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Gioiello (detto Joy)

Nascere poveri è brutto (*)

Gioiello, Joy come lo chiamavano gli amici, era nato povero, i suoi genitori erano contadini smessi, che nel ‘70 lasciarono il casolare per trasferirsi in paese, per trovare la felicità.

Contrariamente agli altri vicini, i suoi non avevano rubato niente al padrone della fattoria dove erano a mezzadria, ne gli rubarono qualcosa al momento di lasciare il podere, ne chiesero niente o fecero causa a lui o a chicchessia, come tanti a quel tempo.

Insomma da poveri contadini tristi divennero poveri operai, ma felici. Felici di poter garantire un avvenire al figlio.

Il padre che faceva il manovale in una ditta edile, la madre restò a casa ad accudire Gioiello. Allora non c’erano gli asili nido ne altre comodità odierne.

Comunque il babbo si ammazzò di lavoro per farlo crescere felice, che stesse meglio di lui, almeno.

Si ammazzò nel vero senso della parola quando, un giorno, cadde dal ponte che stava montando ed andò a battere la testa sulla betoniera, 7 o otto metri più sotto.

Gioiello di mamma

La mamma, disperata, superò a stento il dramma di quanto successo. Quando andò a servizio, la vita ricominciò a sorriderle. Riuscì anche a far studiare Joy, in modo che potesse trovar lavoro in banca ed essere felice.

Joy studiò sodo, voleva far contento la madre e poi voleva emergere, voleva lasciare quella condizione economica precaria.

Fu felice quando entrò in Banca, come cassiere, i soldi cominciarono ad arrivare e la miseria era ormai un ricordo.

Fu triste quando morì mamma ma la vita deve continuare come lo spettacolo.

Cominciò la sua carriera: tanti i cambi di ufficio, tanti quelli di mansione, tante automobili nel frattempo. Si sentì appagato e felice solo quando le fecero direttore generale, riuscendo a farsi una bella macchina, una casa grande in collina, una bella moglie giovane ed anche dei figli, che erano un amore: Belli ed intelligenti anche loro. Era finalmente felice, ricco e felice, non avrebbe desiderato altro, se non che anche i figli si sistemassero; in prospettiva, meglio di lui.

Ma un giorno, la mazzata. I figli erano stati arrestati per droga, non solo consumo ma anche spaccio. Droga pesante, di quella che si inietta.

Quando riuscì ad incontrarlo chiese al figlio maschio perché? E lui facendo spallucce “Oh babbo, per noia”.

Joy, Ohi.

A Joy crollò il mondo, sentì che nonostante tutti i soldi che aveva, e che aveva dato alla famiglia, che non aveva reso felice nessuno, nemmeno se stesso. Nepure conosceva i suoi figli, sua moglie, non aveva amici se non quelli interessati agli affari o che interessavano a lui per i suoi affari.

Non conosceva nessuno, veramente.

Non era nessuno, realmente.

Non era felice come non lo era nessuno intorno a lui, con lui.

Giancarlo

(*) Racconto basato sul paradosso di Easterlin.

Dodicesimo secolo

Bucine città murata

E’ arroccata su un piccolo colle e cinta da mura enormi. Bucine nel dodicesimo secolo ha solo tre porte per comunicare con l’esterno.

Inoltre sono porte doppie, tanto è ciclopico lo spessore delle mura.

Un ponte levatoio fa accedere alla porta da un lato e ne fa scendere dall’altro permettendo in questo modo di attraversare i due larghi e profondi fossati presenti da ambo i lati delle porte.

In poche parole per entrare a Bucine si doveva abbassare un ponte levatoio per superare il fossato esterno ed accedere alla porta esterna.

L’apertura della porta faceva alzare il ponte levatoio abbassato e quindi permetteva l’accesso alla porta successiva dopo l’attraversamento delle mura. L’apertura della successiva permetteva di calare l’altro ponte e superare il fosso interno ed entrare in paese.

Era una sicurezza contro eserciti invasori con avrebbero mai potuto entrare in massa.

Cerchie di mura interne permettevano un ulteriore difesa.

Ma le porte servivano anche ad altro.

Bucine, dodicesimo secolo

A quei tempi la pena capitale non era stata ancora abolita in Toscana, ma i reggenti di Bucine, illuminati anzitempo, offrivano sempre una chance di salvezza al condannato anziché ucciderlo.

