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Il Ceppo

Il ceppo.

Era la fine di dicembre del 1970 e si abitava in campagna.

I genitori lavoravano la terra ed allevavano qualche animale; la cavalla, le capre, i maiali i polli ed i conigli, non mancavano i piccioni e qualche altro animale come il cane ed il gatto.

Si stava bene, intorno a noi c’erano solo campi e boschi.

Gli ampi campi, le prese tra i filari di viti maritate, dove era stato coltivato il grano erano spogli e già arati per far spaccare le zolle al freddo prima della prossima semina.

Si vedevano solo passerotti infreddoliti e pettirossi a cercare i semi tra le zolle od un insetto da mangiare.

Era freddo, come ancora era freddo a quei tempi, e forse erano cadute un paio di spruzzate di neve, ma era rimasto solo qualche cumulo nei posti in ombra.

Decisamente non era il caso di stare fuori, anche se si dovevano potare gli alberi, si aspettava che prima dimoiasse.

Noi ragazzi arrivavamo fino al bosco per raccogliere la legna dei rami caduti e nel frattempo raccoglievamo anche le coccole delle querce.

Le coccole sono le galle che sono causate da punture di insetti che le usano per deporre le uova o per passarci l’inverno, non si è mai saputo. Sono belle rotonde proprio come le biglie e noi le usavamo per quello, per giocarci.

Qualcuno di noi sapeva dove nascono gli ordinali e allora si andava a vedere e se c’erano e li raccoglievamo.

Se non lo sapete gli ordinali sono buonissimi, cotti in gratella con poca brace conditi con olio e sale e un po’ d’aceto. Profumano come una bistecca ma anche il sapore non è molto diverso, insomma è un po’ diverso ma non troppo. Sono buonissimi.

E’ il Ceppo

Era la fine di dicembre, come dicevo, e si tornava a casa stanchissimi.

XLIII – Paesaggio – 2018 – Giancarlo Arrigucci – Tempera grassa su cartoncino telato – (60 x 30 cm)      

La sera si doveva festeggiare il Ceppo e la settimana dopo la befana.

Il Ceppo è un grande ceppo di legno, meglio se con un bel foro al centro, che alla sera si mette nel camino prima di cena. Il Ceppo rappresenta la fine dell’anno e si consuma nel fuoco come si è consumato l’anno appena passato.

Dopo cena, quando il Ceppo è diventato rovente e sta bruciando ovunque, noi ragazzi ci mettiamo intorno al camino luce spenta come di solito si sta davanti al camino per scaldarci prima di andare a letto.

Ed è allora che ci viene chiesto di battere sul Ceppo, ma di batterci forte, più forte che possiamo. E Il Ceppo scintilla, la stanza si riempie di calovie, che volano per un po’ e poi cadono spegnendosi come il volano delle lucciole.

Mentre lo battiamo il Ceppo, oltre le scintille, fa un gran rumore bum bum, bum bum bum. Ed è allora che magicamente dal camino cadono fichi secchi, mandarini e pepini, cadono giù dal camino e non si capisce come.

Ma noi ragazzi continuiamo a battere, fino a che vengono scintille. Poi, esausti, che gioia raccogliere il bottino e far la conta, mangiare qualcosa e poi andare a letto contenti.

Che bella la fine di dicembre del 1970.

Le altre feste

Dopo il ceppo si attendeva la Befana, che forse riempiva la calza.

Dopo la Befana non ci restavano che le lucciole, che catturate e messe nel bicchiere avrebbero, immancabilmente solo dopo che ci si era addormentati, lasciato qualche monetina da 5 o dieci lire.

Poi di nuovo il Ceppo con la frutta che cadeva dovunque e noi, tutti questi prodigi, non si capiva come potessero succedere.

Giancarlo

L’orologio

Qualcuno costruì un orologio molto speciale per Carlo, orologio che aveva il potere di rallentare il tempo. Era stato creato da un orologiaio abilissimo che oltre alla speciale funzione lo aveva fatto molto elegante, con un quadrante dorato e lancette sottili.

Carlo era molto orgoglioso del suo tesoro e lo portava sempre con sé e un giorno decise di fare una passeggiata al parco per godersi il bel tempo. Mentre camminava, vide un gruppetto di bambini che stavano giocando a pallone.

Carlo si sedette su una panchina e osservò i bambini giocare, ma presto si accorse che il tempo stava passando molto velocemente. Allora decise di usare il suo orologio magico per rallentare il tempo e godersi meglio la scena.

