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Dodicesimo secolo

Bucine città murata

E’ arroccata su un piccolo colle e cinta da mura enormi. Bucine nel dodicesimo secolo ha solo tre porte per comunicare con l’esterno.

Inoltre sono porte doppie, tanto è ciclopico lo spessore delle mura.

Un ponte levatoio fa accedere alla porta da un lato e ne fa scendere dall’altro permettendo in questo modo di attraversare i due larghi e profondi fossati presenti da ambo i lati delle porte.

In poche parole per entrare a Bucine si doveva abbassare un ponte levatoio per superare il fossato esterno ed accedere alla porta esterna.

L’apertura della porta faceva alzare il ponte levatoio abbassato e quindi permetteva l’accesso alla porta successiva dopo l’attraversamento delle mura. L’apertura della successiva permetteva di calare l’altro ponte e superare il fosso interno ed entrare in paese.

Era una sicurezza contro eserciti invasori con avrebbero mai potuto entrare in massa.

Cerchie di mura interne permettevano un ulteriore difesa.

Ma le porte servivano anche ad altro.

Bucine, dodicesimo secolo

A quei tempi la pena capitale non era stata ancora abolita in Toscana, ma i reggenti di Bucine, illuminati anzitempo, offrivano sempre una chance di salvezza al condannato anziché ucciderlo.

L’uso era questo:

In pratica il condannato veniva esiliato, quindi doveva lasciare il paese, passando da una porta.

Vi ho detto che dentro le mura venivano allevati animali. Erano capre, maiali, buoi e cavalli; ma per quella occasione dietro una porta venivano celati dei leoni affamati, trattenuti in lunghe catene e solo il custode sapeva dove.

A quel punto il condannato doveva scegliere una porta di uscita ed oltrepassarne il ponte levatoio. Solo allora poteva chiedere aiuto ed il custode in risposta avrebbe aperto una delle due porte rimaste, una che lui sapeva custodire solo animali domestici. A quel punto al condannato veniva chiesto se volesse cambiare porta, e passare da quella delle due rimasta chiusa o preferisse mantenere la scelta iniziale e proseguire da li.

I più scaltri cambiavano idea ed in gran parte riuscivano a raggiungere l’esilio. I più fessi mantenevano la scelta e venivano in gran parte divorati dalle fiere affamate nascoste dietro la porta.

Morale della storia:

Cambiare da maggiori probabilità di successo (*).

Giancarlo

(*) Una storia di Bucine basata su un’elaborazione del paradosso delle tre carte.

Dgecc (Jack)

Una mattina

Era una calda mattina autunnale e Dgecc si era svegliato bene quel giorno.

Sentiva l’aria pregna di buoni odori.

Ottima cosa, gli venne voglia fare una uscita fuori paese.

Bucine non era grande, neppure ai tempi di Dgecc, le auto erano poche ed incontrarne una ti faceva ancora girare la testa per guardare.

Ma quel giorno non girava un cane per Bucine e allora perché restare lì? Tanto valeva andare verso i Borrali o in cava. Ma i Borrali sono sempre stati troppo umidi e bui, meglio in cava, li si può sempre incontrare qualcuno, certamente.

La cava di Bucine

La cava era abbandonata da tempo, ma il laghetto rimasto al posto dello scavo è sempre stato un richiamo per animali e pescatori.

Dalla cava si estraevano sabbie e ciottoli, ammucchiatisi sulla sponda destra del famoso lago del Valdarno, presente fino al paliocene, o giù di li. Si chiamano “Terre di Bucine” e sono la formazione geologica più frequente nel sottosuolo. Si tratta di un agglomerato semi solido di ciottoli e sabbia trasportata dall’acqua erosa dalle attuali colline del Chianti e della Valdambra. La cava negli anni aveva estratto tanto materiale.

Ma Dgecc non lo sapeva

Non ne sapeva nulla, ne gli importava di saperlo. Sentiva solo che i profumi la, erano più intensi e lo inebriavano come fa il mosto dalle coloniche dei contadini.

In cava si incontravano spesso fagiani, quaglie ed anche starne che erano meravigliose quando, goffamente, volavano via impaurite.

C’erano anche delle lepri, ma non gli interessavano, non volano mica quelle.

Ecco era li, da solo perché non si vedeva nessun pescatore, strano nel laghetto c’erano carpe enormi e barbi e cavedani, che lo rendevano ambito.