L’uso era questo:

In pratica il condannato veniva esiliato, quindi doveva lasciare il paese, passando da una porta.

Vi ho detto che dentro le mura venivano allevati animali. Erano capre, maiali, buoi e cavalli; ma per quella occasione dietro una porta venivano celati dei leoni affamati, trattenuti in lunghe catene e solo il custode sapeva dove.

A quel punto il condannato doveva scegliere una porta di uscita ed oltrepassarne il ponte levatoio. Solo allora poteva chiedere aiuto ed il custode in risposta avrebbe aperto una delle due porte rimaste, una che lui sapeva custodire solo animali domestici. A quel punto al condannato veniva chiesto se volesse cambiare porta, e passare da quella delle due rimasta chiusa o preferisse mantenere la scelta iniziale e proseguire da li.

I più scaltri cambiavano idea ed in gran parte riuscivano a raggiungere l’esilio. I più fessi mantenevano la scelta e venivano in gran parte divorati dalle fiere affamate nascoste dietro la porta.

Morale della storia:

Cambiare da maggiori probabilità di successo (*).

Giancarlo

(*) Una storia di Bucine basata su un’elaborazione del paradosso delle tre carte.

A Levane, Levanesi organizzano viaggio nel tempo

Oggi siamo venuti a conoscenza, tramite alcune nostre fonti riservate, “Le fonti Leona”, ma non possiamo darvi altri dettagli, che a Levane, alcuni abitanti hanno fatto un viaggio nel tempo. Essi hanno viaggiato indietro nel tempo per cercare di risolvere il problema del sillogismo Levanesi – maialai, che da troppo tempo umilia il paese. Questa accusa di maialai poteva avere a che fare con le errate interpretazioni lessicali di un Americano e la colorita descrizione della locanda di Levane (una trip advisor user antelitteram) di una scrittrice Inglese.

Levane viaggio 1844

Nel 1844 passò da Levane anche il poeta statunitense Bayard Taylor che, nella sua relazione di viaggio, racconta: “ma Levane ci ha fatto dimenticare tutti i disagi della giornata. Era notte, nevicava, e davanti a un grosso falò, sedevano due o più contadini. È stato divertente perché quando uno di loro ha chiesto ad un altro di scambiare con noi qualche parola quello gli ha risposto “perché dovrei dirgli qualcosa?

Lui non fa il nostro lavoro” Poi il primo contadino è sparito improvvisamente e gli altri due mi hanno detto: “Noialtri siamo solo dei maialai e non le interesserà di certo parlare con noi”. Poi però la sua curiosità ha prevalso ed ha attaccato bottone: ne è nata una lunga chiacchierata. La cosa più buffa di tutte è che a loro rimaneva difficile da capire come è che ci fosse da attraversare tanta acqua, senza nessuna terra in mezzo, per arrivare nel nostro paese [gli USA] quando a loro basta passare l’Ambra o l’Arno per andare ovunque“.

Levane viaggio 1785

Mentre Miss Mary Barry nel suo diario di viaggio, annotava al giorno 25 maggio (Circa 1785): «Arrived at Levane; inn very bad, a tip, a pigsty». Insomma la locanda faceva schifo, un vero maialaio.

Fino ad oggi dai resoconti di questi due viaggi sembrava dovuta la fama di  maialai per tutti i Levanesi.

Levane viaggio 2016

Alcuni abitanti di Levane, guidati da un noto chitarrista rock locale, che chiamerò Marco, per non chiamarlo con il suo vero nome, hanno costruito un macchinario, trasformando amplificatori acustici collegati in serie tramite un “pipe” scritto in linguaggio “ADA”, a PC Portatili e Smart Phone Android di ultima generazione, capace, a suo dire, di percorrere un viaggio a ritroso nel tempo.

Il linguaggio di programmazione ADA è stato scelto perché porta questo nome in onore di ADA LOVELACE figlia di Lord BYRON (diciottesimo secolo).

L’intenzione della setta di Marco

L’intenzione della setta di Marco sembra fosse quella di viaggiare nel tempo per impedire che alcune asserzioni fossero pronunciate da dei contadini intorno al falò a Bayard Taylor durante l’inverno del 1844. In un secondo tempo potrebbero proseguire a ritroso nel tempo fino a pulire la locanda del paese, prima dell’arrivo della famosa scrittrice.

