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Lettera da qua

Ho scritto una

Lettera da qua

Sono lontano, sono andato a lavorare,  ma nonostante sia lontano, penso a te mio grande amore. Rivedo i tuoi occhi mentre ti sogno, ti sogno sempre di notte e di giorno. E piango, piango piano, pensando a te che sei lontano.

Son qua perché c’è tanto lavoro, posso lavorare ed avere da mangiare, ma ora non posso più restare, dicono che non ci fan più lavorare.

Moglie mia, mia dolce moglie, qui era difficile il lavoro, duro e lungo tutto il giorno, ma io sto bene e potrei farlo, Se non ci faranno lavorare a casa, da te, potrei tornare. Ma per che fare? Vorrei tanto ritornare ma li non c’è nulla da mangiare.

Quindi è inutile che torni, resterò per fare soldi, rimarrò per molti giorni.

Lettera da qua

lettera

Questo forte sentimento, questo amore che io sento, mi tormenta ancor di più quando penso che sei giù, Vedo i tuoi occhi, poi ti sogno e piango, piango piano, pensando a te che sei lontano.

Non so se passerà ma per ora vado via, qua non vogliono che stia, andrò giù, un po più lontano, sempre troppo distante e piango piano.

Sono un povero Italiano che ti porta dentro il cuore, che pensa a te lontano, amore, che pensa a te e ti offre un fiore.

Non ci resta altro da fare se non che provare a continuare a lavorare.

Questo amore che io provo, mi tormenterà di nuovo, vedrò i tuoi occhi e ancora ti sognerò. E piangendo piano, piango per te che sei lontano.

Questo amore che è lontano lo vorrei aver con me ma se non ci sono speranze, la soluzione è nel mio cuore, che penserà sempre a te mio caro amore. Anche se la distanza non si ridurrà vorrei tanto che fossi qua.

Il tempo passa ed invecchiamo, il tempo passa piano piano.

E vorrei riabbracciarti forte forte, prima che venga la morte.

Vorrei averi qui vicino vicino, per stringerti a me, mio grande amore che sei troppo lontano dal mio cuore.

Ceppoduro

In ricordo Giorgio Gaber, un grande poeta, un grande Italiano.

Aspettando

Aveva speso la vita

Era nato, era cresciuto e andato a scuola, si era sposato ed aveva avuto un figlio, aveva lavorato ed invecchiato, era andato in pensione, senza mai decidere, senza mai decidersi, aspettando qualcosa o qualcuno.

Aspettando

Aspettando che succedesse qualcosa, qualcosa è sempre successo.

Non era voluto. Quarto di quattro figli i suoi genitori non lo avevano cercato. Ma tre o quattro da sfamare…?

Non aveva idea su come approcciare l’altro sesso, ma lei lo sapeva bene ed un figlio arrivò presto. Per fortuna che il padre di lei lo mise al lavoro, un lavoro che non gli piaceva, ma c’era un lavoro che gli piacesse? Non lo sappiamo, nemmeno lui lo sapeva ma…

Aspettando che gliene fosse offerto uno meglio, crebbe un figlio, crebbe anche la moglie, che ingrassava sempre di più. Ma non avrebbe potuto fare nulla, non lui, forse qualcuno lo avrebbe aiutato.

Che fare se non aspettare?

Anche quando si ammalò sua madre attese.

Attese un miglioramento che non ci fu. Anche suo padre, affranto andò a raggiungerla presto, ma lui neppure se ne rese conto.

Aspettando

Aspettando che qualcuno gli cambiasse la vita, la vita andò avanti. Arrivò l’età della pensione. La moglie lo lasciò, non era mai dimagrita ed il cuore non le resse. Anche il figlio partì, ma per l’Australia.

Rimase da solo, in una casa troppo grande, troppo vuota, da far rimbombare ogni parola. Ma lui non parlava, aspettando qualcuno con cui poterlo fare. Anche quando veniva il dottore, a visitarlo, lui rimaneva in silenzio, non era lui che aspettava, non era un medico che voleva, anche se aspettava chi potesse curarlo.

Quando, poi, si ammalò sul serio, si rese conto di essere solo, di aver sempre atteso qualcosa o qualcuno che non sarebbe venuto. Che non sapeva che o chi fosse. Che non sapeva dove cercarlo.

Aspettando aveva speso

Aveva speso tutta la vita nella sua attesa e ora che la vita finiva, non poteva più aspettare, come avrebbe voluto fare, ancora, ancora a lungo.