Peccato che il padrone, un tizio vecchio e astioso, non volesse nessuno in giro, Forse non voleva che rubassero i pesci o spaventassero i fagiani, chissà.

Vecchiaccio maledetto

Fatto sta che il malefico, si era stufato di mandar via gente che entrava nonostante i cartelli. Come se tutti sapessero leggere i cartelli.

Il vecchiaccio sempre più esasperato dai furti e, forse, dall’età avanzata, aveva deciso di finirla.

Aveva messo delle trappole da orso, o da qualcosa di più grosso, e disseminato la zona di cartelli di avviso, di proibizione, di divieto assoluto.

Ma Dgecc se ne fregava cioè, Dgecc non sapeva mica leggere, per lui quei cartelli rossi con croci e teschi non significavano niente.

L’aria profumava e lui era felice così.

Alla fine finì proprio su una trappola, che di scatto lo morse alla gamba.

Se aveste visto l’espressione di sorpresa, di meraviglia… poi di paura… di dolore.

E giù sangue a fiotti.

Ritirò immediatamente la gamba, d’istinto, ma una parte gli rimase li, per terra.

Non sapeva che fare soffriva come un cane.

Beh! In fondo è normale, Dgecc era un cane.

Soffriva ma riuscì a tornare in paese. Qualcuno la vide e lo curò.

Da allora non lo chiamavano più per nome, il suo nome divenne “Tre gambe”, perché quelle gli erano rimaste e con quelle continuò ad andare.

Non tornò più in cava, neanche quando l’aria profumava tanto di quaglie e di fagiani.

Ceppoduro

Tramonto

Ci siamo

Siamo arrivati al tramonto.

Uno spettacolo della natura, bello e scenografico.

La parte del giorno più densa colorata e comunque mai grigia.

Ma dopo il tramonto cosa ci sarà? Il buio, della notte, a volte profonda? La morte? Morte che come cantava Branduardi, è unica, viene una volta sola, come la vita, e come essa non torna più.

Io non mi aspetto gran che dopo il tramonto. Se potessi vegliare, organizzare i ricordi, passarli a qualcuno raccontandogli le storie, la mia storia. Ma non si vive di notte, almeno noi esseri umani. Di notte si dorme e ci si ripara al coperto, di notte si muore.

Allora, anche se dopo il tramonto non ci raggiunge la morte, il buio che viene nasconde i colori vividi di poco prima, le luce si spegne, il sole cala e nessuno sa se tornerà un domani.

La paura è l’unica cosa che può accompagnare la notte, mentre il sole infuoca un altro orizzonte e poi un altro e un altro ancora fino a domani,… forse.

Il tramonto è passato

Non ne resta che un debole ricordo, che svanisce via via lasciando il posto alla paura, alla paura del domani che mi assale pian piano.

Lo so… lo so… è un pensiero sbagliato, ci sarà un domani e sarà bellissimo, come lo è stato oggi, com’era ieri.

Ma…

Maledizione il buio è freddo e neppure la legna che arde riesce a scaldare il cuore.

Sono solo e infreddolito, impaurito.

Incapace di accettare la fine, la fine del giorno, la fine della vita, la fine di tutto.

Non posso neppure appellarmi ad un qualche dio, so che non risponderebbe, neppure ad indovinarne il nome.

Allora posso solo rintuzzare la brace, che non si spenga la fiamma e con essa speranza.

Dovrei dire a qualcuno ciò che conosco, non vorrei che fosse troppo tardi, non vorrei non avere tempo, non vorrei che non ci fosse un domani, e mai più neppure uno ieri.

Ceppoduro

Profumo

Capita

Oggi ho cambiato profumo

Non che puzzassi… non mi piaceva più il mio solito, quello che usavo da tempo.

Mi sono detto che era tempo. Potevo cambiare, dovevo cambiare.

Una nuova strada mi si parava davanti, dovevo solo prenderla, intraprenderla, portarmi avanti.

In realtà sono un tipo tradizionalista, non cambio facilmente,forse non cambio mai. Sempre la solita routine, sempre il solito tran tran.

Come dirlo… preferisco quello che conosco all’ignoto. Non preoccuparti, non ho paura, non sono fifone, non sono conservatore. Ma non mi manca nulla, non ho bisogno di nulla, specie le novità.