Sempre grazie al nostro “corvo” abbiamo la possibilità di raccontarvi come è andata.

Vediamo che cosa è successo a Levane.

Non conosciamo i dettagli della macchina ma abbiamo un pezzetto del codice ADA utilizzato per creare il Pipe Temporale che permette il viaggio nel tempo:

procedure ModMoodTaylor is
  Timelapse: array (Integer range 1844..2016) of Integer;
begin
  for Trip in Timelapse'Range loop
    Timelapse(Trip) := Trip;
  end loop;
end ModMoodTaylor;

Il viaggio a ritroso dicono si sia svolto

Il viaggio a ritroso dicono si sia svolto regolarmente, anche se la velocità del sistema lasciava a desiderare, forse per l’uso di PC con sistema operativo proprietario obsoleto, comunque il nostro Marco, che non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di diventare il primo temponauta Levanese, è arrivato a Levane nell’anno a nel giorno previsto, ha visto i falò e nonostante la neve alta e soffice gli impedisse di muoversi con agilità è riuscito ad arrivare quando la conversazione non era ancora iniziata.

Ha spiegato concitatamente alle persone presenti che non dovevano assolutamente raccontare all’americano di maialai, mai, altrimenti la maledizione li avrebbe colpiti inesorabilmente. Poi il loop informatico ha iniziato la modalità reverse per il rientro ai nostri giorni e lui è rapidamente sparito, come la neve intorno al falò, non prima di ascoltare i due dire all’americano: “Oh Bayard, il nostro amico, che era qui sinora, ci diceva qualcosa di noi, dei Maya, io lai, e della loro maledizione, ma noi, non se capito sai?”  “Non sappiamo che dobbiamo dirti ne perché dovresti ascoltarci”. “Don’t worry, voi Maya lay! I well understood”! Disse Taylor, poi Marco non era più lì.

Ora ci sembra che

Ora ci sembra che il fraintendimento ci fu e fu causato proprio da Marco e dal suo viaggio nel tempo, intrapreso per evitarlo. Insomma se non avessero costruito il congegno, forse noi avremmo palato mai e poi mai dei Levanesi come maialai. E lo stesso viaggio nel tempo non sarebbe stato necessario e possibile, il principio di autoconsistenza di Novikov sarebbe stato smentito ed il paradosso del nonno confermato.

Ma con i Levanesi non c’è nulla da fare

Ma con i Levanesi non c’è nulla da fare, vanno avanti tutta a capo basso, anche se si trovano di fronte un cavallo di Troia.

Da ultimo, ma non meno importante, voglio dire che i viaggi a ritroso nel tempo sono molto più facili di quello che la nostra ragione ci dice. Magari ne facciamo molti, nell’anno e non ce ne rendiamo conto assolutamente.

Per viaggiare nel tempo bastano due semplici condizioni, un cielo notturno sereno, meglio se con poco inquinamento luminoso, alzare gli occhi al cielo ad ammirar le stelle. Ed ecco che ci troviamo in mezzo ad eventi accaduti migliaia, milioni di anni fa. Viviamo momenti, seppur fugaci, che si sono conservati così a lungo per noi, per i nostri occhi solamente.

E, quando lo facciamo, non ce ne rendiamo assolutamente conto.

Bucine

time_spiral

PS: Sono amico di molti Levanesi e mi permetto di prendermi gioco di loro solo per fini ludici e divulgativi. Parlare di antinomie e paradossi portando ad esempio Levane e Levanesi è facile e troppo bello.

Ne abbiamo già parlato:

Qui,

e qui,

qui,

qui,

E qui,

Godeteveli.

destobesser.com

know.cf

Moore, i paradossi di Levane e dei Levanesi

Il paradosso di Moore

Something more about Moore paradox.

Marco abita a Levane.

Moore

Levane è una ridente cittadina in provincia di Arezzo, suddivisa tra i comuni di Montevarchi e Bucine vicina a Terranuova Bracciolini, Laterina e Pergine Valdarno.

Marco, qualche anno fa abitava nella parte di levane sotto giurisdizione del comune di Montevarchi, ma lui pensava di essere di Pergine, perché a Pergine aveva la residenza anagrafica, anche se stava a Levane in quel di Montevarchi con i genitori. Non posso dire se fosse veramente Montevarchino o Perginese so che non era di Bucine, non gli avrei mai dato del Bucinese, come userei per me, che sono nato e cresciuto a Bucine.