La vita passata non sarebbe tornata e ancora nessuno era arrivato.

Aspettando

La vita finiva e lui voleva vivere, come non aveva mai voluto, come non aveva mai fatto. Doveva capire il senso di quella vita, voleva dargliene uno, anche se c’era poco tempo. Avrebbe voluto decidersi, finalmente.

Proprio ora che stava vivendo forte era arrivata la morte.

Liberamente tratto da Aspettando Godot di Samuel Beckett e di Claudio Lolli.

Ceppoduro

 

 

Piove

Piove.

Stamani piove, ci siamo svegliati con la pioggia.

Dopo un periodo di gelo, con la neve che ha ricoperto ogni cosa.

Non c’era mai stato prima un gelo simile, tutto ghiacciato, anche le ossa. Ora possiamo dire che è finita. La pioggia pulirà tutto il lerciume accumulato sulla neve. Ma non piove solo acqua. Al nord piove acido. Potrebbe far più danni della neve. No! Della neve no, il ghiaccio aveva bloccato ogni cosa. Niente era cambiato da tempo, ne sembrava potesse cambiare.

Certo, nessuno sembrava interessato ad un mutamento, quasi tutti sembravano preferire il gelo ad un disgelo incontrollato, fautore di alluvioni, melma, crolli.

Certo forse andrà così, ci troveremo a lungo in mezzo al fango, in alcune zone a bacìo resterà della neve compattata, ma è solo questione di tempo, piano piano sparirà anche da li.

Resta la conta dei danni, specialmente al nord, dove la pioggia è particolarmente acida.

piove

A questo punto chi pagherà i danni?

I danni, già perché se la neve non possiamo ne prevederla ne spalarla tutta, accumularla ai bordi delle strade non è corretto. La neve si doveva spalare, toglierla dalle strade, per consentirci di andare avanti.

Invece ha avvolto ogni cosa impedendo di sentire le grida di aiuto, che pur si udivano in lontananza.

Quelle grida che avrebbero avuto il soccorso richiesto, dopo la valanga, se solo si potesse passare. Se solo le strade fossero state agibili, dopo la gelata. Ma i soldi sono stati spesi negli arredi e negli uffici, non in attrezzi e macchinari.

D’altronde da quanto tempo le buche non erano state richiuse. Da quanto tempo non si riempivano i serbatoi degli spazzaneve. Da quanto tempo non si facevano previsioni del tempo puntuali. Poi la neve, dopo il gelo. Ora, dopo tanto tempo, finalmente la pioggia.

Una pioggia liberatoria, ma ora non dobbiamo abbassare la guardia, se piove troppo potrebbe fare danni, cerchiamo di incanalare bene l’acqua.

Ceppoduro

Una notte

Una notte

Una notte mi son svegliato d’improvviso.

Fino a pochi attimi prima dormivo profondamente e sognavo. Non ricordo esattamente cosa, ma sognavo. Forse sognavo un mondo migliore? Non credo, questo è il migliore dei mondi possibili, l’unico che conosca. L’unico che possa esistere.

Si sente dire in giro degli universi paralleli. Di cosa può capitarci dentro.

Possiamo trovarci l’antimateria, che se lo visitassimo sul serio esploderebbe subito, tutto. Almeno noi materici esploderemmo. Potremmo trovarci l’opposto universo, che ha la superficie terreste interna, con le nubi e le stelle al centro della sfera. Con la luce che irradia verso l’esterno, invece di essere assorbita. Anche se l’esterno del mondo inverso corrisponde all’interno e viceversa. Ma, per non confonderci, potremmo trovarci anche il nulla ed allora sarebbe come l’aldilà, come quello che ci aspetta dopo la morte.

Una notte mi sono svegliato mentre sognavo il nulla.

Forse non sognavo.

Forse non dormivo.

Una notte

Mi sono svegliato ed ho cercato di ricordare perché mi fossi svegliato e che cosa stessi sognando.

Perché?

Potevo evitarlo, non mi sarei reso conto che dopo la morte ci attende il nulla.

Niente sarà più.

Avrei voluto continuare a pensare ad un aldilà. Immaginarlo bello, fiorito, pacifico, wireless.

Dove non c’è bisogno di niente ma hai tutto. Soprattutto il tempo, infinito.

Comunque, ora che mi sono svegliato, mi rendo conto di quanto fossi in errore.

