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Gioiello (detto Joy)

Nascere poveri è brutto (*)

Gioiello, Joy come lo chiamavano gli amici, era nato povero, i suoi genitori erano contadini smessi, che nel ‘70 lasciarono il casolare per trasferirsi in paese, per trovare la felicità.

Contrariamente agli altri vicini, i suoi non avevano rubato niente al padrone della fattoria dove erano a mezzadria, ne gli rubarono qualcosa al momento di lasciare il podere, ne chiesero niente o fecero causa a lui o a chicchessia, come tanti a quel tempo.

Insomma da poveri contadini tristi divennero poveri operai, ma felici. Felici di poter garantire un avvenire al figlio.

Il padre che faceva il manovale in una ditta edile, la madre restò a casa ad accudire Gioiello. Allora non c’erano gli asili nido ne altre comodità odierne.

Comunque il babbo si ammazzò di lavoro per farlo crescere felice, che stesse meglio di lui, almeno.

Si ammazzò nel vero senso della parola quando, un giorno, cadde dal ponte che stava montando ed andò a battere la testa sulla betoniera, 7 o otto metri più sotto.

Gioiello di mamma

La mamma, disperata, superò a stento il dramma di quanto successo. Quando andò a servizio, la vita ricominciò a sorriderle. Riuscì anche a far studiare Joy, in modo che potesse trovar lavoro in banca ed essere felice.

Joy studiò sodo, voleva far contento la madre e poi voleva emergere, voleva lasciare quella condizione economica precaria.

Fu felice quando entrò in Banca, come cassiere, i soldi cominciarono ad arrivare e la miseria era ormai un ricordo.

Fu triste quando morì mamma ma la vita deve continuare come lo spettacolo.

Cominciò la sua carriera: tanti i cambi di ufficio, tanti quelli di mansione, tante automobili nel frattempo. Si sentì appagato e felice solo quando le fecero direttore generale, riuscendo a farsi una bella macchina, una casa grande in collina, una bella moglie giovane ed anche dei figli, che erano un amore: Belli ed intelligenti anche loro. Era finalmente felice, ricco e felice, non avrebbe desiderato altro, se non che anche i figli si sistemassero; in prospettiva, meglio di lui.

Ma un giorno, la mazzata. I figli erano stati arrestati per droga, non solo consumo ma anche spaccio. Droga pesante, di quella che si inietta.

Quando riuscì ad incontrarlo chiese al figlio maschio perché? E lui facendo spallucce “Oh babbo, per noia”.

Joy, Ohi.

A Joy crollò il mondo, sentì che nonostante tutti i soldi che aveva, e che aveva dato alla famiglia, che non aveva reso felice nessuno, nemmeno se stesso. Nepure conosceva i suoi figli, sua moglie, non aveva amici se non quelli interessati agli affari o che interessavano a lui per i suoi affari.

Non conosceva nessuno, veramente.

Non era nessuno, realmente.

Non era felice come non lo era nessuno intorno a lui, con lui.

Giancarlo

(*) Racconto basato sul paradosso di Easterlin.

Dodicesimo secolo

Bucine città murata

E’ arroccata su un piccolo colle e cinta da mura enormi. Bucine nel dodicesimo secolo ha solo tre porte per comunicare con l’esterno.

Inoltre sono porte doppie, tanto è ciclopico lo spessore delle mura.

Un ponte levatoio fa accedere alla porta da un lato e ne fa scendere dall’altro permettendo in questo modo di attraversare i due larghi e profondi fossati presenti da ambo i lati delle porte.

In poche parole per entrare a Bucine si doveva abbassare un ponte levatoio per superare il fossato esterno ed accedere alla porta esterna.

L’apertura della porta faceva alzare il ponte levatoio abbassato e quindi permetteva l’accesso alla porta successiva dopo l’attraversamento delle mura. L’apertura della successiva permetteva di calare l’altro ponte e superare il fosso interno ed entrare in paese.

Era una sicurezza contro eserciti invasori con avrebbero mai potuto entrare in massa.

Cerchie di mura interne permettevano un ulteriore difesa.

Ma le porte servivano anche ad altro.

Bucine, dodicesimo secolo

A quei tempi la pena capitale non era stata ancora abolita in Toscana, ma i reggenti di Bucine, illuminati anzitempo, offrivano sempre una chance di salvezza al condannato anziché ucciderlo.

