto che non violino il rispetto della persona umana. Cioè le esigenze collettive vengono in seconda istanza rispetto a quelle individuali ed al rispetto della persona umana.
Perché la persona umana va, innanzitutto, rispettata anche dall’accanimento terapeutico.
Per questo non andrebbe incarcerata.
Per questo non deve essere torturata.
E per questo non deve essere uccisa (neanche condannata a morte in seguito ad un reato).
Viva la COSTITUZIONE ITALIANA, la più bella del mondo.
Giancarlo

Socrate: fondatore dell’Etica, la filosofia morale.

Socrate

Socrate è il pensatore che ha più di tutti influenzato la cultura occidentale. Nonostante non abbia lasciato scritti: “scrivere corrompe la memoria”. Importante infatti è il metodo di filosofare che ci ha lasciato la confutazione mediante dialogo, il confronto verbale, la discussione mediante il discorso, la parola. Il dialogo è fondamentale nelle culture prevalentemente orali. Ed il rifiuto della scrittura da parte di Socrate appare ora fortemente motivato.

socrate
Morte di Socrate, tela di Jacques-Louis David
Jacques-Louis David – http://www.metmuseum.org/collection/the-collection-online/search/436105 – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:David_-_The_Death_of_Socrates.jpg

Socrate è il fondatore dell’Etica, filosofia morale che cataloga e studia i comportamenti umani. Per distinguerli in buoni, giusti, leciti. Rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi. Seguendo un ideale modello morale.

Comunque Socrate era un rompiballe: giocava con gli uomini. Li prendeva in giro. Li assillava. Sapendo ciò che loro pensavano di sapere, li portava ironicamente a contraddirsi. Non tutti accettavano di buon cuore i suoi sputtanamenti. Come vedremo questo gli costerà la vita.

Socrate, comunque

Comunque era anche un “ganzo”. E’ forse il primo uomo accusato di essere ateo, perché preoccupato di scoprire i segreti della natura.

Socrate era sapiente ma asseriva di non sapere. Arrivando a confutare l’oracolo di Giove a Delfi. Che aveva detto esser lui, Socrate, il più sapiente.Egli sapeva bene di non essere il più sapiente. Per dimostrarlo si mise a dialogare con artigiani e politici, da tutti ritenuti molto sapienti. Il suo modo di dialogare portò alla luce tutte le inadeguatezze, le contraddizioni dei suoi interlocutori. Facendogli di nuovo cambiar idea. Egli comprese di essere veramente il più sapiente. Perché l’unico a sapere di non sapere. La sua coscienza di ignoranza gli imponeva di conoscere di più per migliorarsi. Chi invece pensava di saper già tutto non aveva questo atteggiamento positivo. Quindi Socrate è anche il precursore del pensiero scientifico moderno e del pensiero critico generale.

Questa continua verifica della sapienza degli altri, che finiva sempre per dimostrare il contrario, portò all’accusa di corruzione dei giovani e di introduzione di nuovi dei. Accusa che poi lo fece condannare a morte. Morte che scelse invece di un facile esilio, in cui poteva rifugiarsi se avesse voluto.

Socrate, spirito libero, definì anche il moderno concetto di libertà. Tutti devono essere liberi di cercare o usare il bene purché non in conflitto con gli altri beni e con il bene intellettuale, con la ragione.

Socrate preferiva il dialogo alla retorica ed al monologo. Preferiva confrontarsi con gli altri e tirar fuori il meglio (ed il peggio) da ognuno.

Alla fine della storia si arriva al processo a cui viene sottoposto, processo in cui si difende da solo, sperando di cavarsela con una multa.

Ma viene, ingiustamente, condannato a morte. Per non commettere un’ingiustizia la accetta. Beve la cicuta e, quando il lento veleno fa il suo effetto dice ad uno dei suoi amici e discepoli presenti:

«O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!».

E queste sue ultime poche parole faranno scorrere fiumi d’inchiostro (e se ne avrò voglia ne riparleremo).

Giancarlo

I Presocratici. Chi erano i filosofi che hanno preceduto il grande Socrate?

I presocratici

i Presocratici

Tavola cronologica dei principali i presocratici (Da WIKIPEDIA l’enciclopedia libera)

Socrate è considerato il massimo filosofo mai esistito, il fondatore della filosofia e del pensiero occidente. Non ha lasciato scritti se non tramite i suoi discepoli, Platone, suo allievo, in primis e di Senofonte, altro suo allievo. Ma di lui hanno detto molti, senza pretese di essere storicamente veritieri, molte volte è stato citato in modo partigiano per accreditare le basi del proprio pensiero.

A Socrate è stato, quasi universalmente, riconosciuto il merito di aver sviluppato il metodo di pensiero che ha consentito lo svilupparsi della riflessione astratta razionale che a permesso i progressi filosofici successivi.