Ora

Ora è successo che Marco ha lasciato la residenza di Pergine e, non volendo rimanere in casa con i genitori, ha optato per comprarsi una casa. Non molto lontano da quella dei suoi cari. Una casa dignitosa che gli permette una certa autonomia, insomma che gli consente di vivere da solo. Se gli va di ospitare le ragazze può farlo. Se la relazione, con una di queste, divenisse più solida può permettergli di conviverci o di sposarla. Insomma è un posto suo, che gli consente di vivere la sua vita da adulto indipendente.

Il caso ha voluto che la nuova casa fosse ubicata nel comune di Bucine. Marco è diventato Bucinese.

Credo

Credo che Marco non si consideri ancora Bucinese, nato e cresciuto com’è nella parte Montevarchina di Levane. Oppure per essere stato tanto tempo residente a Pergine. Comunque non ci sarebbe niente di strano se lui, adesso, si dicesse Bucinese. Adesso, che vive a Bucine. Quindi è normale dire che: “Marco vive a Bucine e si sente Bucinese” e sarebbe altrettanto logico e normale asserire che: “Marco, che vive a Bucine, non si sente Bucinese”. Comunque vivendo a Bucine può ben dirsi Bucinese a tutti gli effetti, senza contraddizioni.

Ma io la penso in maniera diversa, forse paradossale: “Marco è Bucinese, ma io non ci credo”.

Giancarlo

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Abitanti, parliamo degli abitanti del valdarno.

Mentire

Quando

Quando è necessario mentire?

Non è una domanda frequente, tutti mentiamo, quando è necessario, senza pensarci su, senza domandarci perché. Ma vediamo quando mentire.

Intrecci di verità e menzogne Mentire

Molti mentono perché sono bugiardi, ed è loro natura mentire altrimenti sarebbero onesti. Per loro non è solo necessario, è anche logico mentire. A volte si arrampicano sugli specchi per seguire il filo delle loro menzogne e non sputtanarsi alla prossima affermazione od al prossimo avvenimento. Un bugiardo che dice la verità sarebbe un mezzo bugiardo, un bugiardino? Allora è vero che i farmaci, che hanno il bugiardino, fanno più male che bene? Ma senza farmaci come vivremmo? Meglio non pensarci.

Mentire per non morire.

La menzogna cambia le prospettive della realtà, la verità mente sulla realtà. Mentire L'albero della vita si fonda su verità o menzogne? Mentire Verità brilla in alto MentireSi dice che è necessario mentire a fin di bene. Ora questo fin di bene è discutibile: bene nostro o di colui/lei a cui mentiamo? Negare l’evidenza ci toglie dall’imbarazzo di dire quello che pensiamo, ma quello che pensiamo potrebbe non essere la verità, solo una nostra idea, una nostra visione del mondo. Ad una persona brutta non ci rivolgiamo con “Ehi, mostro…”, a volte neppure parlandone con un’altra persona ci riferiamo ai suoi attributi ancorché evidenti ed inconfutabili. La bellezza è soggettiva, se non piace a me non per questo non piace ad altri o almeno a tutti, quindi, in questo caso, non evitiamo di dire la verità, semplicemente, evitiamo di esprimere i nostri gusti e le nostre convinzioni.

A volte è bene mentire.

Sempre nel merito del “fin di bene” evitiamo di parlare apertamente dello stato di un malato terminale o comunque grave, a volte negando la malattia stessa, dando altre spiegazioni ai sintomi, ma sono solo palliativi per non affrontare la realtà e non parlare di argomenti che evidentemente ci sconvolgono. Però queste non possiamo chiamarle menzogne, evitiamo di riportare diagnosi di altri, che potrebbero anche derivare da analisi sbagliate e non essere corrette. Sono verità che non condividiamo, che non ci piacciono, riflettono sempre nostre opinioni, le nostre ossessioni e quindi dire la verità passa in secondo piano rispetto alle nostre convinzioni. Insomma non diciamo mezze verità o mezze menzogne, solo non ci esprimiamo sull’argomento.

A volte è assolutamente necessario mentire.