L’uso era questo:

In pratica il condannato veniva esiliato, quindi doveva lasciare il paese, passando da una porta.

Vi ho detto che dentro le mura venivano allevati animali. Erano capre, maiali, buoi e cavalli; ma per quella occasione dietro una porta venivano celati dei leoni affamati, trattenuti in lunghe catene e solo il custode sapeva dove.

A quel punto il condannato doveva scegliere una porta di uscita ed oltrepassarne il ponte levatoio. Solo allora poteva chiedere aiuto ed il custode in risposta avrebbe aperto una delle due porte rimaste, una che lui sapeva custodire solo animali domestici. A quel punto al condannato veniva chiesto se volesse cambiare porta, e passare da quella delle due rimasta chiusa o preferisse mantenere la scelta iniziale e proseguire da li.

I più scaltri cambiavano idea ed in gran parte riuscivano a raggiungere l’esilio. I più fessi mantenevano la scelta e venivano in gran parte divorati dalle fiere affamate nascoste dietro la porta.

Morale della storia:

Cambiare da maggiori probabilità di successo (*).

Giancarlo

(*) Una storia di Bucine basata su un’elaborazione del paradosso delle tre carte.

A Levane, Levanesi organizzano viaggio nel tempo

Oggi siamo venuti a conoscenza, tramite alcune nostre fonti riservate, “Le fonti Leona”, ma non possiamo darvi altri dettagli, che a Levane, alcuni abitanti hanno fatto un viaggio nel tempo. Essi hanno viaggiato indietro nel tempo per cercare di risolvere il problema del sillogismo Levanesi – maialai, che da troppo tempo umilia il paese. Questa accusa di maialai poteva avere a che fare con le errate interpretazioni lessicali di un Americano e la colorita descrizione della locanda di Levane (una trip advisor user antelitteram) di una scrittrice Inglese.

Levane viaggio 1844

Nel 1844 passò da Levane anche il poeta statunitense Bayard Taylor che, nella sua relazione di viaggio, racconta: “ma Levane ci ha fatto dimenticare tutti i disagi della giornata. Era notte, nevicava, e davanti a un grosso falò, sedevano due o più contadini. È stato divertente perché quando uno di loro ha chiesto ad un altro di scambiare con noi qualche parola quello gli ha risposto “perché dovrei dirgli qualcosa?

Lui non fa il nostro lavoro” Poi il primo contadino è sparito improvvisamente e gli altri due mi hanno detto: “Noialtri siamo solo dei maialai e non le interesserà di certo parlare con noi”. Poi però la sua curiosità ha prevalso ed ha attaccato bottone: ne è nata una lunga chiacchierata. La cosa più buffa di tutte è che a loro rimaneva difficile da capire come è che ci fosse da attraversare tanta acqua, senza nessuna terra in mezzo, per arrivare nel nostro paese [gli USA] quando a loro basta passare l’Ambra o l’Arno per andare ovunque“.

Levane viaggio 1785

Mentre Miss Mary Barry nel suo diario di viaggio, annotava al giorno 25 maggio (Circa 1785): «Arrived at Levane; inn very bad, a tip, a pigsty». Insomma la locanda faceva schifo, un vero maialaio.

Fino ad oggi dai resoconti di questi due viaggi sembrava dovuta la fama di  maialai per tutti i Levanesi.

Levane viaggio 2016

Alcuni abitanti di Levane, guidati da un noto chitarrista rock locale, che chiamerò Marco, per non chiamarlo con il suo vero nome, hanno costruito un macchinario, trasformando amplificatori acustici collegati in serie tramite un “pipe” scritto in linguaggio “ADA”, a PC Portatili e Smart Phone Android di ultima generazione, capace, a suo dire, di percorrere un viaggio a ritroso nel tempo.

Il linguaggio di programmazione ADA è stato scelto perché porta questo nome in onore di ADA LOVELACE figlia di Lord BYRON (diciottesimo secolo).

L’intenzione della setta di Marco

L’intenzione della setta di Marco sembra fosse quella di viaggiare nel tempo per impedire che alcune asserzioni fossero pronunciate da dei contadini intorno al falò a Bayard Taylor durante l’inverno del 1844. In un secondo tempo potrebbero proseguire a ritroso nel tempo fino a pulire la locanda del paese, prima dell’arrivo della famosa scrittrice.