Con un tocco della lancetta, il tempo rallentò e i bambini cominciarono a muoversi più lentamente, dando a Carlo il tempo di osservare ogni dettaglio del loro gioco. Era come se il mondo intero si fosse fermato per lui.

Carlo si divertì molto a osservare i bambini giocare e a godersi la bellezza del momento. Quando ebbe finito, decise di riportare il tempo alla normalità e si alzò per tornare a casa.

Da quel giorno in poi, Carlo usò spesso il suo orologio magico per rallentare il tempo e godersi ogni momento della sua vita. E ogni volta che lo faceva, si sentiva felice e contento di essere vivo.

Ma Carlo non riusciva a resistere alla tentazione di usare il suo orologio magico ogni volta che poteva. Cominciò a usarlo sempre più spesso, finché non divenne dipendente dal suo potere di rallentare il tempo.

Un giorno, però, l’orologio smise di funzionare. Carlo era disperato e cercò in tutti i modi di ripararlo, ma non c’era niente da fare. Senza il suo orologio magico, Carlo si sentiva perso e non sapeva come affrontare la vita.

Vendette tutti i suoi beni ed usò il denaro per viaggiare e godersi la vita, anche senza orologio magico.

E così fece, viaggiò per il mondo, visitando posti meravigliosi e incontrando persone interessanti.

Purtroppo il tempo, senza il suo bell’orologio, volava via veloce e presto si ritrovò vecchio e poi morì.

Giancarlo

Lasciavo una calza sul camino

Da piccolo la sera del 5 gennaio lasciavo una calza sul camino per la befana.

Il giorno dopo avrei voluto trovarla piena di dolci. Ma mi sarei accontentato di noci, nocciole e mandarini, ma niente, non succedeva mai. Dovrei dire che non succedeva più, perché in passato era successo e ne ero stato felice. Ma ora è tanto che non succede ed io mi domando perché. Non trovo spiegazioni.

Continuo ad attaccare una calza vuota al camino e la mattina successiva è ancora vuota, desolatamente vuota.

Ho pensato, qualche volta, di comperarmi quelle belle calze colorate e già piene di dolciumi che si trovano in questo periodo in tutti i supermercati, ma ho desistito. Io voglio essere premiato per il mio comportamento, non barare comprando la calza già piena. Ne va della mia autostima. Che senso ha premiarsi da soli, sembrare realizzati, almeno agli occhi dei vicini che vedendo tutta quella meraviglia appesa al focolare penserebbero: “ma guarda come è stato bravo il nostro vicino, guarda quanto ben di Dio” gli ha portato la Befana.

Per la Befana lasciavo una calza sul camino.

LII – 52 – 2018- Giancarlo Arrigucci – A spasso in piazza Santa Croce e a Fighille – Tempera grassa all’uovo (100 x 70 cm)  

Ma no, no, no! Non voglio barare, io sono io e mi comporto bene senza nemmeno pensarci. Aiuto le persone come e per quello che posso, senza chiedere nulla in cambio. Non sporco per strada con l’involucro delle caramelle e neppure ci sputo per terra, figuriamoci.

Non voglio niente, ritengo che un comportamento educato sia un prerequisito della vita sociale, nessuno mi deve qualcosa per questo.

Ma la Befana… accidenti, vorrei si fosse ricordata di me come faceva tempo fa, quando era ancora viva la mamma. ma ormai ne è passata di acqua sotto i ponti. Anche qui sotto il ponte della diga ne passa molta.

Mi arrivano in faccia gli spruzzi freddi di piccole goccioline portate dal vento. Hanno appena aperto gli scarichi, l’acqua è bianca e tumultuosa. Bella ed attraente.


La calza è ancora sul camino e chissà se l’anno prossimo la Befana…

Giancarlo

Ugo

Un giorno Ugo si svegliò e qualcosa gli sembrò strano.
La camera gli apparve come di consueto, ma egli sentì che qualcosa non andava.
Sentì come un fastidio, ma non sembrava fisico.
Allora si affacciò alla finestra e guardò fuori.
Sembrava una splendida giornata il sole si è già levato e irradiava la campagna.

Ugo è abbastanza abitudinario, alla sera cena leggera, poi uno sguardo alle notifiche di YouTube, magari guarda un dibattito politico o, più volentieri, un How to su GIMP.
Apre blender , fa qualcosa ma non arriva ogni volta al rendering, si modifica quelle due o tre mesh per creare la scena e poi la pianta li. Anche perché è bello riprendere il filo (o file) la sera dopo e continuare a lavorarci.