E’ assolutamente necessario mentire quando potremmo subire danni fisici, mentiremo senz’altro per evitare condanne e punizioni anche se salvando quella fisica perdiamo l’integrità morale. Mentire per salvarci significa ammettere di aver sbagliato e meritare la punizione. Allora è moralmente disdicevole mentire per evitare le conseguenze della verità ma nei punti precedenti non abbiamo mentito proprio per questo? Beh! Se il danno fisico, la punizione, non è meritato/a e mentire ci salva, perché non dovremmo farlo? Come possiamo determinare se le conseguenze da pagare sono giuste, meritate o immeritate?

Verità combatte menzogn Mentire

Mentiamo anche per evitare che gli altri ci controllino. La nostra vita sociale si basa sulle menzogne, le nostre conversazioni non riflettono quello che pensiamo ma quello che pensiamo pensino gli altri, o anche quello che pensiamo gli altri pensino che noi pensiamo. Anche se così facendo nessuno sa quello che pensa veramente il suo interlocutore, neppure noi, che mentiamo pensando di compiacere l’altro.

Logicamente.

Forse dovremmo sistematicamente applicare una negazione logica a tutte le affermazioni o negazioni dei nostri interlocutori ed avremmo un’idea, sempre imprecisa, ma più vicina alla realtà del pensiero degli altri. Ad esempio:

“Sono felice di vederti” –> “NON” sono felice di vederti.

“Non ti preoccupare, ci penso io” –> “NON” non ti preoccupare, “NON” ci penso io –> Preoccupati, che a me non me ne frega niente.

“Che bel bambino, tutto sua madre” –> Che brutto rospo, tutto sua madre.

“Ti amo” –> “NON” ti amo.

“Che testa di cazzo” –> Come lo invidio, vorrei essere come lui.

Va bene, credo di essermi spiegato, finiamola qui.

Ricordate: Dobbiamo assolutamente evitare le menzogne, e dire sempre e solo la verità, anche se è un vero peccato che non possa seguire il mio stesso consiglio; io sono bugiardo.

Giancarlo

Pane o pasta o patate.

Pane, pasta e patate

Vi voglio parlare di un avvenimento paradossale, che sembra  sia veramente accaduto, ma che se anche non lo fosse potrebbe, comunque, paradossalmente accadere. Riguarda cibi poveri come pane o pasta o patate.

Secondo teorie economiche ormai affermate il prezzo di beni, prodotti e servizi sale all’aumentare della richiesta. Di contro l’aumento del prezzo porta, inevitabilmente ad una diminuzione della richiesta. Molto chiaro, logico direi, potremmo giurarci; quando mai ad un aumento del prezzo segue un aumento dei consumi? Beh, in realtà, se le condizioni socio-economiche migliorano potremmo avere aumenti di prezzo ed aumenti di consumo. Ma in condizioni normali e comunque statiche no.

Pane o pasta o patate

Ed ecco che per i tre prodotti elencati nel titolo, prodotti poveri, di largo consumo nelle classi meno abbienti, in funzione dell’area geografica che andremo a considerare, la situazione paradossale di un aumento dei consumi a seguito di un aumento, meglio se molto consistente, dei prezzi può puntualmente verificarsi.

Si racconta che nel 1845 in Irlanda si verificò una grave carestia che fece aumentare di molto il prezzo delle patate, e non solo. Le famiglie povere, che già si nutrivano largamente di patate, non poterono comprare cibi migliori, come la carne. Rinunciandovi si videro costretti ad aumentare il consumo del cibo più economico, le patate appunto. Da qui il paradosso del maggior consumo nonostante l’aumento di prezzo.

pane o pasta o patatePiù o meno con le stesse parole si racconta di povera gente che, dopo un aumento dei prezzi sostanziale, poteva permettersi solo pane o pasta. Così facendo ne determinava l’aumento di consumo a seguito di un aumento del prezzo.

pane o pasta o patateSi è poi a lungo disquisito se queste storie fossero vere o meno. Argomentando, ad esempio, come la carestia dovrebbe aver ridotto notevolmente la produzione di patate che erano si aumentate di molto di prezzo, ma non erano state certamente prodotte in maggior quantità. Tanto da poter essere consumate maggiormente.

Quindi la “legge della domanda” di Marshall è salva e non c’è alcun paradosso.