Se voglio qualcosa di diverso me lo invento, lo creo, lo determino, non vado pazzo per l’incognito, l’ignoto lo ignoro, lo evito se posso.

Alle volte

profumo

Ma può succedere che ti prenda la voglia. Come è successo a me. Ho pensato che lo steso profumo, alla lunga, puzzi. Non che puzzi veramente, ma alla fine non si distingue più a naso, e neppure si può apprezzare in altro modo, un profumo è immateriale, come il puzzo, il cattivo odore, il miasmo.

Sono fortunato, posso cambiare profumo senza che se ne accorga qualcuno. Le mie relazioni sociali sono molto distaccate, sia moralmente che fisicamente. Insomma non mi si fila nessuno, e allora posso approfittarne, non ci sarà nessuno a sentire la differenza e domandarmene la raone.

Di cambiare profumo

Se mi va di cambiare posso farlo e…

Niente “why?”, niente “because…”, anzi niente di niente.

Solo la soddisfazione di non essere adusi al momento, sentirsi liberi, sentirsi nuovi, sentirsi diversi.

No, no, non essere diversi, mai, siamo quel che siamo anche se non ci piace, e a me piace molto quel che sono, no…

A volte una spilla senza senso, senza appartenenza aiuta a cambiare, a far finta di cambiare.

Sono sempre cambiato pur rimanendo me stesso.

Voglio essere io

Solo sembrare un altro.

Non uno meglio, non di più, non più ricco…

solo diverso.

Ceppoduro

Fuoco

Un fuoco

Sono anni che il fuoco cova. Coperto di cenere, senz’aria per non avvampare, cova dentro.

Sembrava spento e pensavi che tutto sarebbe andato bene, che tutto stesse andando bene, che sarebbe continuato così, ma così non è stato… per via del fuoco.

Un fuoco covante è pericoloso, il più pericoloso; quando si mostra è tardi, brucia e distrugge tutto.

Non pensavo sarebbe accaduto.

Non ci pensavo più.

Poi sono scivolato.

Il terreno sotto di me cadeva ed io cercavo di non franare con esso. Ma più arrancavo, più mi aggrappavo agli appigli che mi si mostravano, più mi mancava terreno sotto i piedi e precipitavo.

fuoco

Una luce

Stavo bene nella penombra della mia vita. Non avevo più affanni, i pensieri nel senso di preoccupazioni, mi avevano lasciato libera la mente. Ero in pace con me e con il mondo.

Ero nel mio Nirvana personale, senza più vita, senza desideri. Finalmente non volevo, non invidiavo più alcunché. Nemmeno amavo o odiavo e non pensavo di potermi illudere ancora.

Non immaginavo di rivedere la luce. Invece l’ho vista, la vedo, è qui di fronte a me… sei tu!

E’ bastato sentire la tua voce per illudermi di nuovo. Non dovevo, non dovrei illudermi, ma non potrò farne a meno.

Ho ritrovato il desiderio e voglio, devo, bramo stare con te.

Il buio

Il buio si è rotto. Quel fuoco, con le sue fiamme vive, ha dissolto la tenebra, che ancora si mostra tra i suoi riflessi, ma ormai divampa così tanto che le tenebre sono scomparse sotto la luce potente dell’amore.

fuoco

So che è un illusione, che non durerà, non può durare in eterno, come vorrei. Sono conscio che verrà il momento nichilista, tornerà il buio, finiranno le illusioni e il desiderio sarà un ricordo.

Quando ti avrò perso morirò.

Ti perderò e morirò.

Ceppoduro

Marta

Marta

Marta ha occhi chiari ed i seni grandi.

Conosco quasi solo questo di lei.

E’ strano che ricordi così poco, perché l’ho incontrata per la prima volta alle elementari. Io facevo la quinta, lei la prima; ma ricordo solo il nome, non rammento come fosse a quel tempo, non ricordo nulla.

Marta

L’ho rivista al liceo, io sono all’ultimo anno e lei il primo. Ora però non passa inosservata.

La corteggiano tutti. È giovane, ma è bellissima.

Mi è entrata in testa, anche se lei non mi caca, anzi, penso neppure mi veda.

Eppure ne sono perso, cerco un contatto in corridoio passando, macché… mille volte cerco di sfiorarla, ma lei niente, nemmeno si accorge di me.