Sempre grazie al nostro “corvo” abbiamo la possibilità di raccontarvi come è andata.

Vediamo che cosa è successo a Levane.

Non conosciamo i dettagli della macchina ma abbiamo un pezzetto del codice ADA utilizzato per creare il Pipe Temporale che permette il viaggio nel tempo:

procedure ModMoodTaylor is
  Timelapse: array (Integer range 1844..2016) of Integer;
begin
  for Trip in Timelapse'Range loop
    Timelapse(Trip) := Trip;
  end loop;
end ModMoodTaylor;

Il viaggio a ritroso dicono si sia svolto

Il viaggio a ritroso dicono si sia svolto regolarmente, anche se la velocità del sistema lasciava a desiderare, forse per l’uso di PC con sistema operativo proprietario obsoleto, comunque il nostro Marco, che non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di diventare il primo temponauta Levanese, è arrivato a Levane nell’anno a nel giorno previsto, ha visto i falò e nonostante la neve alta e soffice gli impedisse di muoversi con agilità è riuscito ad arrivare quando la conversazione non era ancora iniziata.

Ha spiegato concitatamente alle persone presenti che non dovevano assolutamente raccontare all’americano di maialai, mai, altrimenti la maledizione li avrebbe colpiti inesorabilmente. Poi il loop informatico ha iniziato la modalità reverse per il rientro ai nostri giorni e lui è rapidamente sparito, come la neve intorno al falò, non prima di ascoltare i due dire all’americano: “Oh Bayard, il nostro amico, che era qui sinora, ci diceva qualcosa di noi, dei Maya, io lai, e della loro maledizione, ma noi, non se capito sai?”  “Non sappiamo che dobbiamo dirti ne perché dovresti ascoltarci”. “Don’t worry, voi Maya lay! I well understood”! Disse Taylor, poi Marco non era più lì.

Ora ci sembra che

Ora ci sembra che il fraintendimento ci fu e fu causato proprio da Marco e dal suo viaggio nel tempo, intrapreso per evitarlo. Insomma se non avessero costruito il congegno, forse noi avremmo palato mai e poi mai dei Levanesi come maialai. E lo stesso viaggio nel tempo non sarebbe stato necessario e possibile, il principio di autoconsistenza di Novikov sarebbe stato smentito ed il paradosso del nonno confermato.

Ma con i Levanesi non c’è nulla da fare

Ma con i Levanesi non c’è nulla da fare, vanno avanti tutta a capo basso, anche se si trovano di fronte un cavallo di Troia.

Da ultimo, ma non meno importante, voglio dire che i viaggi a ritroso nel tempo sono molto più facili di quello che la nostra ragione ci dice. Magari ne facciamo molti, nell’anno e non ce ne rendiamo conto assolutamente.

Per viaggiare nel tempo bastano due semplici condizioni, un cielo notturno sereno, meglio se con poco inquinamento luminoso, alzare gli occhi al cielo ad ammirar le stelle. Ed ecco che ci troviamo in mezzo ad eventi accaduti migliaia, milioni di anni fa. Viviamo momenti, seppur fugaci, che si sono conservati così a lungo per noi, per i nostri occhi solamente.

E, quando lo facciamo, non ce ne rendiamo assolutamente conto.

Bucine

time_spiral

PS: Sono amico di molti Levanesi e mi permetto di prendermi gioco di loro solo per fini ludici e divulgativi. Parlare di antinomie e paradossi portando ad esempio Levane e Levanesi è facile e troppo bello.

Ne abbiamo già parlato:

Qui,

e qui,

qui,

qui,

E qui,

Godeteveli.

destobesser.com

know.cf

Moore, i paradossi di Levane e dei Levanesi

Il paradosso di Moore

Something more about Moore paradox.

Marco abita a Levane.

Moore

Levane è una ridente cittadina in provincia di Arezzo, suddivisa tra i comuni di Montevarchi e Bucine vicina a Terranuova Bracciolini, Laterina e Pergine Valdarno.

Marco, qualche anno fa abitava nella parte di levane sotto giurisdizione del comune di Montevarchi, ma lui pensava di essere di Pergine, perché a Pergine aveva la residenza anagrafica, anche se stava a Levane in quel di Montevarchi con i genitori. Non posso dire se fosse veramente Montevarchino o Perginese so che non era di Bucine, non gli avrei mai dato del Bucinese, come userei per me, che sono nato e cresciuto a Bucine.