Quando arriva ad animare allora si diverte di più perché deve scegliere la musica e questo gli porta via una mezzora su Jamendoo o su liber liber.
E poi se realizza il filmato lo deve anche pubblicare sui social per valutarne il riscontro il giorno od i giorni successivi.

Ma Ugo non si preoccupa dei like, li considera solo per vedere se ci sono stati spettatori che hanno apprezzato il suo passatempo.

Ugo quella mattina però

Quella mattina c’era qualcosa di distonico e non riusciva a capire cosa.

Volle misurarsi la febbre, di solito non lo faceva anche se il mondo in quel periodo sembrava completamente assuefatto a quella pratica. Che veniva fatta non solo a casa ma in tanti uffici e negozi dove volevano esser certi che chi arrivava non fosse febbricitante. D’altronde con una pandemia in atto come dargli torto. Pensò di avere la febbre, anzi pensò di aver preso il virus e che il malessere che provava ne fosse un sintomo. Il termometro avrebbe confermato.

Ma non fu così.
Rincuorato da una parte ma preoccupato di non saper ancora cosa gli stesse accadendo dall’altra, decise di scendere a far colazione.
Si preparò il suo caffè con la moka mettendo prima una base di orzo e poi , sopra, il caffè.

Mentre lo sorseggiava, rigorosamente senza zucchero, uscì un attimo nell’aia. Il tempo era veramente bello, come aveva visto dalla finestra, la temperatura, fresca ma già mite, faceva capire che ormai la Primavera era alle porte.

Dopo il caffè si rese conto che il malessere non accennava a diminuire.
Dopo il caffè si rese conto che non si era trasformato in scarafaggio come il protagonista di un romanzo di Kafka.

Il caffè però gli fece capire che il malessere era sicuramente fisico e non mentale.
Allora si decise, prese il sudoku, andò in bagno e trovò la soluzione.

Giancarlo

Immagine di Copertina:
Ugo, olio su cartone 26x26cm
2021 Giancarlo Arrigucci

Difendono la terra

Difendono la terra, la loro terra

Dagli sciacalli e dagli invasori difendono la loro terra.

Assieme alla terra difendono la loro, la nostra gente

Siamo pronti a difendere la terra, la terra è il nostro paese, tu scapperesti o resteresti con le armi in pugno, a difendere il tuo paese? Sono sicuro che sei contro le armi ma se si tratta di difenderti, se dovrai salvare il tuo paese, non avrai dubbi, non avrai esitazioni.
Non possiamo rinunciare alla terra, anche se l’artiglieria la sta massacrando. La terra è la nostra storia è il nostro paese.

Difendono la terra

Loro difendono la terra e noi con loro, noi siamo tutti con loro, noi siamo con quelli che difendono il paese. Contro un vile invasore che respingeremo nei suoi confini, anche senza l’aiuto di altri.

I malvagi resteranno malvagi ma non ci faremo coinvolgere nella loro decadenza i nostri principi sono saldi, resteremo con le armi in pugno a difendere il nostro paese la nostra terra.

E’ stato sempre così, anche altrove, quando arriva un invasore la gente si ribella e noi non non saremo da meno.

Se ti vogliono allontanare

Se ti vogliono allontanare, se ti spingono sempre più lontano tu resisti, opponiti, noi saremo con te, contro l’invasore.

Noi proteggiamo la nostra storia, proteggiamo la terra, chi non resterebbe a combattere per la sua storia e la sua terra?

Si, resteremo assieme a loro a difenderla e a proteggerla.

Noi non amiamo le armi ma l’artiglieria pesante sta massacrando il paese, la gente non può scappare. Non c’è un posto dove fuggire, dove sfuggire alle bombe ed alla nostra coscienza.

Loro continueranno a difendere il paese, loro sono i difensori, noi lo difenderemo con loro, contro gli invasori. Contro quelli che vogliono cancellare la nostra storia, le nostre conquiste. Loro difendono noi, noi ci difenderemo con loro.

Stiamo già difendendo, siamo partigiani.

Ceppoduro

Liberamente tratto da:

Protect the land dei System Of A Down, pubblicato dopo 15 anni di silenzio il 6 novembre del 2020 i cui proventi vanno in beneficenza all’organizzazione Armenia Fund per fornire aiuti alle persone colpite dalla guerra nell’Artsakh.

Sono un sentimentale

Sono un sentimentale.