In un posto del genere il tempo non può scorrere perché nulla cambia, mai.

Noi misuriamo il tempo con i cambiamenti. E’ passato del tempo nel frattempo che qualcosa è successo.

Quindi è facile dedurre che quel posto non esiste. In un posto dove non scorre il tempo non scorrono nemmeno gli eventi.

Saremo solo morti. Il tempo passerà sul nostro corpo disgregandolo, ma non ne avremo contezza, non potremo capirlo.

una notte

Solo un lombrico.

Si accorgerà, magari, del tempo che scorre su di noi.

Ceppoduro

 

Il sole

Il sole.

Il sole è caldo.

Lo senti sulla pelle, lo senti attraverso i vestiti. Ti fermi un attimo, respiri, a bocca aperta, profondamente.

Il sole ti impedisce anche la visone, accecandoti. A poco serve la mano tesa sopra la fronte. Oggi picchia veramente duro. Chissà come mi è presa la voglia di andare a Solata? Da San Leolino potevo andare alla fraschetta e scendere giù verso Le Mura e da li decidere se girare verso Tontenano o verso il Fornello, ma no, mi son detto: “Vado a Solata” e così ho fatto.

il sole

Giunto a Poggio al Fattore potevo scendere verso Ristolli e risalire il borro di Solata fino alla strada da Cennina, ma ho preferito andare lungo costa, seguendo la vecchia strada Romana fino al cimitero di Cennina. E una strada molto panoramica, anche quella coperta da alberi e rovi. Si incontrano corbezzoli stupendi. A volte i grossi massi laterali sono scavati in rivoli e buche che rendono unica e bellissima la loro conformazione superficiale, apprezzata anche dalle lucertole e dalle serpi che loro si, si godono il sole di questa torrida giornata.

Anche i tafani sono felici oggi

Un grosso mammifero sta transitando nella loro area di caccia.

il sole

Mi seguono, mi precedono, posandosi ogni tanto sulla mia pelle, sulla mia maglia, tra i miei capelli. Specialmente se mi fermo, mi sono subito addosso.

I tafani sono protetti, non possiamo schiacciarli, come sarebbe facile dopo che hanno punto e succhiano estasiati il tuo sangue. Allora non li devi far posare, li dei scacciare, devi camminare veloce, perché ti rincorrano involo ma non si buttino sulla preda.

il sole

E sudi, sudi così tanto che altri tafani arrivano famelici. Maledici ancora l’idea di andare a Solata.

Come ho potuto pensarlo.

Intanto raggiungo il bivio.

Devo decidermi salita fino a Solata o discesa fino a Tontenano?

Ci penso. Non troppo .

Giù a valle verso casa.

Giancarlo

Firenze

Firenze

Sono stato a Firenze.

Non mi ricordo quando, ne con chi fossi, ne perché.

Ero li, vicino al muso del porcellino a pensare in Inglese. Non che io sappia bene quella lingua, come dicono, da sognarci la notte. Però pensavo “porc”, mentre vedevo quel muso bronzeo e lucido in cima, di fronte a me.

Wild porc is called il cinghialone. Pensavo Inglese.

A dire il vero, forse non pensavo altro che “porc”, quella parola i rigirava in mente quasi come un ritornello.

Chissà se avevo bevuto? No, era anche troppo caldo per bere.

Forse il sole? No! Non c’era più il sole, oltretutto ero stato agli Uffizi tutto il pomeriggio. Poi, una volta uscito, ero passato sotto la loggia dei Lanzi, girando almeno tre volte intorno al ratto delle sabine. Affascinato. Impaurito probabilmente da Perseo, con in mano la testa di Medusa sanguinante, ero fuggito, via, via, lontano.

firenze

Avrei voluto raggiungere Ponte Vecchio, lì ci sarebbe stato qualcuno, ad aiutarmi.

Forse.

 

Allora a corsa giù per la strada, fino alla loggia del Mercato Nuovo.

Poi nulla. Finché non piove. Piove? Non è possibile. No!

No, è la fontana, l’acqua esce dalla bocca , sotto il muso lustro del porcellino. Porc, mi viene in mente. Wild porc, is called it.

Non c’è modo di pensare di più ne in Inglese, ne in Italiano.

Non riesco più a guardare, queste statue bellissime, sono nauseato. Sento i primi conti, rigurgito tutto e metto la testa sotto l’acqua che scorre e mi raffredda la testa. Mi sento meglio, libero, leggero.
Il porcellino mi guarda furbesco. MI scruta, si domanda chi sia, cosa voglia da lui.

