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Oggi vorrei parlare di guerra

Guerra

Oggi vorrei parlare di guerra. Si sono susseguiti alcuni anniversari, come la costruzione del muro di Berlino, il massacro di Sant’Anna di Stazzema. C’è sempre un anniversario di guerra, di orrori di guerra che occorrerebbe ricordare. Magari sono persi nella memoria della storia e forse non si rammentano più nemmeno li. Ma esistono

La bestia sembra essere in noi, e lo è.

Oggi vorrei parlare di guerra. Il mio cane, la bestia.
La bestia

Nessuno può dire di non essere mai stato violento e ne che mai lo sarà. Siamo galli combattenti. Ognuno a suo modo, magari senza mostrare bargigli, combattiamo tutti i giorni. La nostra guerra personale contro il nostro nemico del momento. Un collega, un famigliare, un amico, una donna o un uomo, una razza. Qualcuno da battere lo troviamo sempre.

Anche i non violenti,

anche Gandi, con la non violenza esercitano, o hanno esercitato, una violenza inaudita sugli altri, sugli avversari. Per essere in pace dovremmo essere soli. Ma soli non siamo e soli non ci piace stare. Siamo un’animale socievole. Ma quando siamo assieme abbiamo bisogno di un leader o vogliamo esserlo noi e di un nemico, vero o presunto.

Il leader è il capo. Il capo da l’esempio e da il la a tutte le cose. Lo fa per il bene di tutti. O per il suo bene? O per il bene suo e di tutti? Bene, fa e facendo decide per gli altri, contro altri- Nessuno lo critica, se non perde, sinché non perde.

Tutti siamo capi e non possiamo esserlo senza nemici.Se non li abbiamo ce li creiamo. La moglie o il marito, i figli, i figli degli amici, gli amici degli amici e i parenti tutti e poi i vicini e quelli del paese accanto, della nazione del mondo…

Minchia!

Che ne sarà dei nostri rivali sul lavoro.

Di quelli per il posto dell’ombrellone.

Di altri che vanno a pescare sardine nella nostra zona di pesca. Nostra?  In alto mare.

Dei concorrenti nella vendita di droghe? Armi? Salumi? Specialmente se questi concorrenti appartengono ad altre razze, lingue e religioni? Sarà un gran casino, sarà.

Che fa il capo?

Aizza contro nemici comuni. E tu? Hai paura! Sei forte, ma tremi di paura. Stanno arrivando, ti sottrarranno tutto. Hai il frigo pieno, ma pensi di non riuscire a sopravvivere all’inverno . Poi tutti questi immigrati, tutti schiavi. Sono schiavo anch’io, del lavoro, della famiglia del coniuge, del capo. Ahi! Quella merda, quel pezzo di merda del capo. Non capisce un cazzo ma è li che comanda. Che cazzo avrà più di me?

Dovrei farlo fuori, ribellarmi. Ma però. Possiamo anche combattere i Francesi. Quelle facce di culo. Ma sì, dai, tiriamo sassi ai Norvegesi. Sono troppo biondi e non fanno un cazzo per sei mesi all’anno. Però guadagnano molto di più di noi e hanno tutti il telefonino nuovo. Lo cambiano ogni sei mesi e noi non prima di 24. Che schifo. Che rabbia. Dagli all’infedele. A culo tutti gli Juventini. E mettiamo il burka a tutte le signore di una certa età. Delle puttane poi non ne  parliamo. Hanno impestato le strade riapriamo le case chiuse. Almeno fanno i controlli sanitari. Poi ad andare con le nere mi vergogno un po’.

 

E’ la storia.

E così di cazzata in cazzata c’è chi ci ingrassa, c’è chi ci campa sopra e c’è chi diventa leader e  fa il business. Meno male che abbiamo delle alte cariche, delle istituzioni, degli intellettuali che ci fanno riflettere e ci smontano tutte queste cazzate. Cazzate di guerra, di combattimento, che ci vengono continuamente propinate.