Non sono tutti d’accordo, sembra infatti che si possa applicare una correzione, il paradosso di Giffen, che si applica ai beni poveri, detti “beni di Giffen”, che vedono paradossalmente aumentare la loro domanda all’innalzarsi del loro prezzo. Questo può succedere perché l’aumento di richiesta arriverà dalla parte più povera dei consumatori, che non possono permettersi altro. Mentre una larga fascia di popolazione ridurrà, ma non azzererà il consumo di carne, che non sarò compensata con patate. La minore richiesta da parte della popolazione più abbiente consentirà di far aumentare i consumi del ceto povero pur in condizioni di minor produzione a causa della carestia.

pane o pasta o patate pane o pasta o patate pane o pasta o patatepane o pasta o patateQuindi in area ristretta il paradosso può essere vero, ed un aumento del prezzo determinare un aumento dei consumi.

Per pane o pasta o patate, incredibile.

Giancarlo

Buio.

Buio

Stasera il cielo è buio e sereno, ma si vedono le stelle. Sono tante. Forse infinite. Sono belle, starei a guardarle per ore, ad ammirarle una ad una. La luna, solo la luna, a volte le oscura. Troppo luminosa, non si riesce a vedere dietro. Comunque il cielo di notte è nero, prevalentemente nero, le stelle si riesce a vederle tutte, se ne vedono poche, per quante ce ne siano.

buio

 

Il cielo notturno, porta dell’universo infinito si vede come nell’immagine qui accanto.

 

 

Ma dove sono le stelle, se sono infinite non ci dovrebbe essere porzione di cielo che non ne contenga, tantissimi puntini bianchi, da riempire tutto, tutto quanto uniformemente.

Il cielo notturno dovrebbe apparirci così:

luce

 

Magari all’inizio era buio ma ora si dovrebbe essersi riempito.

 

 

Stella dopo stella.

Giorno dopo giorno.

Per secoli, millenni…

220px-Olber's_Paradox_-_All_Points

 

Questa dovrebbe essere l’evoluzione del nostro cielo stellato, da buio buio a completamente luminoso.

 

 

Come può essere?

Come risolviamo l’enigma?

Il cosmo potrebbe essere limitato e dietro le stelle esserci uno spazio scuro.

Ma guardando il cielo in ogni direzione, a parte le diverse stelle diverse, tutto ci appare uguale, quindi, con questa ipotesi, ci posizioneremmo al centro del cosmo ed il geocentrismo è già stato superato, l’ipotesi non regge.

Allora, forse, nubi di polvere spaziale oscurano le stelle lontane?

Ma no, la polvere assorbirebbe le radiazione e diventerebbe incandescente a sua volta, brillando.

Oggi si pensa che,

come ha dimostrato Hubble, l’universo sia in espansione e quindi abbia avuto un origine nel passato. Siccome le stelle e le galassie ci sembrano allontanarsi  ad una velocità proporzionale alla loro distanza si allontaneranno fino ad un limite che corrisponde alla velocità della luce, oltre il quale non le vediamo più. Guardando lontano andremmo anche indietro nel tempo, fino alla nascita dell’universo. Universo visibile che ci apparirebbe limitato nello spazio e nel tempo. Per questo la luce non ci arriva da tutte le stelle, non le vediamo, ma ci arriva solo da una parte limitata e quindi è nero.

Per confutare l’idea di un cielo completamente luminoso basta comprendere che l’universo non è eterno, anche se fosse infinito nello spazio non lo sarebbe nel tempo, e l’ipotesi cadrebbe. Stelle abbastanza lontane da noi, che hanno superato la distanza che la luce può aver percorso dalla nascita dell’universo, dal famoso Big Bang, non riusciremo a vederle. La loro luce non ci arriverà mai.

Qualcuno,  il cosmologo statunitense Edward Robert Harrison, pensa che le stelle brillano da troppo poco tempo per riempire tutto l’Universo con la loro radiazione, ma come credergli?

Comunque la pensiate, basta affacciarsi fuori, in una notte chiara, per vedere che il cielo è buio, a parte le tante-poche stelle visibili che punteggiano la sua volta. Chissà se un cielo notturno completamente luminoso lo vedremo mai?

Giancarlo

Peter, andiamo a Firenze?

Peter, andiamo a Firenze?

Lo scorso Agosto eravamo in veranda a giocare a carte, Rosi, suo marito Peter, mia moglie Michela ed io.