Andiamo Marta …

Marta

Patisco. Ritengo si sia messa con qualcuno, no, non è vero, con nessuno.

È sempre solo con le amiche.

Grande!

La sento ridere, cristallina. Vedo il volto luminoso. Immagino i suoi seni sotto la maglietta.

Grandi!

Ho pensato cento colte come come conoscerla, ma niente, non so come fare.

Tonto!

Oggi gli ho telefonato dieci volte, risponde un uomo… ho smesso.

Tanto…

Tanto sono davvero imbranato, anche se vorrei non esserlo. È un ossessione.

Sogno.

Sogno che mi arrivava da dietro e mi copre gli occhi con le mani ed io, anche se non parla, sento che è lei e grido il suo nome. Lei ride, ride e scappa via. Io la rincorro e la raggiungo e allora, pop, lei svanisce, proprio quando sto per abbracciarla.

Segno.

Segno che sono proprio rimbambito, segno che devo smetterla con queste seghe mentali, non posso vivere così, o l’affronto o la smetto.

Smetto.

Smetto di farmela sotto. Incontro Marta all’uscita della palestra. La saluto. Mi saluta.

Marta

Le dico chi sono e lei: “Lo so, sei di quinta C”. Ed io: “Mi conosci? Scusami anch’io ti conosco dalle elementari, ma…”

“Ma…?”

“Ma che fai oggi pomeriggio? Ci sono i mercatini di Natale, ci andiamo?”

Ceppoduro

Picino

Picino

Picino. Non è un diminutivo, ne un vezzeggiativo. Non vuol dire giovane e neppure di piccole dimensioni.

Forse corrisponde meglio ad infantile, però forse lo penso più come cattivo, come può esserlo solo un adulto. Maligno e pure stronzo ed invidioso.

Ecco come sei

Picino
Occorre aggiustarlo

Sei picino.

Non hai un grande cuore, nemmeno una mente sviluppata, perdi il tuo tempo nel livore e nel rancore.

Invece di fare o tentare di fare qualcosa, trovi tutte le scuse possibili per cercare di dimostrare che non è colpa tua, ma della sfortuna, della fortuna dei colleghi. Sempre colpa degli altri.

Poveretto, capitano tutte a te. Tu che sei il più bravo, tu che ti impegni tanto. Nemmeno la salute ti assiste, ipocondriaco dalla nascita, hai tutti i sintomi delle peggiori malattie.

Per non parlare delle allergie, le allergie sono malattie tremende, basta che le trascuri un attimo e sei finito.

Quella volta che sei entrato in un auto che aveva investito un gatto… il gatto si era salvato per un pelo, ma quel pelo era entrato nell’impianto di condizionamento. Meglio non ricordarti le conseguenze.

Picino picino

Picino

Poi ci si mette anche la famiglia, sono anni che devi assistere i tuoi genitori, ormai vecchi, devi assisterli tutto il giorno, ogni giorno.

Lascia perdere le scuse, sei un vigliacco, pensi di avere tutti contro cosicché infami tutti, preventivamente. Senza ragione, senza senso, senza pace. Questa rabbia ti distrugge. Se qualcuno ottiene una posizione migliore della tua, sociale o aziendale, ne muori. Perché lo sai che dovrai leccargli il culo per portarlo dalla tua parte, per trarne vantaggio.
Ma avresti dovuto ottenerla tu quella posizione.

Anche se sai che non la hai nemmeno chiesta. Anche se sai che non sei all’altezza del compito. Ma vorresti esserlo, vorresti essere stato scelto tu. Tu che sei nobile di cuore, tu che sei bianco di spirito, tu che sei infallibile.

Maledizione, perché hai perso i capelli, se non avessi avuto l’alopecia apicale, ora avresti sicuramente una posizione apicale. Saresti in vetta.

Merda

E allora giù merda, su tutti, come piovesse. D’altra parte anche gli altri avranno già parlato male di te, sicuramente.

Nel caso non lo avessero (ancora) fatto sarebbero davvero fessi. Sono tutti fessi. Tutti incapaci, ma hanno fatto tutti carriera, cretini!

Ma non meritano nulla.

Nessuno merita nulla.

Ma perché sei l’unico a non meritare, ne ottenere, mai nulla?