Ma chi erano i presocratici e cosa pensavano?

In realtà alcuni presocratici gli furono contemporanei (i sofisti)  per cui si dovrebbe parlare di presofisti e sofisti, poi ci sono alcune distinzioni in base all’area geografica, alla scuola ecc, ma insomma se date un occhio alla tavola cronologica più sopra ci sono tutti, da Talete  fino a Socrate e da Parmenide in poi son tutti contemporanei.

E di cosa si occuparono?

Cercarono di spiegare l’universo e l’essere e la realtà, estraendone i principi fondamentali. Così Talete associa l’esistenza alla presenza di acqua. Mentre Anassimandro scelse un principio astratto, l’Apeiron. Che muovendosi all’infinito e separandosi dava origine a infiniti mondi. Anassimene utilizza il principio di questi per affermare che sia la concentrazione o la rarefazione dell’aria anch’essa infinita ed in movimento. Pitagora e la sua scuola lasciano i principi fisici e si spostano sui numeri.

E

Eraclito cerca i principi nel fuoco e nella ragione. Creando la tesi del divenire, il panta rei. Il flusso che segna il mondo e si manifesta nella lotta dei contrari, che però sono una cosa sola. Lotta che fa scaturire l’energia necessaria alla vita. “L’intero e il non intero, il convergente e il divergente, l’armonico e il disarmonico, si toccano. Da tutte le cose ne sorge una sola e da una ne sorgono tutte”, ”Polemos (la guerra) è il padre di tutte le cose”.

Poi

Parmenide invece, tramite la ragione, giunse a conclusioni diverse. “L’essere è, il non essere non è. L’essere è il fondamento, ma deve essere pensato E’ unico perché unica realtà esistente. Intero perché in quanto unico niente può dividerlo. Immobile perché per muoversi dovrebbe occupare uno spazio vuoto che non esiste. Ingenerato perché non può essere stato generato dal non essere (che appunto non esiste). Zenone, tramite il paradosso vuole dimostrare l’immobilità. Una freccia lanciata verso un bersaglio non si muove mai. In quanto in ogni istante è immobile, ed una somma di immobilità non può dare movimento.

Inoltre.

Empedocle e Anassagora cercarono la sintesi tra queste filosofie. Assunsero molti elementi, l’acqua, il fuoco, l’aria e la terra. Attribuendogli movimenti ciclici infiniti. Con la competizione tra amore ed odio che crea la vita per il primo. Mentre per il secondo la vita è creata da una intelligenza divina che facendo spostare turbinosamente le particelle del mondo ne fa conoscere le dissimili. Questi filosofi pluralisti arriviamo al concetto che nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Democrito, per ultimo, distinguendo tra una intelligenza sensibile e oscura e una razionale e genuina, pone come base dell’universo infiniti atomi, ovvero il più piccolo elemento della materia, indivisibile e eterno. I vortici di atomi formano infiniti mondi.

In fondo i presocratici hanno già spiegato tutto. Anzi ipotizzando infiniti mondi e, con atomi diversi, inconsistenti, cose vacue come l’anima, già sono giunti a conclusioni che richiederanno altre migliaia di anni per essere comprese.

Giancarlo

 

La Filosofia. L’utilizzo del pensiero per capire il mondo

La filosofia

Aristotele diceva , a proposito della filosofia:

« Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare. Dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui. »

Ma come si definisce la filosofia:

Dal greco antico si potrebbe tradurre come amore per la sapienza. Oppure affinità alla conoscenza, realtà del mondo e delle cose, comprensione e verità delle cose.

Verità, forse la filosofia è proprio la ricerca della verità. Mediante la ragione, ragione che è l’unico giudice in grado di stabilire quale sia la verità. Naturalmente si può ricercare la verità sull’essere umano o solo sul perché esistiamo. Cercare la ragione di esistere o ragionare su quel che siamo. Comunque sembra che la filosofia sia nata subito dopo che l’uomo ha soddisfatto i suoi bisogni primari, la fame e la sete. E la filosofia è la cosa usata per interpretare il senso di meraviglia per quel che siamo e per quello che ci circonda. Ma qualcuno ha detto che non si trattava di meraviglia, si trattava di timore. Di paura di fronte agli eventi naturali ed alla difficoltà di spiegare il loro verificarsi: dal fuoco alla pioggia, dalla vita alla morte.

Allora bisogna poter conoscere, capire, anche se non sembra possibile riuscirci.

E la vicinanza con la conoscenza respinge il terrore del nulla, del divenire verso il nulla. Del mondo, della vita e dell’incomprensione dell’origine del mondo e della vita.