Tutti cercano fortuna, la sua fortuna, e son disposti a lasciare un soldo fra i suoi denti, ma nessuno gli aveva mai vomitato addosso e son secoli che lui è lì.

Lo sento grugnire, non sono più certo che sia benevolo il suo sguardo.

Mi giro, mi alzo e vado via.

Ceppoduro

Il mare

Il mare

Ho raggiunto Castiglioncello, esco dall’Aurelia e dopo qualche curva ecco il mare.

Finalmente siamo al mare.

Il mare di Castiglioncello è un mare difficile, la spiaggia manca del tutto, gli accessi sono quasi tutti privati, ma è tutto meravigliosoil mare.

Sono finalmente sulla riva, la mattinata si presenta calda ed assolata. Ma così deve essere d’Agosto, così deve essere al mare.

Non resisto entro nell’acqua con i piedi, mi spingo fin poco sopra al ginocchio, lo posso fare perché qui la scogliera è piatta, un banco di pietra che degrada e risale per alcune decine di metri.

Vedo alcuni pesciolini girare intorno a me, allontanarsi guizzando dai miei piedi.

Oggi

sono dell’umore giusto, esco e mi stendo un telo da spiaggia, domandandomi che ci faccio con un telo da spiaggia in uno scoglio?

Leggo “Dio c’è?” di Hans Kung è una lettura facile, a volte divertente. Il teologo vorrebbe dimostrare, attraverso una cronistoria della filosofia, dei maggiori filosofi che hanno fatto la filosofia, che Dio c’è. Che anche quelli avversi, quelli atei o agnostici, in fondo potevano dare prova, con il loro pensiero e le loro argomentazioni che Dio esiste ed è presente nel mondo.

Sinceramente non sono riuscito a comprendere, o ad apprezzare, le argomentazioni di Kung a favore di questa tesi, ma leggere di filosofia e di filosofi mi piace, mi è sempre piaciuto.

Come mi piace il mare.

Gente allegra, questi filosofi, anche i più tragici. Sono tutti stati molto ottimisti nella capacità speculativa ed intellettiva dell’uomo. Tanto da farmi pensare che, nonostante molti fossero sostanzialmente credenti, alla fine sostenessero il primato dell’uomo su Dio. Si Dio aveva creato l’uomo, ma l’uomo riusciva ad immaginare, a pensare, Dio. L’uomo era superiore.

Poi si è avvicinata lei, sorridendo dolcemente.

Mi ha chiesto se poteva sistemare il suo asciugamano li vicino.

Ma certo, le dico, posso chiederti come ti chiami?

Certo! Io sono Bruna, piacere.

Ciao, Bruna, io sono Alessandro.

Poi ci siamo conosciuti meglio. Ora stiamo assieme.

Mi è sempre piaciuto Castiglioncello.

Mi è sempre piaciuto il mare.

Ceppoduro

La luna

Nel pozzo c’era

la luna.

la luna

Ma chi vuoi che la veda. Il pozzo è in disuso da tempo. Solo in estate ci calano una piccola pompa, con il motore elettrico, usata per innaffiare l’orto. Poi tornano a riprenderla a fine Settembre. Ma l’ortolano non guarda nemmeno più in giù. Eppure sarebbe bello vederla, la luna nel pozzo, il fondo la ingrandisce un pochino e l’acqua che si muove per qualche brezza lieve la fa ondulare dolcemente.

Che bella la luna

con la sua faccia piena e sincera. Lei ci vede e sorride, lievemente. Come sapesse di noi. Come ci conoscesse uno ad uno.

Beh, in fondo ci conosce per davvero, nelle calde notti d’estate ci viene a trovare spesso, mentre dormiamo. Si riflette nei vetri delle finestre aperte ed entra nelle nostre case. Ci guarda sognare, ci ascolta respirare, ci vede nascere e morire.

La luna

Non c’è sempre, ma se apriamo la nostra mente, come le finestre, ci viene di certo in aiuto.

Ci guida nel pensiero, nella riflessione e nelle decisioni. La luce della luna ci indica la strada, non è accecante come quella del sole, è una luce riflessa, filtrata, non ci ingannerà mai, possiamo starne certi.