Basterebbe emigrare, all’estero guadagnano molto di più che qua.

Ma tu non ci puoi andare in Inghilterra, hai dei genitori anziani e sono così malandati e bisognosi di cure.

Ah se fossi vaccinato, non ti saresti raffreddato.

E avrebbero scelto te.

Non preoccuparti dei tuoi pensieri, non hai il cuore nero e neppure la mente contorta.

Sono gli altri, tutti gli altri, che meno valgono, meno si impegnano è più vanno avanti.

Incredibile!

Ceppoduro

Dio non c’è, davvero!

C’è guerra nell’area sub Sahariana Africana.

Dio non c’è, non c’è Dio dove la guerra è.

E se anche ci fosse, sarebbe un Dio incazzoso, che scaccia la gente, che depreda, che uccide, che…

E allora io e mio fratello andiamo più a nord. Ho sentito che li si sta bene, ho sentito che la costa Libica è bella. Ci sono le palme datteri per tutti. Lo ha detto Ibrahim, lui sa. C’è stato e, se Dio vuole, ci andremo anche noi.

Partiamo una notte buia, senza stelle nel cielo.

Sento solo il calpestio dei piedi dei miei compagni di viaggio ed il respiro regolare del dromedario, che porta le nostre cose.

Camminiamo, al buio, seguendo il compagno davanti. Non so dove andiamo. Non so dove andare, ma andiamo. Senza una stella davanti a noi.

La libia.

Mi chiedo come sarà la Libia? Ho paura. Ecco la vedo, è bellissima.

dio non c'è, davvero

Sotto la luce dell’alba è bellissima e sterminata. Peccato finisca in un campo, ci portano li. D’altronde non ne possiamo più di vagare in qua e in la e non possiamo neppure restare in giro. I Libici hanno paura di noi, dicono che gli rubiamo gli animali, che gli entriamo in casa. Ma è solo perché non ci conoscono, almeno non conoscono me. Non ho mai rubato, non ho mai ucciso, io.

Fortuna che lasceremo presto il campo. Mi han detto che si stanno organizzando per portarci più avanti. Mio fratello è dimagrito tantissimo, speriamo resista.

D’altronde non abbiamo cibo e quel poco che arriva non è facile prenderlo per se. E’ una lotta immane. Speriamo finisca presto.
Qualcuno si è ribellato. Lo hanno pestato. Qualcun altro non l’ho visto più, sarà già partito. Che Dio sia con lui.

Se hai un po’ di soldi parti subito, altrimenti aspetti o te li procuri in qualche modo.

Dio non c’è.

E’ buio, andiamo via. E’ buio, nemmeno una stella in cielo. Ora sento il mare, sento le onde frangersi sulla riva, ma è tutto nero, siamo tutti neri, non si vede nulla.

Non so quanti siamo, saliamo, è una barca?Si, deve essere una barca, oscilla lentamente.

Mi spingono avanti, si scende. E’ buio. Ci dicono di stare in silenzio. Stiamo in silenzio. In piedi che non c’è posto a sedere. Chissà quanti siamo? Ci sarà anche Dio, in piedi con noi?

Poi il moto si amplifica. Non riesco a immaginare le onde, la fuori. Ma è buio, non si vede il cielo ne si vedono stelle.

C’è puzzo di orina e di vomito. Chissà cosa hanno vomitato? Non mangio da giorni!

Ad un’onda più grande qualcuno cade, e dietro ne cadono altri. La barca sembra sul punto di ribaltare. Poi si ferma, poi di nuovo quasi ribalta, e ancora, ancora.

Non si vede una stella

Non si vede nulla.

Buio, orina e vomito.

Poi entra dell’acqua, è tanta, è fredda e salata.

Che casino.

Io vengo sbalzato fuori, mio fratello non so.
Dio dov’è?

Io non so nuotare, nemmeno mio fratello.

Mi attacco ad un rottame, guardo il cielo, ma è buio.

Non ci sono stelle nel cielo.

Non c’è Dio lassù.

E nemmeno quaggiù, tra noi.

Davvero.

Ceppoduro

Un artista

Un artista

Mario era un artista.

Un artista vero.

Dipingeva con la testa, oltre che con il cuore.

un arista

Non era famoso. Non oltre quelli della sua cerchia. Tutti amici , molti pittori come lui. Qualcuno più bravo di lui, ma molti no, alcuni di quelli bravi e di quelli meno bravi lo invidiavano. Ma solo perché erano invidiosi di per se.

