Vorremmo tornare

Oggi vorremmo tornare a parlare di guerra

Oggi vorremmo tornare a parlare di guerra, anzi non vorremmo proprio farlo ma forse dobbiamo.

Lo abbiamo già fatto varie volte in questo blog, e lo faremo ancora se sarà necessario. Se riterremo che il sentimento comune sia più incline alla guerra, alla sua giustificazione, che alla pace e alla sua difesa.

Non che oggi ci si senta più guerrafondai di ieri, ma sono successe cose che vanno stigmatizzate, vanno denunciate, vanno semplicemente dette e quindi torniamo a parlare di guerra.

In un articolo precedente scrivemmo: “Quando si abbatte un ponte, come fecero a Mostar, quando si prendono a cannonate statue di Budda, come in Afghanistan, quando si mitraglia una scuola, come nella striscia di Gaza, siamo caduti nella trappola siamo diventati o ritornati belve, belve umane, fiere della nostra potenza, tronfie delle nostre certezze.”

Oggi vorremmo tornare

Anzi siamo tornati a parlare di Afghanistan, come tutti i media del mondo, da dove gli americani e tutti i loro pseudo alleati portatori e difensori di niente stanno fuggendo.
L’abbandono della missione internazionale era stato annunciato da tempo, ma come sempre il momento di andarsene arriva all’improvviso e, come a Mostar crollano i ponti. Si tratta dei ponti aerei di evacuazione, dove non c’è posto, non per tutti i collaboratori locali che rischiano le rappresaglie talebane. Rappresaglie che saranno come le rappresaglie tedesche di Civitella, San Pancrazio, Marzabotto e via elencando, con in gioco la vita.

Ponti aerei mancanti che rivelando l’ipocrisia che ci contraddistingue; imbarchiamo tutti finché siamo li e ci servono aiuti logistici, collaboratori, traduttori, guide, e tutti gli altri mestieri necessari, e poi “chissenefrega”, non li imbarchiamo per fuggire per portarli in Italia con noi, tanto sono loro che restano li, “cazzi loro”.
Le cannonate di quelli che chiamiamo talebani sono rivolte solo verso altri afghani, poi riprenderanno anche verso di noi, verso le idee e la cultura, contro l’autodeterminazione dei popoli (pur essendo esse stesse oggetto, o almeno conseguenza, dell’autodeterminazione del “popolo” Afghano). Ma tanto allora saremo già a casa, al sicuro, magari a cercare un altro scopo per la nostra vita.

Che fare? Che dire?

Fare non possiamo fare niente, dire dobbiamo dirlo, ripetendolo e ribadendolo fino alla noia.
Quello che lasciamo in Afghanistan è la guerra. La guerra non serve! Quanti anni siamo rimasti li ad esportare la libertà e la democrazia? Quanta libertà gli abbiamo dato? Quanta democrazia abbiamo esportato? Quali risultati abbiamo raggiunto?

Per tutte queste domande la risposta è ZERO!
Abbiamo fatto e lasciato solo GUERRA.

Ma con un costo enorme umano (le nostre e le loro vittime) ed economico (i soldi spesi per l’intervento).

Non si potevano usare meglio i quasi 10 miliardi che abbiamo speso?

E cosa ci siamo andati a fare in missione di guerra in Afghanistan noi italiani, noi che la guerra la dovremmo aborrire?
Per che cosa abbiamo forzato, ignorato, vilipeso la nostra Costituzione ed il suo articolo 11?

Perché non siamo intervenuti con l’esercito prima che prendessero a cannonate le statue di Budda nella parete della montagna. In difesa della cultura della civiltà del patrimonio artistico mondiale dell’umanità? E ricordate che passarono giorni dalle dichiarazioni alla messa in pratica del cannoneggiamento del sito. L’unico intervento afgano giusto da fare non siamo stati capaci di farlo, forse nemmeno di pensarlo.
E allora a cosa serve il nostro apparato militare, professionista, se non è capace di difendere, di difenderci, di difendere gli altri (ad esempio i collaboratori afghani che lasceremo a Kabul in aeroporto, in attesa di un volo italiano che non partirà)?

Cosa aspettiamo a liberarci di un apparato militare inutile, inefficace e costoso?

Povera Italia!

Che vergogna!

Giancarlo

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