La filosofia quay dorsay origine della vita colbert
Gustave Courbet L’Origine del mondo http://www.musee-orsay.fr

Questa ricerca filosofica porta a usare il pensiero. Utilizzo che ha prodotto le scienze e le arti.

Storia, arte, scienza tutto nasce per spiegare la vita e la sua fine. Ed è passione per la verità.

E’ il tutto. Tutto è filosofia.

Giancarlo

Ancora sulla guerra, voglio farvela vedere.

Si parla ancora di questo

Guerra: ancora conflitti ovunque.

Da metà del secolo scorso, abbiamo sperimentato il più lungo periodo di pace mai avuto dal genere umano.

Ma lo abbiamo visto solo noi Europei, non tutti.

Si sente parlare di guerra come fosse niente,

La facciamo all’lsls , la facciamo al terrorismo…basta fare guerra… la facciamo subito.

 

Ma questa parola vuol dire morte.

E allora, ecco un “bel” cimitero di guerra.

Bello, ben tenuto, ma sempre cimitero, un posto dove si ricordano i morti.

Qui son finiti tutti che avevano da venti a trent’anni.

Non hanno nemmeno vissuto la loro vita, sono morti, senza conoscere molto della vita. Sono morti, probabilmente, senza saperlo.

A voi vorrei ricordare cosa significa, in fondo, quello che hanno fatto. è tutto scritto in quelle lapidi bianche. Che sono una accanto all’altra in file e righe infinite. E questo è solo un piccolo cimitero di guerra, piccolo piccolo.

Anche se qualcuno vorrà convincervi del contrario, date retta a me:

Fate l’amore, non fate la guerra.

guerra
Panorama
Altro panorama
Incroci di vite, incroci di morti.

guerra

Un soldato dell’esercito Indiano è onorato qui. Un milite ignoto.

guerra
Diciannove anni, un fuciliere, un ragazzo.
guerra
Era la piccola sezione delle forze armate Indiane cadute nei pressi di Arezzo.
guerra
Quante lapidi, tutte uguali, tutte in fila.
Un soldato

Welcome

Giancarlo

Nel blog ci occupiamo spesso di questo argomento, ne abbiamo già parlato:

Qui, qui, qui, qui qui, qui, qui, qui e qui.

Lavoro

Lavoro

Nel giorno della festa dei lavoratori.

Sempre nella trasmissione di cui parlavo nel mio post precedente, si parlava anche di lavoro.

Si diceva che l’Europa fa di tutto per migliorare la condizione lavorativa dei giovani. Si è parlato di

EURES (European Employment Services – Servizi europei per l’impiego) e della strategia Europea 2020, per portare il tasso di occupazione Europea più su, con un investimento miliardario, naturalmente.
Ore se volete potete vedere i numeri e sentire le interviste ai link che vi ho meso sopra, ma io volevo solo puntualiìzzare il concetto che ci sta dietro.
Durante la trasmissione si enfatizzaveno i risultati, posti di lavoro in più, o almeno, se non addizionali, trasformati da precari a fissi.
A parte il fatto che i nuovi fissi Italiani a tutele crescenti fanno si che se ti vogliono licenziare, es perché in cinta, ora lo possano fare, pagando, ma pagando niente.
Il programma Europeo prevede la mobilità dei posto in Europa, più posti dove ce n’è bisogno accessibili a chi ne ha più bisogno, sempre che abbia capito bene e che sia veramente così, mi sembra buono, un ricercatore potrà finalmente ricercare, un ingegnere ingegnarsi, un intellettuale intendere ed essere pagato per questo.
Ma un operai, un manovale, un muratore, un contadino un raccoglitore di pomodori un addetto all’autospurgo, magari con figli piccoli, magari con la casa ereditata dal padre morto di cancro da pagare a rate per la successione, come potrà usufruire di queste facilitazioni lavorative o d’impiego in Europa, come potrà muoversi per la Germania, per l’Inghilterra, meno male che almeno l’inglese, o il Francese, ogni Italiano lo conosce benissimo, almeno riuscirà ad intendersi con i nuovi colleghi e compagni di lavoro.
Meno male che almeno la famiglia che resta in Italia potrà aiutarlo ad inserirsi nel nuovo ambiente, grazie agli scambi culturali creati in 70 anni di gemellaggi e quant’altro Meno male che con Skype alla sera potrà vedere i figli rimasti in Italia crescere bene e giocarci per farsi amare e riconoscere come padre.
Meno male hanno pensato a tutto.
Sono contento.
Finalmente i mie soldi non sono stati buttati al vento, inutilmente.
Ora i mie figli potranno emigrare senza valigia di cartone e spago.
Che dire di quelli che parlano male dei burocrati Europei, definendoli con i peggiori epitaffi: parlano male.
E…pensare male è peccato, anche se molte volte ci si indovina.
Giancarlo