Anche dai giochini elettronici, nei quali le vite non contano, si muore perdendo una vita, ma ci si rigenera sempre. Basta attraversare un diamante e non si muore mai. Ma si spara, quello si, si spara senza tregua senza sosta, senza finire le munizioni. Distruggendo tutto, come fosse normale distruggere quello che altri hanno costruito: con sudore, sofferenza ed ingegno. Almeno nella vita reale si costruisce così. Ma questi giochi sono così reali che è difficile distinguerli dalla realtà.

Quando si abbatte un ponte, come fecero a Mostar, quando si prendono a cannonate statue di Budda, come in Afganistan, quando si mitraglia una scuola, come nella striscia di Gaza, siamo caduti nella trappola siamo diventati o ritornati belve, belve umane, fiere della nostra potenza, tronfie delle nostre certezze.

Se ne può uscire solo indignandosi.

Oggi vorrei parlare di guerra-

Smettendo di costruire armi, smettendo di venderle, smettendo di pensare come un capo o come un seguace. Ed indignandoci con chi lo fa.

Dobbiamo dire no: “io non mi mischio tra voi”, “io non sono d’accordo con voi”, “io non voglio la guerra e neppure il semplice il litigio”, “io sono parte del tutto e ne voglio mantenere il ruolo” e “io sono molto indignato”.

Non è facile, non ci riusciremo mai, dovremmo essere anarchici, ma l’anarchia è un’utopia, per definizione irreale, irrealizzabile, irrealistica. Mi indigno ancora di più, anche per questo.

Allora, che fare, di più?

Limitiamo i danni, diciamo sempre come la pensiamo e non accondiscendiamo alla violenza.

Impariamo a riconoscere la violenza che a volte, quasi sempre, veste pelli di agnello.

Se l’Italia va a bombardare la Libia diciamo FORTE che non può farlo, perché la nostra costituzione ce lo vieta, indigniamoci per questo.

Se andiamo a “sparacchiare” dai ponti dalle petroliere diciamolo che non possiamo farlo. Possiamo tenerci sopra un esercito sui quei ponti, se vogliamo, se ci fa sentire più sicuri. Ma da li sopra non possiamo sparare ai pirati, non possiamo sparare a nessuno, siano bersagli umani o animali. Ma chi ci da il diritto di uccidere? Di togliere la vita ad un essere vivente?

Oggi vorrei parlare di guerra.

Anche la pena di morte è equiparabile alla guerra e va combattuta.

Basta cessiamo ogni rapporto, economico, culturale, sociale con chi ancora la persegue, che ancora assassina in nome di una giustizia che nessuno conosce e che è violenta come la violenza che pretende di combattere.

Come possiamo sperare nella pace se nel mondo non riusciamo ad abolire nemmeno la pena capitale?

Infatti non ci riusciremo, ma è bello pensare che qualunque omicidio giustizialista non sarà stato fatto in nome mio. Non per me. Io non voglio che chi mi rappresenta, a qualsiasi titolo lo faccia, si arroghi il diritto di vita e di morte in nome mio o di altri.

Oggi vorrei parlare di guerra.

Io sono contro.

Ma sono anche e soprattutto a favore di tutto ciò che ci permette di vivere questa breve vita, come meglio si può.

Sono a favore di chi costruisce, distribuisce e condivide, per quanto può e vuole fare.

Oggi vorrei parlare di guerra, anzi NO!

W la PACE

Giancarlo

Ancora sulla guerra, voglio farvela vedere.

Si parla ancora di questo

Guerra: ancora conflitti ovunque.

Da metà del secolo scorso, abbiamo sperimentato il più lungo periodo di pace mai avuto dal genere umano.

Ma lo abbiamo visto solo noi Europei, non tutti.

Si sente parlare di guerra come fosse niente,

La facciamo all’lsls , la facciamo al terrorismo…basta fare guerra… la facciamo subito.

 

Ma questa parola vuol dire morte.

E allora, ecco un “bel” cimitero di guerra.

Bello, ben tenuto, ma sempre cimitero, un posto dove si ricordano i morti.

Qui son finiti tutti che avevano da venti a trent’anni.

Non hanno nemmeno vissuto la loro vita, sono morti, senza conoscere molto della vita. Sono morti, probabilmente, senza saperlo.