Sono un sentimentale lo so, lo sono sempre stato.

Non mi sono mai arrabbiato, nemmeno con i bulli a scuola, neppure con loro.
Non pensate che io sia pavido, non evito l’ira per pavidità, no davvero.

E’ che non mi sembra giusto prendersela con gli altri. Non posso farlo, mi comporterei come loro. Allora penso che quello che vuole ferirmi non ha realizzato il male che intende fare.

E penso che devo reprimere la mia rabbia, calmarmi, distendere i nervi e fare in modo che la conflittualità svanisca.

Non sono un guerrafondaio, sono un pacifista romantico, che è convinto che le azioni delle persone portino delle reazioni simili nelle altre persone. Ci relazioniamo così, da sempre.
La legge del taglione è questo, occhio per occhio e dente perdente significa che io ti faccio quello che tu fai a me.

L’ho detto sono un sentimentale

Ritengo che facendo del bene si possa riceverlo in cambio.

Anche se non tutti sono così.

I politici vogliono sempre decidere loro, i militari vogliono sempre comandare loro, gli uomini d’affari vogliono sempre mangiare loro, i prelati vogliono sempre moralizzare loro e per farlo non possono mai essere d’accordo con gli altri, devono trovarsi un avversario, un nemico, un concorrente, un infedele o un falso Dio e farlo combattere, da voi.

E’ per questo che sono finito in trincea, io non avrei mai voluto questa guerra, ma Dio, la Patria, l’onore e qualcos’altro non potevano farne a meno.
E nemmeno di me potevano fare a meno.

Mi hanno dato un’uniforme, un fucile e qualche ragione per andare a provare ad uccidere un nemico.

Sono andato soldato

Sono andato soldato, mi ci hanno mandato sennò non sarei mai andato.
Non so chi sia il nemico, non ho nemici io, ve l’ho raccontato, io non mi incazzo mai. Perché dovrei se non rispondo finisce sempre ogni scontro.

E’ freddo quassù nella trincea, freddo nelle ossa e freddo nel cuore, dovrò combattere anche se non vorrei.

Intanto il tempo passa e noi si passa pensando che fare. Tanto passa che ti abitui ad attendere e pensi che passando le stagioni passeranno anche i guai.

Non pensi veramente che combatterai mai, oramai.

Poi mentre mastico tabacco e lo sputo per terra ecco che appare, la in fondo, il nemico anche se non sembra diverso da me se non per il colore dei panni che indossa.

Non so cosa fare, anche se dovrei sparare, Sparare veloce, finché non mi vede che non si accorgerà nemmeno di morire. Lui no ma io si.

Io ancora non ho sparato ma lui l’ha già fatto per primo, centrandomi in pieno.

Sono morto, per aver esitato, per aver evitato lo scontro.

Sono morto

Sono morto e ora mi rendo conto che per salvarsi la vita non serve essere sentimentale.

Ma per salvarsi l’onore si.

Ninetta mia amata oggi termina la mia vita, ma non il mio amore, il mio cuore continua a battere per te. Ora che è maggio trovo anche il coraggio di dirlo anche a te. Sono certo che un giorno verrai a trovarmi in questo campo di grano dove domani verrò seppellito, ma però non portarmi dei fiori perché ci son già mille papaveri rossi a vegliare su me.

Giancarlo

Ispirata e liberamente tratta da

La guerra di Piero

Fabrizio de André

1964

Cavo i sassi, onestamente.

Cavo i sassi

Sono un lavoratore onesto.

Cavo i sassi.

Ragazzi la terra è dura e pesa, ma i sassi lo sono di più. Forse perché vengono dalla terra compressa, e la terra si sbriciola e i sassi no.

Ma i sassi, proprio perché sono duri vanno cavati, si devono togliere dalla terra. Ci batti con la zappe e rovini il filo e se li lasci li, dove c’è il sasso non cresce nulla, vanno cavati.

Io cavo i sassi.

E’ il mio mestiere, un mestiere duro, che non ti insegnano a scuola, ma bello perché si trovano sassi di ogni forma e dimensione, come quando si va a funghi, solo che è più faticoso.

Anche oggi mi sono rotto la schiena e non solo per raccoglierli. Vango il terreno e dissodo le pietre, che non sempre sono facili da estrarre. Come quelle grosse, che però sono le migliori. Le pietre non si buttano via, c’è sempre un muretto da fare o un fosso, o una strada. Con quelle grandi si fa bene il selciato, con quelle piccole il sottofondo. Con le pietre squadrate si tirano su angoli bellissimi e diritti, metterle in piombo è quasi un gioco da ragazzi.