Ora

Ora è successo che Marco ha lasciato la residenza di Pergine e, non volendo rimanere in casa con i genitori, ha optato per comprarsi una casa. Non molto lontano da quella dei suoi cari. Una casa dignitosa che gli permette una certa autonomia, insomma che gli consente di vivere da solo. Se gli va di ospitare le ragazze può farlo. Se la relazione, con una di queste, divenisse più solida può permettergli di conviverci o di sposarla. Insomma è un posto suo, che gli consente di vivere la sua vita da adulto indipendente.

Il caso ha voluto che la nuova casa fosse ubicata nel comune di Bucine. Marco è diventato Bucinese.

Credo

Credo che Marco non si consideri ancora Bucinese, nato e cresciuto com’è nella parte Montevarchina di Levane. Oppure per essere stato tanto tempo residente a Pergine. Comunque non ci sarebbe niente di strano se lui, adesso, si dicesse Bucinese. Adesso, che vive a Bucine. Quindi è normale dire che: “Marco vive a Bucine e si sente Bucinese” e sarebbe altrettanto logico e normale asserire che: “Marco, che vive a Bucine, non si sente Bucinese”. Comunque vivendo a Bucine può ben dirsi Bucinese a tutti gli effetti, senza contraddizioni.

Ma io la penso in maniera diversa, forse paradossale: “Marco è Bucinese, ma io non ci credo”.

Giancarlo

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Abitanti, parliamo degli abitanti del valdarno.

Questo post contiene almeno un errore

Questo post contiene almeno un errore

Questo è quanto.

Se fossi riuscito a scrivere un post, quello che state leggendo, completamente corretto; quanto, falsamente, affermato nel titolo del post sarebbe stato vero, perché l’errore sarebbe insito nel titolo stesso, cioè l’affermazione falsa sarebbe vera.

Questo Levaggi
La scalinata di 3vi. Che illustra molto bene il concetto del falso prospettico che guarda il mondo reale. Bidimensionamento della trirealtà.

rene
Cielo a pecorelle pioggia a catinelle. Con riferimenti alla leggerezza dell’essere e la pesantezza del non essere.

Questo Magritte
Nella pasta e ceci va usata la pasta lunga, pasta lunga spezzata o pasta corta? Dilemma ad oggi tuttora irrisolto.

Escher Questo post contiene almeno un errore
Estrinseca l’intrinseco che è in te. Il paradosso delle palle in mano.

Per evitare ogni possibile confusione non c’è errore nel testo qui sopra e ciò potrebbe voler dire che l’errore è nell’affermazione “non c’è errore nel testo qui sopra”. Quindi non prendete per oro colato quanto scritto nei blog, a meno che l’errore non sia quest’ultimo consiglio che vi ho dato.

Il titolo del post evidenzia il paradosso dell’introduzione di David Makinson.

Mentre le immagini si riferiscono a paradossi di altro tipo.

Giancarlo

Un post paradossale già nel titolo, ma che di paradossale ha ben altro nel contenuto.

Se vi riuscisse di risolverlo sareste bravi a caso.

Nota a piè di pagina:

Questo è, invece, un post perfetto:

Questo post non contiene alcun errore

Questo è molto di più di quanto sopra.

Ecco la dimostrazione che si può, ed anch’io lo posso fare, scrivere un post , quello che state leggendo come nota a piè pagina, senza alcun errore, completamente corretto. Per questo quanto, giustamente, affermato nel titolo del post sarebbe è vero, perché privo d’errore già nel titolo stesso. L’affermazione del titolo sarebbe vera.

Ma se realmente fosse vero che non c’è errore nel testo qui sopra, che cosa l’ho scritto a fare tutto ‘sto robo?

Il paradosso di Berlusconj, che insegnò legge gratis a Renzj

Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo.

