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Dgecc (Jack)

Una mattina

Era una calda mattina autunnale e Dgecc si era svegliato bene quel giorno.

Sentiva l’aria pregna di buoni odori.

Ottima cosa, gli venne voglia fare una uscita fuori paese.

Bucine non era grande, neppure ai tempi di Dgecc, le auto erano poche ed incontrarne una ti faceva ancora girare la testa per guardare.

Ma quel giorno non girava un cane per Bucine e allora perché restare lì? Tanto valeva andare verso i Borrali o in cava. Ma i Borrali sono sempre stati troppo umidi e bui, meglio in cava, li si può sempre incontrare qualcuno, certamente.

La cava di Bucine

La cava era abbandonata da tempo, ma il laghetto rimasto al posto dello scavo è sempre stato un richiamo per animali e pescatori.

Dalla cava si estraevano sabbie e ciottoli, ammucchiatisi sulla sponda destra del famoso lago del Valdarno, presente fino al paliocene, o giù di li. Si chiamano “Terre di Bucine” e sono la formazione geologica più frequente nel sottosuolo. Si tratta di un agglomerato semi solido di ciottoli e sabbia trasportata dall’acqua erosa dalle attuali colline del Chianti e della Valdambra. La cava negli anni aveva estratto tanto materiale.

Ma Dgecc non lo sapeva

Non ne sapeva nulla, ne gli importava di saperlo. Sentiva solo che i profumi la, erano più intensi e lo inebriavano come fa il mosto dalle coloniche dei contadini.

In cava si incontravano spesso fagiani, quaglie ed anche starne che erano meravigliose quando, goffamente, volavano via impaurite.

C’erano anche delle lepri, ma non gli interessavano, non volano mica quelle.

Ecco era li, da solo perché non si vedeva nessun pescatore, strano nel laghetto c’erano carpe enormi e barbi e cavedani, che lo rendevano ambito.

Peccato che il padrone, un tizio vecchio e astioso, non volesse nessuno in giro, Forse non voleva che rubassero i pesci o spaventassero i fagiani, chissà.

Vecchiaccio maledetto

Fatto sta che il malefico, si era stufato di mandar via gente che entrava nonostante i cartelli. Come se tutti sapessero leggere i cartelli.

Il vecchiaccio sempre più esasperato dai furti e, forse, dall’età avanzata, aveva deciso di finirla.

Aveva messo delle trappole da orso, o da qualcosa di più grosso, e disseminato la zona di cartelli di avviso, di proibizione, di divieto assoluto.

Ma Dgecc se ne fregava cioè, Dgecc non sapeva mica leggere, per lui quei cartelli rossi con croci e teschi non significavano niente.

L’aria profumava e lui era felice così.

Alla fine finì proprio su una trappola, che di scatto lo morse alla gamba.

Se aveste visto l’espressione di sorpresa, di meraviglia… poi di paura… di dolore.

E giù sangue a fiotti.

Ritirò immediatamente la gamba, d’istinto, ma una parte gli rimase li, per terra.

Non sapeva che fare soffriva come un cane.

Beh! In fondo è normale, Dgecc era un cane.

Soffriva ma riuscì a tornare in paese. Qualcuno la vide e lo curò.

Da allora non lo chiamavano più per nome, il suo nome divenne “Tre gambe”, perché quelle gli erano rimaste e con quelle continuò ad andare.

Non tornò più in cava, neanche quando l’aria profumava tanto di quaglie e di fagiani.

Ceppoduro