Mario

Mario Pterodattili

Mario

La vera storia di Mario Pterodattili.

Mario era nato in montagna, se possiamo dire Solata in montagna con i suoi 620 metri, circa, sul livello del mare. Faceva freddo a Solata, in inverno. Il camino era sempre acceso ed anche la stufa economica raramente si spegneva.

Ma Solata è circondata di boschi, la legna da ardere non è mai stata un problema lassù. Se non  per il taglio delle piante, l’accatastamento nel bosco ed il trasporto a casa.

Ma Mario era troppo giovane per occuparsene, lo facevano gli altri componenti della famiglia. A lui toccava di portare la brocca dell’acqua e di andare a riempirla al borro, quando finiva.

Il borro era il borro di Solata, un rigagnolo che scende piano piano, tuffo dopo tuffo, pozza piccola dopo pozza grande verso valle, verso Ristolli, per arrivare a Mercatale e, da li, scendere fino al Valdarno per gettarsi nell’Ambra, poco prima che questa si perda nell’Arno.

Mario era affascinato dal corso del borro.

L’acqua non scorreva sempre, ma dopo le piogge ripartiva e scendeva allegra verso il basso.

C’erano delle piccole grotte, buche in una parete, che avevano un soffitto, una volta naturale e che per questo chiamava grotte. Ma erano introflessioni nelle rocce o erosioni delle pareti grandi, al massimo, di mezzo metro cubo. Nicchie, bellissime, piene di licheni, a volte con qualche stalattite, piccola piccola. A volte con un laghetto interno, dove poteva ammirare gamberi e gamberetti o pesciolini.

Nelle pozze, sotto ai tuffi, c’erano trote o altri pesci. Il fondo brulicava di molluschi, animali con una piccola conchiglia addosso che si confondevano col fondo sassoso. Come le trote, del resto e tutta l’altra fauna del luogo.

Mario, ogni tanto, guardando il fondo per trovare i pesci vedeva pezzetti di pietra brillare, le raccoglieva e li conservava in un sacchetto. Li conservava per regalarli alla ragazza che avrebbe sposato, più avanti.

Il sacchetto fu l’unica cosa che trovarono di lui, giù al borro. Era ai bordi di una enorme buca, testimonianza dell’esplosione appena avvenuta.

Era Maggio del 1944.

Un aereo nemico, impegnato in uno dei frequenti bombardamenti del ponte ferroviario di Bucine, era stato colpito da una contraerea leggera posta alle Caselle, vicino a Tontenano.

Mario
Il Ponte di Bucine, il mulino e la rimessa

Il pilota, in difficoltà, avrebbe voluto virare ancora verso il ponte, ma l’aereo, diventato ingovernabile, puntava dritto alle colline. Alla fine, sorvolato San Leolino, decise di sganciare il carico.

Sul fondo, nel borro, Mario era corso verso una radura, con gli occhi al cielo per vedere l’aereo, il motore che stava  arrivando.

Il rumore era forte, l’aereo basso, il fischio fu breve.

Ceppoduro

 

Approfondimenti:

1:1944-mi-ricordo

2: Sfollati

 

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