Oh, non è che utilizzarle si meno faticoso che cavarle, si un po meno si, comunque restano pesanti da trasportare e più pesanti ancora da issare su per il muro.

I sassi, a volte, vanno conciati ma con due colpi ben assestati ci si riesce sempre.

Ma prima io cavo i sassi.

Con tanto sudore, onestamente.

Serve per il campo, serve la casa e serve anche per il mondo. Come sarebbero le vostre città senza i sassi?

La mia casa, l’ho costruita io, con i sassi che ho cavato. Il focolare che ho in cucina pure e lo stalletto per il maiale anche.

Coi sassi ho fatto anche il tetto ed il pavimento, entrambi con le lastre.

Ve lo dicevo prima i sassi sono belli, ce ne sono di rotondi, ma quelli sono tutti al borro, come la sabbia.
Al campo ci sono sassi grossi, sassi da muro, anche qualche lastra, ma quelle non sono troppo utili, sono troppo spesse.

Le lastre buone sono nel greppo, sotto uno strato di galestro, gli strati si sfogliano come cipolle.
Ma sono perfette per il tetto, sono sottili ed ampie anche un metro.

Allora

Bene, che dicevo?

Ah, si: Cavo i sassi e son contento.

Dormo bene la notte io, se non sono stanco conto i sassi e…

… buonanotte.

Ceppoduro

Sono pazzo

Sono pazzo. Sono stato matto per un sacco di tempo, ma ora ho capito.

Scava la tua tana, scava, scava. Se sei veloce ne scaverai un’altra.

Scaverai anche la tua tomba.

Cogli l’attimo.

Ho paura!

Anche tu?

Un gran boato e tutto è distrutto.

Ma il tempo continua imperterrito a passare, come faceva prima, tra ticchettii e sveglie a orologeria.

Sei giovane, ed il tempo sembra non passare mai per te, devi lavorare e ancora lavorare. Quando non lavori cazzeggi, aspettando qualcosa o qualcuno, forse aspettando Godot.

Poi, d’improvviso, il tempo passato si mostra e ti ritrovi più vecchio, anzi, solo vecchio e non sai come ne perché ed il mondo è sempre come prima.

Ora capisci che non devi stare a guardare il sole passare e cerchi di rincorrerlo, ma lui ti doppia sempre ed ogni volta tu invecchi di più.

E la morte si avvicina

sono pazzo


Quello che pensi di fare si perde nel tempo che passa ed è sempre più difficile portare a termine qualcosa. Non ti rimane che attendere la fine, la nostra bellissima amica, la fine. E la morte si avvicina, con il tempo che passa.

“Ora resto volentieri a casa, come non facevo prima, a scaldarmi il corpo e la mente.
Ascolto, oltre il muro, i rintocchi di campane che richiamano fedeli, ma resto a scaldarmi al mio focolare.

Penso alla morte, dovrò morire prima o poi, ma non provo paura, mi sembra normale.

Paura non l’ho mai avuta, ne ho mai detto di averla avuta.

Anche se, pensandola, si, insomma, immaginandola, un sentimento straziante mi assale, come un grido lancinante, prolungato, modulato che porta ad orgasmo finale: come un requiem.”

Facciamo tutto per soldi e i soldi ci fanno fare tutto.

Dovremo condividerli, ma guai a farlo.
“Avevo ragione, assolutamente, è tutto frutto di un fraintendimento e avevi ragione pure tu, tutti fanno di tutto per i soldi anche se in fondo, non serve a nulla.

Basta avere un posto sicuro, nelle retrovie, se al fronte muoiono andando avanti o indietro, a noi, gente comune non ci importa niente.

Ho la mia stanza e non ne devo uscire. Ho altro a cui pensare, non voglio morire, come quel tizio, il padrone del bar, per aver preteso i soldi della bevuta.

Sono pazzo

C’è un pazzo dentro di me, si trova nella mia testa, con lui, di solito, ci vediamo sul lato oscuro della luna. Tu questo pazzo non puoi vederlo ma con le tue medicine riesci a confinarlo da una parte. Sto bene finché non ritorna. Se torna io grido. Anche se non mi sente nessuno.

Che dire? Tutto questo è bellissimo.

Tutto, tutto ciò che siamo, che facciamo e che pensiamo, è tutto molto bello sotto il sole.

Ma il sole oggi è oscurato dalla Luna.