A voi vorrei ricordare cosa significa, in fondo, quello che hanno fatto. è tutto scritto in quelle lapidi bianche. Che sono una accanto all’altra in file e righe infinite. E questo è solo un piccolo cimitero di guerra, piccolo piccolo.

Anche se qualcuno vorrà convincervi del contrario, date retta a me:

Fate l’amore, non fate la guerra.

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Panorama
Altro panorama
Incroci di vite, incroci di morti.

guerra

Un soldato dell’esercito Indiano è onorato qui. Un milite ignoto.

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Diciannove anni, un fuciliere, un ragazzo.
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Era la piccola sezione delle forze armate Indiane cadute nei pressi di Arezzo.
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Quante lapidi, tutte uguali, tutte in fila.
Un soldato

Welcome

Giancarlo

Nel blog ci occupiamo spesso di questo argomento, ne abbiamo già parlato:

Qui, qui, qui, qui qui, qui, qui, qui e qui.

Fiesta i guerra

Mercatale

Fiesta y guerra. E’ festa a Mercatale Valdarno, è la sagra del Marrone, c’è la banda, tanti banchini, dolciumi e ninnoli, poi funghi, funghi, marroni e funghi e tanti animali da vedere, da allevare, se si vuole.

Una bella festa insomma. Fiesta y guerra también.

Solo, qualcosa stona, ogni tanto si vedono dei militari in giro, o paramilitari o chissacché.

Vestiti in tuta, anfibi, cappello tutti rigorosamente mimetici, occhiali neri mafiosi, ma molto hi-tech, insomma dei ganzi che facevano la loro porca figura.

Ma chi erano che volevano, soprattutto, che ci facevano alla festa.

Ma facevano festa, fiesta y guerra, è ovvio, sparavano come matti con mitra pistole, fucili e chessoio ad aria compressa.

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Su una parete

Su una parete, anch’essa mimetica con fronde d’albero e teli bicolore, avevano attaccato lattine di coca e qualche bersaglio. E sparavano come indiavolati, come a indiavolati, pallini di plastica dura. Per terra ce ne erano fiumi.

Erano uomini e ragazzi di varie età. Poi, cosa che mi ha dato molo fastidio, più che fastidio nausea, interna, profonda, quasi da vomitare, c’era una donna. Forse mamma, forse gentile, forse bella. Ma armata e bardata di tutto punto, mimetica, anfibi, cappello occhiali ecc, come d’obbligo, come di moda.

E…

Giù sparare e giù a caricare e ricaricare il fucile del ragazzo. Il quale, a raffica, aveva già distrutto il povero bersaglio che, di carta o di cartone che fosse, si era lacerato. Distrutto tra atroci grida. Poi in pianto dimesso. Ma lui continuava imperterrito, rifornito di munizioni dalla mammina, a sparare. E a massacrare il povero bersaglio e le malmesse lattine.

E’ stata dura: fiesta y guerra. Mentre erano tutti li a discutere e far vedere i muscoli. E le armi, i mitra a tracolla di dietro. Le mimetiche, gli occhiali neri, a rete, protettivi. E le pistole, al cinturone, in una tasca laterale o infilate dietro la cintura, insomma tutti come Tex Willer, armati fini ai denti.

Poi ho saputo che vanno nei boschi a combattersi ed a spararsi i pallini di plastica dura. E ci portano anche i ragazzi, anzi è pieno. E si massacrano fino a notte, a volte fino a giorno. Poi dopo chissà che risate, che sfottò, che racconti alla mamma ed al papà. E come dormiranno? E i sogni la notte dopo? Chissa che bei ricordi, adrenalinici e vividi. E’ la fiesta y è la guerra.

Che pena, la festa, che uomini, che ragazzi, che donne, alla guerra!

Business is business e sui gusti non ci si sputa, ma io le mie sentenze le sputo lo stesso e sono sentenze di condanna, senza appello.

BRUTTO!

Anche diseducativo.

Sì ma a loro che gli frega?

Ma al comitato organizzatore? …macché gli frega anche a quelli? Tutto fa festa, “Venghino signori, venghino”.

Eppure continuo a pensare ad un mondo migliore, con altri valori, con altri business.

“VENGHINO SIGNORI, VENGHINO”

Giancarlo