Faceva caldo

Faceva caldo, in veranda come ovunque, avevamo appena finito di pranzare e, non sapendo che fare, avevamo iniziato una partita. E’ un bel gioco, si svolge su nove partite, ogni volta con regole diverse, si contano i punti e dopo la sesta partita si fanno le somme parziali, chi ne ha di più decide se le ultime tre mani si pagano semplici o doppie. Dopo queste tre si conta tutto, vince chi ha meno punti e guadagna la differenza con gli altri giocatori. E’ proprio ganzo, ma era estate, era caldo, si sudava anche a reggere le carte. La partita e l’umore languiva.

La Rosi fa: “Peter, andiamo a Firenze a prendere un caffè?”. “Mah”, fa lui, “Più vicino no! Eh?”. La Michela chiosa: “Ma si, è tanto che non torno a Firenze. Giancarlo, prendi la macchina?”. “Sarebbe meglio il treno, almeno si sta freschi, ma se poi non ha l’aria condizionata?… Meglio non rischiare, andiamo in auto”.

Ne avrei fatto volentieri a meno ma se l’idea piaceva a tutti, perché fare il bastian contrario, andiamo, divertiamoci.

Dopo una breve preparazione, si parte, giù verso il casello con il condizionatore a bomba, fuori il termometro segna 35°C, ma insomma.

Ci fermiamo in autostrada a far gasolio, nel frattempo le donne approfittano del bagno. “Noi no, noi non siamo mica sempre a pisciare, vero Peter? Poi il gasolio è fatto, ormai si riparte, si farà a Firenze.” Via di nuovo in pista “Ma, maledizione! Che succede? Proprio ora? Il condizionatore si deve essere sgasato, fatto sta che se fuori ce ne sono trentacinque, dentro butta aria a quaranta, almeno sembra.

A Firenze, finalmente

A Firenze, finalmente ci possiamo rinfrescare, ma solo se saltiamo in Arno da Ponte Vecchio, perché i bar son tutti chiusi, Oh, ma una volta, quando ci venivo da ragazzo non era così. Non c’è più nessuno che voglia lavorare, che abbia voglia di farlo. Meno male che qualche fontanella butta ancora. Se poi l’acqua sia potabile chi lo sa. Ma io la bevo lo stesso, meglio morto rinfrescato che vivo riarso. Bene a bagnarmi ci riesco, ma dissetarmi, no. L’acqua sarà a quarantacinque cinquanta, poco poco ti ci fai un ovetto alla coque, se c’avessi l’ovetto “fresco” per tentare l’esperimento.

Ed ora che ho bevuto vorrei tanto essere andato in bagno all’autogrill, che a Ponte Vecchio non la posso fare e nemmeno al porcellino, e di un locale col bagno nemmeno l’ombra.

Peter Ponte_Vecchio_Firenze

Peter 800px-Florencja_Il_Porcelino_RB“No!, Ragazzi, Un se ne po’ più. Che si torna a casa e si va a giocare a carte sotto la veranda? Son convinto che c’è più fresco. Poi una birretta in frigo si trova di sicuro.”

Decisione unanime.

Via a casa.

Di corsa.

Di corsa son parole grosse, si corre poco quando fori in autostrada. E meno male che la ruota di scorta è gonfia ed oltre al cric, c’è anche la chiave, che una volta m’è mancata e non vi dico come è andata. Si cambia la ruota, si tribola, si suda, ci si fa neri nelle mani, in faccia ed intorno alle tasche dei pantaloni, guardandomi le mani mi chiedo: “Ma mentre si guida che merda si respira?” Però, insomma, alla fine riparto, come uno sfollato rientrava al paese, immagino.

Peter 4879386-Jack-di-picche-di-carte-da-gioco-Archivio-FotograficoEccoci al tavolo della mia veranda, all’ombra, dietro una birra fresca, dopo una lunga doccia, distribuendo le carte la Michela chiede, come se lo stesse domandando a se stessa: “Ma che ci siamo andati a fare a Firenze? Non si poteva rimanere qui?”

Peter risponde per primo: “Come fai a dir di no alla tua bella mogliettina? Ho aderito subito.” Dico: “Mi sembrava una buona idea anche a me, li per li, quando ci ho pensato meglio non volevo fare l’asociale. Non ho opposto resistenza” E scarto un gobbo di picche. “Ma chi se l’aspettava?” Aggiunge la Rosi “Sembravate tutti annoiati, mi è venuto in mente di chiedervi di andare a Firenze, non è che mi interessava veramente.”