E non c’è un solo lato oscuro sulla Luna, tutto è oscuro lassù.

Giancarlo

Libera interpretazione di
The dark side of the moon (Pink Floyd)

Olocausto

Ora.

Vi racconto l’olocausto, sembra impossibile, ancora non c’è stato e quando ci sarà non potrà raccontarlo nessuno.

Io, che posso solo immaginarlo, ve lo voglio descrivere.

Mi domando se qualcuno se ne renderà conto, quando accadrà?

Ed anche quali sensazioni proverà, quali sentimenti, quali paure?
Vorrei capire chi vorrà metterlo in atto, per quali obiettivi e con quali risultati?

Sarà il tramonto dell’umanità che senza ombra di dubbio sarà dovuto ad un esplosione nucleare, che altro sennò? Esplosione molto ben conosciuta per le innumerevoli volte che è stata osservata e sperimentata sotto controllo e, per fortuna, per le poche volte che è stata deflagrata sul serio.

Ma lasciatemi dire dell’olocausto…

Sono sulla mia macchina al tramonto, guardando il sole calare tuffandosi tra i viadotti traballanti in controluce, sto pensando a tutto quello che non sono riuscito a fare, a quello che non son riuscito a dire a mia moglie, ai mie figli, o a mia madre. Ai regali che non ho fatto agli amici o alle tele bianche che ho ancora in mente di dipingere. Ma ho come un presentimento, di non riuscirci più, penso che quello che sospettavo stia per accadere, che l’olocausto sia arrivato.

Il tappo è saltato. Un nuovo sole brilla, improvvisamente, ad oriente, nonostante il giorno stia finendo ad occidente.
E’ il tramonto.

Due soli al tramonto?

Hhfffffff!

Potremmo, gli esseri umani, non esserci più.
E’ come quando l’auto inchioda ma, da dentro, la vedi scivolare contro il grosso camion. E gli attimi si allungano per la paura, ma non li rivedrai ne li risentirai, ne potrai tornare indietro per cambiare le cose.

E mentre il parabrezza si scioglie e le lacrime evaporano lasciando di te solo bruciato, finalmente capisci:

Cenere e diamanti.

Nemici e amici.

Alla fine sono, siamo, la stessa cosa.

Poi si sentono solo le previsioni del tempo:
“Domani piogge intermittenti da est, in intensificazione.
Massime in aumento fino a 4000 gradi”.

Giancarlo

Libera traduzione di “Two suns in the sunset”

The Final Cut

1983

Pink Floyd

Composta da: Roger Waters

Non voltarti indietro

Maria no

Non voltarti indietro, non farlo mai.

Anche se il tempo non è stato clemente con te, la tua pelle segnata dagli anni ti mostra ancora più bella, più vera, ancora più viva.

Non scoraggiarti ma smettila di pensare che quello che non è ancora successo oggi possa accadere domani. Vedrai che se smetti di aspettarlo, anche se non è mai arrivato, se la smetti di voltarti ancora per vedere se non sia arrivato, vedrai che qualcosa succederà.

Anche se hai aspettato tanto è ora di smetterla; è ora di pensare al domani, devi avere fiducia nel domani.

Quando poi non te lo aspetti più

E nel momento che non te lo aspetti più vedrai che quello che attendevi arriverà.

Sarà un giorno bellissimo.

Sarà un uomo bellissimo.

Lui ti abbraccerà, come mai nessuno aveva fatto prima.

Ti perderai tra le sue braccia come una bambina in quelle della madre.
Nemmeno ti renderai conto che quel giorno è arrivato, che lui sarà già una meravigliosa realtà.

Sentirai le sue forti braccia attorno ai tuoi fianchi.

Farà splendere il isole nel tuo sorriso e scintillare i tuoi occhi di pianto.

Smetti, non voltarti indietro

Maria, dimentica il tempo passato ad aspettare.

Non è più tempo di piangere.

Ora devi solo sorridere, essere felice.

I tuoi occhi puliti, puliti dal pianto, risplendono nella luce del mattino.

Non ti vedevo raggiante così da quando eri bambina.

Senti il profumo del mattino, il mattino della tua nuova vita.

La vita con il primo amore che, anche se è arrivato in ritardo, non ti tradirà mai e non ti farà pentire di averlo atteso così tanto.

Dimentica il passato ora sono qui con te per il resto della nostra vita.

Ceppoduro

Liberamente tratto dalla canzone: Dolcissima Maria della Premiata Forneria Marconi