Il paradosso di Berlusconj

di Rosy Bindj

Bindy, Il paradosso di Berlusconj

Il grande sofista Berlusconj accettò di insegnare legge a uno studente di nome Renzj.
Poiché questi era povero, i due presero i seguenti accordi: Renzj avrebbe ricompensato Berlusconj non appena avesse vinto la sua prima causa in tribunale.
Terminati gli studi, Renzj decise di seguire la carriera politica, abbandonando il proposito di praticare la professione legale. Berlusconj, che non aveva ancora ricevuto l’onorario pattuito, chiese a Renzj il pagamento. Quest’ultimo rispose che avrebbe dovuto pagare solo dopo aver vinto la sua prima causa. E ciò non era ancora avvenuto. Allora Berlusconj, irritatissimo, decise di citare Renzj in giudizio. Per fargli mantenere la promessa.

In dibattimento.

Di fronte alla corte, Berlusconj disse che se Renzj avesse perso la causa, allora avrebbe dovuto obbedire al giudizio della corte. E quindi pagare il dovuto. Se, invece, Renzj avesse vinto, allora avrebbe appunto vinto la sua prima causa. E quindi, in base al vecchio accordo, avrebbe dovuto versare a Berlusconj la cifra pattuita.
Renzj, in maniera altrettanto impeccabile, dimostrando di aver appreso brillantemente quanto insegnatogli dal Maestro, ribatté che se avesse vinto la causa, la corte avrebbe dato ragione a lui, quindi non avrebbe dovuto nulla a Berlusconj. Se, invece, avesse perso la causa non avrebbe dovuto pagare comunque il suo vecchio Maestro. Non avendo ancora vinto la sua prima causa.

Il verdetto.

A chi dareste ragione?
Quale decisione prese la Corte?


Berlusconi, Il paradosso di Berlusconj Renzi, Il paradosso di Berlusconj

Riflessioni

Ringrazio infinitamente Maria Elena Boschj, Pier Luigi Bersanj, Massimo Da-lemà per il contributo che segue. Questo preziosissimo lavoro fa finalmente luce sulle origini del paradosso di Berlusconj.

Rosy

Boschi, Il paradosso di Berlusconj
Maria Elena Boschj,

Bersani, Il paradosso di Berlusconj
Pier Luigi Bersanj

Dalema, Il paradosso di Berlusconj
Massimo Da-lemà

Gent.ma Rosy,

Pier Luigi Bersanj, Massimo Da-lemà e io abbiamo contattato, tramite posta elettronica, il prof. Odifreddi. Cercando di trovare la fonte latina del “Paradosso di Berlusconj”. Il quale non appare negli “Academica II, 95” di Cicerone.

Odifreddi, con squisita gentilezza, ci ha immediatamente risposto. Rimanendo in contatto con noi, per collaborare nel portare a termine la ricerca. Ci ha soccorso citando “Le notti aretine” di Aulo Ljcjo Gellj.

gelli, Il paradosso di Berlusconj
Aulo Ljcjo Gellj

In queste ultime siamo riusciti a trovare il brano ricercato. Precisamente nel libro quinto, al capitolo 10. Trascriviamo il testo latino:

(NOCTIUM ARETIARUM V, X)

De argumentis quae Graece «antistréphonta» appellantur, a nobis «reciproca» dici possunt.

1. Inter vitia argumentorum longe maximum esse vitium videtur quae “antistréphonta” Graeci dicunt.

2. Ea quidam e nostris non hercle nimis absurde “reciproca”appellaverunt.

3. Id autem vitium accidit hoc modo, cum argumentum propositum referri contra convertique in eum potest a quo dictum est, et utrimque pariter valet; quale est pervolgatum illud quo Berlusconjm, sophistarum acerrimum, usum esse ferunt adversus Renzhlum, discipulum suum.

4. Lis namque inter eos et controversia super pacta mercede haec fuit.

5. Renzje, adulescens dives, eloquentiae discendae causarumque orandi cupiens fuit.

6. Is in disciplinam Berlusconje sese dedit daturumque promisit mercedem grandem pecuniam, quantam Berlusconjs petiverat, dimidiumque eius dedit iam tunc statim priusquam disceret, pepigitque ut reliquum dimidium daret quo primo die causam apud iudices orasset et vicisset.

7. Postea cum diutule auditor adsectatorque Berlusconje fuisset et in studio quidem facundiae abunde promovisset, causas tamen non reciperet tempusque iam longum transcurreret et facere id videretur, ne relicum mercedis daret, capit consilium Berlusconjs, ut tum existimabat, astutum;

8. petere institit ex pacto mercedem, litem cum Renzjo contestatur.