E’ strano però, come da sempre gli uomini cerchino di farci disprezzare la luna. Chiamano lunatici quelli che si comportano stranamente, che sono incoerenti. Non è bello esser definito lunatico, accostarci alla luna non sembra un bene! Sembra che il genere umano preferisca cercare aiuto nel sole, la verità nel sole. Chi è solare, è una bella persona, positiva.

Ma non possiamo guardare in faccia i sole e cercarvi alcunché, dobbiamo affidarci alla luna per non rimanere accecati, storditi e perdere il senno, la vita.

la luna

La luna invece ci aiuta, per questo molti animali, molto meno stupidi di noi, la guardano ogni sera e gli ululano una canzone.

Giancarlo

La strada

Era solo,

camminava lungo la strada.

La stradaDario Persici, classe 75. Si diplomò nel 93 come geometra, ma non trovò nulla da fare. L’università non lo attirava, avrebbe voluto lavorare come geometra, ma non trovò occasione. Si sarebbe accontentato anche solo di lavorare, ma non aveva amici, o conoscenti, che potessero aiutarlo. Nessuno che lavorasse in uno studio tecnico. Nessuno che potesse dargli una spinta per entrare alle poste o in ferrovia. Poi non assumevano più nemmeno lì, oramai.

Per fortuna, trovò da vendemmiare, in agricoltura si guadagnava bene, stava all’aperto e in compagnia, Si scherzava, si rideva. Forse era meglio coltivarla, la terra, che misurarla. Nell’azienda vicina si raccoglievano le mele. Un’altra aveva le mucche da accudire.

Un anno passò veloce, quell’anno fu il più bello della sua vita. Trovò anche una ragazza. Una tipa strana, che parlava poco, ma anche lui non era di molte parole.

Maria, si chiamava Maria Nicastro. Un paio d’anni  più giovane di lui, molto carina.

Era stato fortunato, Dario, aveva incontrato Maria lungo la strada. Mentre lei guardava la vetrina di un negozio di scarpe, le si era avvicinato e le aveva chiesto indicazioni per un indirizzo. Si erano conosciuti così, si erano trovati. Si erano rivisti. Quando era assieme a Maria ne era preso completamente. Quando non era con lei la pensava. Lei studiava, al liceo classico, lui lavorava un po’ di qua e un po’ di la. Maria gli  fece scoprire il mondo. Lo portò al cinema, a teatro, per la prima volta nella sua vita, ed ai concerti. Con lei cominciò ad interessarsi ed a discutere di Filosofia. A leggere, leggere Romanzi.

Nessuno lo aveva mai eccitato così.

La strada

La strada

Arrivò anche l’estate.

In Agosto, tutti gli Agosti,  la famiglia Nicastro andava al mare, come ogni famiglia benestante. Dario, invece, non aveva mai visto il mare, al massimo era stato al lago, a pescare. I suoi non si erano mai concessi la villeggiatura. I Nicastro, invece, affittavano una casa, grande, che c’era sempre qualche parente o amico da ospitare. La zia, vedova, era un ospite fisso. I nipoti. I compagni di scuola e chissà chi altro ancora.

A lei venne naturale chiedergli di seguirla al mare, in Agosto.

Lui accettò , non senza esitazione, non aveva mai pensato di conoscere i suoi genitori.

Non fu facile ma, insomma, lo fecero.

I genitori generalmente hanno grandi aspettative per i figli. Si sa. Le aspettative tradite  diventano, delusioni,  a volte rancori.

Questo è quello che deve esser successo.

Si capisce:  lui non aveva un mestiere sicuro, ma era molto bello e forte, accidenti se era bello. Si capisce anche che: lei era stupenda, una dea, ma con la puzza sotto il naso.

Forse aveva studiato troppo, sicuramente lo aveva stregato, lo avrebbe plagiato, lo aveva già plagiato. Questo pensarono i genitori di lui.

Lui l’aveva stregata, lui l’aveva plagiata, questo pensarono i genitori di lei.

Ma nessuno lo disse apertamente, fecero solo grandi sorrisi ipocriti, ipocriti sorrisi di cortesia.

Dario era figlio unico, forse per questo Maria non fu ben accetta, non piacque. Voleva portarlo via.

I Persici non avevano niente, forse per questo la madre di Maria restò indifferente, distante da lui.

Solo il padre di lei tifava per Dario. Forse gli ricordava se stesso, da giovane.

Al mare

Comunque andarono al mare assieme.