Lo sarebbero stati anche se Mario non fosse stato bravo.

Purtroppo l’arte è una pratica ingloriosa. Non c’è gloria in questo mondo per chi campa come lui.

Mario non mangiava ogni giorno. Almeno non fintanto che un amico gli offrisse un cappuccino con pasta, o un panino. Solo un pezzo, non lo accettava tutto: “solo un pezzo, per sentire com’è”.

Ma cos’è la gloria?

Un artista

Non c’era gloria per lui. Chi avrebbe potuto aiutarlo, chi poteva fargli da mecenate, lo ignorava, non ne capiva l’ironia, non si accorgeva di quanto valeva.

Mario continuava a dipingere, anzi, continuava a fare arte, assemblando, incollando, sporcando quello che riusciva a reperire.

Qualcuno gli regalava mezzi barattoli di smalto acrilico, dicendogli che gli era avanzato dal verniciare il davanzale.

Il fruttivendolo gli dava le casette vuote, sia di cartone che di legno.

Una pacchia, dei materiali bellissimi, e utili, e belli.

Spazzatura di un artista

Molti consideravano tale la sua arte.

Anche quelli che lo ammiravano. Materiali poveri e inutili e brutti.

Mario, ironico, graffiante, aggiungeva schifezze agli scarti dei nostri consumi. Strappava pezzi di imballi, divideva il cartone ondulato, aggiungeva pezzi dei legni delle cassette e colori.

Non è facile definire e catalogare l’arte di Mario. Io la definirei semplicemente “Arte”.

Derideva la natura umana, i suoi difetti, le sue pochezze. Non so se ha mai dipinto una donna, solo il concetto essenziale. Anche dell’uomo solo un graffito. Gli piaceva molto scrivere sulle sue opere, a volte in maniera diretta, a volte nascosta.

In poche parole Mario era un artista, vero.

Giancarlo

Dumilio

Dumilio

Ha quasi vent’anni si chiama Dumilio . Lui fa parte della Generazione Z, quelli nati nel nuovo millennio, il terzo.

Anzi potrebbe esserne il primo, se non fosse nato in Italia che è un po’ in ritardo sul fuso orario mondiale, perché è nato poco dopo mezzanotte dell’anno 2000.
Da poco maggiorenne Dumilio ha votato alle scorse elezioni politiche.

Ha votato bene, ma in casa ci sono state discussioni. I suoi genitori non erano d’accordo con lui.

D’altronde loro

D’altronde loro facevano parte della Generazione X. Quella figlia dei figli dei fiori. Quella dei post Sessantottini. Che hanno fatto i figli tardi vivendo i mitici anni Ottanta e Novanta alla grande. Quella che ha distrutto il pianeta inquinandolo, sfruttandolo, cementificandolo. Poi ha rubato, deindustrializzato, delocalizzato, perdendo il lavoro o tenendolo a vita.

Chi ha potuto ha generato i Millennials, quelli della Generazione Y.

Dumilio

Gli altri prima per scelta, per godersi la vita e la gioventù, poi per i problemi economici e le incertezze sul futuro ci hanno provato nel nuovo millennio.

Ed è nato Dumilio

Che è stato cercato, voluto, desiderato.

È stato una scommessa, una ripicca, un capriccio.

Una speranza, forse un’idea.

Un figlio, nuovo, per un mondo nuovo. Migliore.

È stato il riscatto per angherie subite, per il disprezzo sfacciato dei potenti, dei ricchi, verso un popolo ridotto in catene, sbeffeggiato, derubato, impoverito.

Dumilio rimetterà a posto le cose, potrà vivere in un mondo nuovo, in accordo con la natura, senza inquinare, senza sfruttamento delle risorse. Dumilio sarà l’uomo del terzo millennio.

Ma Dumilio non ha votato PD, come fanno da sempre i suoi genitori.
Lui ha votato Cinque Stelle, come tanti con lui.
Ha votato chi portava istanze nuove, onestà, preparazione, concetti che i suoi genitori non capivano.

Uno di sinistra deve votare per chi si dichiara di sinistra, anche se poi si comporta come fosse di destra.

Dumilio invece no!

Ceppoduro