9. Et cum ad iudices coniciendae consistendaeque causae gratia venissent, tum Berlusconjs sic exorsus est:”Disce, inquit, stultissime adulescens, utroque id modo fore uti reddas quod peto, sive contra te pronuntiatum erit sive pro te.

10. Nam si contra te lis data erit, merces mihi ex sententia debebitur, quia ego vicero; sin vero secundum te iudicatum erit, merces mihi ex pacto debebitur, quia tu viceris”

11. Ad ea respondit Renzje:”Potui, inquit, huic tuae tam ancipiti captioni isse obviam, si verba non ipse faceret atque alio patrono uterer.

12. Sed maius mihi in ista victoria prolubium est, cum te non in causa tantum, sed in argomento quoque isto vinco.

13. Disce igitur tu quoque, magister sapientissime, utroque modo fore uti non reddam quod petis, sive contra me pronuntiatum fuerit sive pro me.

14. Nam si iudices pro causa mea senserint, nihil tibi ex sententia debebitur, quia ego vicero; sin contra me pronuntiaverint, nihil tibi ex pacto debebo, quia non vicero.”

15. Tum iudices, dubiosum hoc inexplicabileque esse quod utrimque dicebatur rati, ne sententia sua, utramcumque in partem dicta esset, ipsa sese rescinderet, rem iniudicatam reliquerunt causamque in diem longissimam distulerunt.

16. Sic ab adulescente discipulo magister eloquentiae inclutus suo sibi argumento confutatus est et captionis versute excogitatae frustratus fuit.

Traduzione

Sugli argomenti che in greco si chiamano “antistréphonta”. Che da noi (Latini) possono essere detti “reciproca”

Fra gli argomenti errati, il più errato sembra quello che i Greci chiamano “antistréphon” (convertibile). Questo dai nostri, non certo senza ragione, è chiamato “reciprocum”. Cioè facile da ritorcere. Ora questo errore avviene nel seguente modo:

Quando un argomento esposto si può ritorcere in senso opposto. Ed usare contro chi se ne è servito e ha uguale valore in entrambi i casi. Tale è quello, molto conosciuto, di cui dicono si sia servito Berlusconj, il più sottile di tutti i sofisti, contro il proprio discepolo Renzj.

La discussione e la lite (nate) tra loro a proposito della mercede pattuita era questa:

Renzj, giovane ricco, desiderava essere istruito nell’eloquenza e nell’arte di discutere le cause. Egli era venuto da Berlusconj per essere istruito. E si era impegnato a corrispondere, quale mercede, l’ingente somma che Berlusconj aveva richiesto. E ne aveva versata la metà subito, prima di incominciar le lezioni. Impegnandosi a versare l’altra metà il giorno in cui avesse discussa e vinta la prima causa davanti ai giudici. Ma, pur essendo stato a lungo ascoltatore e discepolo di Berlusconj. E pur avendo fatto notevoli progressi nell’arte oratoria, non gli era toccata alcuna causa. E poiché era ormai passato molto tempo, sembrava facesse ciò a bella posta, per non pagare il saldo a Berlusconj.

Questi allora ebbe una trovata che gli parve astuta: chiese il pagamento del saldo e intentò un processo a Renzj.

Quando venne il momento di esporre e contestare il caso davanti ai giudici. Berlusconj così si espresse: “Sappi, giovane assai insensato, che in qualsiasi modo il tribunale si pronunci su ciò che chiedo, sia contro di me sia contro di te, tu dovrai pagarmi. Infatti, se il giudice ti darà torto, tu mi dovrai la somma in base alla sentenza, perciò io sarò vittorioso. Ma anche se ti verrà data ragione mi dovrai ugualmente pagare, perché avrai vinto una causa”. Renzj gli rispose: “Se, invece di discutere io stesso, mi avvalessi di un avvocato, mi sarebbe facile di trarmi dall’inganno pericoloso.

Ma io proverò maggior piacere avendo ragione di te non soltanto nella causa, ma anche nell’argomento da te addotto.