Le giornate passarono lente come solo in Agosto, al mare, lo fanno. Le ritualità giornaliere scandirono il tempo, come in un mantra: Colazione, mare, pranzo, pennichella sulla spiaggia. Passeggiata in centro, cena, passeggiata in centro da soli o in giro con vecchi e nuovi amici. Che nessuno conosceva, che nessuno avrebbe mai conosciuto, che non erano, ne sarebbero mai stati, amici di nessuno.

Qualche notte passata sulla spiaggia, qualcun’altra in discoteca. Sempre la solita storia.

Meno male che dall’alba a colazione e poi sotto l’ombrellone, Dario poteva fare quello che voleva. Gli altri dormivano ancora e lui leggeva. Gli altri prendevano il sole e lui continuava a leggere. Divorava i libri. Libri interessanti, di filosofia, di matematica e di Storia. Idee e concetti gli frullavano in testa alleviandogli la prigionia. Sì, quel rapporto si era trasformato da esplosione di libertà, da anarchia, in prigionia, in dittatura.  Anche Maria, piano piano, cambiò atteggiamento. Lui sembrava assomigliare sempre di più a suo padre, ci andava troppo d’accordo, e continuava a non piacere a sua madre, cominciava a non piacere neppure a lei.

Quell’estate finì con la fine di Agosto. A Settembre cominciarono le piogge autunnali, piogge che lavano la polvere estiva.

Lei si preparava all’ultimo anno di liceo.  Rivide i vecchi amici di scuola. Erano amici che la volevano per loro. Maria era troppo bella, l’ho già detto. La presero.

la strada

Lui decise di lasciare il paese, andare in città ed iscriversi all’università, a “Lettere e Filosofia“.

Non si rividero più.

Io non li ho più rivisti. Solo Dario, una volta.

Era primavera, di mattina, presto. Dario era solo ed a piedi percorreva una strada. L’ho visto felice, con un ampio sorriso sulle labbra, forse perché non era in una strada qualsiasi.

Era una nuova strada, quel la strada, era la sua strada. L’aveva scelta lui.

Ceppoduro

 

Pistoia

Non ero mai stato a Pistoia.

La grande passione per Pistoia

Ho sempre amato Pistoia, “città di crucci, aspra Pistoia”, pur non essendoci mai stato.

Faccio parte di un tempo passato, io. Un tempo in cui non si viaggiava tanto. Muoversi era difficile. Ci si muoveva poco, piano piano, senza mai andare troppo lontano.

PistoiaMi son domandato tante volte perché?

Perché volesi vederla?

Forse per l’immagine della torre campanaria, così piena di fascino. Con le bifore a scalare. Con con le tre logge colonnate che lo alleggeriscono in alto. Pur lasciandole una struttura potente, su cui spicca l’orologio, moderno, elegante, essenziale.

Dalla sua posizione, il campanile protegge il fianco del Duomo, del palazzo dei Vescovi e degli altri edifici che, attaccati, si riparano, sostenendosi a vicenda.

Ma forse

Mi ha affascinato anche la montagna Pistoiese, li dietro, con le sue storie di animali selvaggi e di banditi non meno feroci.

Che dire poi del Pantheon degli uomini illustri? Ne avevo sentito parlare e mi immaginavo un posto dove passeggiando, si potevano incontrare i grandi personaggi del passato, Leonardo, Michelangelo, Dante, Piero della Francesca. Immaginavo che ti potevi sedere con loro gustandoti un buon bicchiere di vino chiacchierando del più e del meno, del tempo o dei massimi sistemi.

Ma non mi devo scordare di dirvi la ragione più importante, più sentita per andare là; il blues, Pistoia blues. A vedere, a sentire Frank Zappa, B.B. King, Deep Purple, Dream Theater, Muddy Waters, Bob Dylan, Stevie Ray Vaughan, John Lee Hooker, Lou Reed e Canned Heat, Carlos Santana, Steve Vai, Joe Satriani, Ray Charles, Patti Smith, Joe Cocker, Robert Plant, The Doors, Chickenfoot, Joss Stone, PFM, Porcupine Tree, Gamma Ray, Anathema, David Bowie, Skunk Anansie. Un sogno, un incubo, un chiodo fisso, una mania ossessiva e compulsiva.

Ma no! Non sono mai andato. Non ho mai coronato il mio sogno.

Si! Non ho mai visto Pistoia.

E me ne dolgo ancora.

Ceppoduro