Apprendi a tua volta, dottissimo maestro, che in qualsiasi modo si pronuncino i giudici, sia contro di te sia in tuo favore, io non sarò affatto obbligato a versarti ciò che chiedi. Infatti, se i giudici si pronunceranno in mio favore nulla ti sarà dovuto perché avrò vinto; se contro di me, nulla ti dovrò in base alla pattuizione, perché non avrò vinto. I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana. Così un famoso maestro di eloquenza fu sconfitto da un giovane discepolo che, servendosi dello stesso argomento, scaltramente prese nella trappola chi l’aveva tesa.

In attesa di una tua risposta, t’invio i migliori saluti, unitamente a Pier Luigi Bersanj e a Enrico

Maria Elena Boschj


Analisi effettuata da Taluno.
Il testo è poco dettagliato, o troppo generale, come dir si voglia: non viene specificato se Renzj (ahi, che nome, sciogli lingua di vocali) avesse dovuto vincere la sua prima causa da avvocato o da imputato.
E il gioco fonda il suo tentativo paradossale sullo scambio di dette situazioni.
Innanzitutto anticipo il risultato, e cioè che ha ragione Renzj in quanto nell’accordo non sono stati posti limiti di tempo. (questo secondo logica, anche se qualcuno potrebbe umanamente parteggiare per Berlusconj, non digerendo la furbizia di Renzj)

Caso 1)
Renzj potrebbe eludere la richiesta di Berlusconj (pur avendo vinto la causa in tribunale) affermando di aver vinto da imputato e non già da avvocato secondo i termini dell’accordo. (nella soluzione data dal testo invece si afferma che Renzj dovrebbe pagare, proprio perché si gioca sulla transitorietà dei ruoli imputato/avvocato)
Caso 2)
Il tribunale dà ragione a Berlusconj! (è un caso anomalo poiché il verdetto dovrebbe essere a favore di Renzj per i motivi di cui sopra, comunque………)
In questo caso Berlusconj potrebbe richiedere il pagamento di Renzj ricorrendo al potere esecutivo del tribunale che gli ha dato ragione ma contravvenendo ai patti presi ai tempi delle lezioni. (se volesse restare ai patti Berlusconj dovrebbe rinunciare ai soldi di Renzj o restituirglieli in un secondo tempo, nonostante il verdetto a suo favore da parte del tribunale)

Caso 3)
Renzj si presenta in veste di avvocato difensore di se stesso! In questo caso se il tribunale gli dà ragione, per rispettare l’accordo con Berlusconj Renzj dovrebbe pagare; è il caso in cui Renzj si trova a cadere nella trappola di Berlusconj.

Si potrebbe anche ritenere che nel testo non si faccia distinzione tra perdere (o vincere) da imputato o da avvocato; in ogni caso dopo che il tribunale ha emesso la sentenza bisogna fare i conti con i termini dell’accordo che sarà in ultima analisi quello che conta. È una questione di tempi; prima c’è il verdetto del tribunale (che decreta se Renzj vince o perde la causa), poi in base al responso si procede a risolvere secondo l’accordo preso; non si può altalenare tra le due cose fingendo il paradosso.

Ma.

Tornare indietro e pretendere le richieste del verdetto andando contro l’accordo preso è un atto di forza che la logica non considera.
Sottolineo ancora il fatto che la corte dovrebbe dare ragione a Renzj; in quel caso Renzj vince la causa ma da imputato e non da avvocato; quindi Berlusconj non becca il becco di un quattrino!

Forse non ho scritto didatticamente bene!
Pazienza!
Accetto domande!

(mi basta un bicchiere di vino e mi addormento assai)


Ringrazio Elena Maria, esperta in legge, per il simpatico (e tecnico) scioglimento del paradosso.

Talaltro.

Buongiorno! Mi sono imbattuto nel Paradosso di Berlusconj riportato sulle vostre pagine, e mi sono divertito a ipotizzare una soluzione “giuridica”, con il sorriso sulle labbra…

L’accordo stretto tra Berlusconj e Renzj ai giorni nostri si definirebbe contratto condizionale (art. 1353 c.c.), perché l’esigibilità della prestazione da parte di Berlusconj (la somma dovuta dal suo allievo per le lezioni), sarebbe subordinata al verificarsi della condizione secondo cui Renzj intraprenda o meno la carriera forense, e vinca la sua prima causa. Non è pertanto in discussione il “se” Renzj debba dei soldi a Berlusconj, o il “quanto” denaro gli debba, bensì unicamente il “quando” glieli darà.

Tale condizione oggi si definirebbe “meramente potestativa”, giacché il suo verificarsi dipenderebbe unicamente dalla volontà di Renzj. La situazione, infatti, gli consentirebbe di far si che la condizione non si verifichi mai, per esempio scegliendo un’altra professione, il che lo lascerebbe pertanto libero da obblighi verso il suo maestro.

Ad evitare tale pericolo, il nostro codice civile (art. 1355 c.c.) sanziona con la nullità tale tipo di condizione, che si considera pertanto come non apposta, il che consentirebbe a Berlusconj di esigere immediatamente la prestazione dal suo allievo. Renzj pertanto perderebbe la causa. Apparentemente, la sentenza non porrebbe la parola fine circa l’interpretazione dell’accordo, ma andrebbe a costituire un elemento del medesimo, perché statuirebbe che la condizione non si è verificata (Renzj non ha vinto). Riempirebbe cioè di significato (negativo) la domanda, contenuta nel contratto, “si è verificato l’avvenimento previsto dalle parti?”. Avremmo cioè una sentenza che dice una cosa, e un contratto che dice il contrario proprio a seguito di quella sentenza.

Allorché in forza della sentenza Berlusconj richieda la prestazione a Renzj. E

gli tuttavia non potrebbe opporre l’eccezione relativa al mancato verificarsi della condizione “ho vinto la mia prima causa” contenuta nel contratto, proprio perché tale condizione è nulla per i motivi già visti. La sentenza agirebbe cioè “a monte” del verificarsi della condizione, rendendola nulla, e Berlusconj avrebbe via libera al soddisfacimento del proprio credito, indipendentemente dal fatto se Renzj abbia vinto o meno la sua prima causa… 🙂

Giancarlo

Civati, Il paradosso di Berlusconj
Giusephphe Civatj Non c’entra gran che ma c’avevo la foto.

Gino e la prima guerra mondiale, una storia di sangue e di …

Gino andò in guerra, come molti, come troppi, di li a poco avrebbero fatto.

Gino e la prima guerra mondiale.

Lui era li in trincea e la guerra, la Grande Guerra, sembrava non finire mai. Su, in montagna a difendere un lembo di terra, dura, pietrosa, ostile come può esserlo solo in montagna.

I giorni passavano, lenti, nella trincea, ogni tanto uno sparo, nostro o loro, nulla più.

Ah si, anche un colpo di mortaio, a volte; l’obice ti manda un saluto, un fischio leggero, man mano più forte.

A volte passa sopra a volte no.

Gino in trincea
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Italian_trench_WWI.jpg

E gli schizzi di sassi e terra e merda e sangue, fumo, polvere, polvere da sparo bruciata, carne bruciata.

Lui, chino su se stesso, per ripararsi non si sa come e da cosa.

Gino che piange, che beve, che ascolta, che ride che sogna, che dorme e si sveglia, e…, Gino,     Gino,                        Gino,                                      G i n o. No.

Oh no! C’è qualcuno, di là.

Si alza, lo vede, anche lui lo vede, Gino lo vede prendere la mira e sparare. E’ troppo tardi per scansarsi, per tornare giù, Gino è fottuto, lo sente. Ma il pensiero è veloce, più della pallottola, e calcola e misura e pensa: “Ecco ha fatto mezza strada”. (La pallottola N.D.A), “Altrettanta ne farà e sarò spacciato”. “Dove mi colpirà? Tra gli occhi, in bocca? No! Oh No!”.

E la pallottola continua ad andare. Va verso di lui veloce come il vento, ma non come la sua mente che pensa, ragiona, calcola: “Ancora un’altra metà della distanza”. Metà percorso è quanto gli restava da vivere, prima di morire. Quanto tempo? Ancora un po. La palla di piombo correva veloce, ma non riuscì che a fare ancora una metà del tragitto rimanente. E la sua mente, come un navigatore satellitare “ricalcolò”, ancora una volta, la metà di quanto rimaneva alla meta. Via via la palla rallentava, sinché si fermò, come sospesa in mezzo senza riuscire più ad imbucarsi nella zucca di Gino. Che ancora oggi, vivo e vegeto, dopo un’infinità di”ricalcoli” si chiede: “Quanto mancherà?” E manca sempre la metà della metà.

E cosi via.

Giancarlo