La Michela pelando una carta dal mazzo: “Bisogna imparare dai nostri sbagli. La prossima volta se ne discute bene prima e ognuno dice la sua, senza paura, senza timore di contrariare gli altri, vedrete che andrà meglio. Prenderemo decisioni più sagge.”

“Alla salute”

Disse qualcuno/a alzando il bicchiere di Weissbier, “Salute” risposero tutti trincando la birra fresca.

Eh si, ognuno, convinto erroneamente, delle preferenze degli altri, si è lasciato trasportare a prendere la decisione sbagliata, scegliendo quello che a nessuno piaceva veramente, senza nemmeno provare a sollevare obiezioni.

Meno male siamo andati solo a Firenze e non ad Abilene.

Giancarlo

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Metti una sera a cena, in Svizzera, a Lucerna

Sono andato in Svizzera per lavoro.

Metti una sera a cena

Metti una sera a cena Panorama-Luzern
Veduta di Lucerna col ponte in legno (Kapellbrücke), la Torre dell’Acqua (Wasserturm), la torre e il tetto del municipio. Due torri (Museggtürme) delle mura (Museggmauer) si sporgono sopra i tetti della città vecchia ed oltre la torre di controllo. Olliwalli da de.wikipedia.org

Mi sono fermato a Lucerna, ho visto il ponte di legno, ricostruito dopo l’incendio, ho cenato sul lago dei quattro Cantoni. Ho mangiato leggero, dopo un antipastino un piatto di verdure con uova sode, un piatto semplice, ma appetitoso. Solo che, anche se buono, non riempiva molto la pancia, e chi  mi conosce sa che pancia abbia. Ho chiesto del formaggio, per finire, e mi hanno portato del gruviera.

Metti una sera a cena Gruyère cheese. Photo by Dominik Hundhammer.
Gruyère cheese. Photo by Dominik Hundhammer.

Metti che una sera il formaggio coi buchi non ti riempia tanto.

Non ci crederete nemmeno con questo ho calmato il mio appetito, ecco perché.

Il cameriere, molto gentile, mi a servito un bel piatto con una grossa fetta di gruviera circondata di verdure fresche. Ho osservato la fetta, bella! Bellissima! Con tanti buchi, piccoli e rotondi, fitti fitti.

Ero li che miravo e rimiravo la mia porzione di formaggio che mi sono ricordato un proverbio cantonale sul gruviera:

“Più formaggio, più buchi”

No, no, mi sono detto vogliono fregarmi ed ho subito chiesto un pezzo con più buchi, mi sono raccomandato appellandomi alle specifiche del formaggio di servirmi una porzione di emmentaler, che ha buchi giganteschi nella sua forma.

Metti una sera a cena Emmentaler Switzerland PDO Cheese, image by myself (Dominik Hundhammer - User:Zerohund, 25. May 2004)
Emmentaler Switzerland PDO Cheese, image by myself (Dominik Hundhammer – User:Zerohund, 25. May 2004)

Devo ammettere che il cameriere è stato paziente e cortese e mi ha cambiato portata senza protestare. Solo dopo mi sono reso conto che forse avevo fatto un errore, infatti mi è venuta in mente la conseguenza del proverbio, ovvero:

“più buchi ci sono, meno formaggio c’è”.

Ho deciso di mangiare tacendo, ho pagato e sono andato in albergo  per coricarmi, solo che non ho dormito affatto, tutta la notte a rimuginare sul mio errore.

Infatti, se è vero che più formaggio ha più buchi è anche vero anche che più buchi lascian posto a meno formaggio,  allora sarà pur vero che più formaggio corrisponde a meno formaggio.

  • Più formaggio c’è, più buchi ci sono;
  • ovvero più buchi ci sono, meno formaggio c’è;
  • quindi più formaggio c’è, meno formaggio c’è.

Metti che chiedendo più formaggio ne ho ricevuto meno.

Accidenti ai sillogismi ed ai paradossi logici.

Giancarlo

Per saperne di più

 

Questo post contiene almeno un errore

Questo post contiene almeno un errore

Questo è quanto.

Se fossi riuscito a scrivere un post, quello che state leggendo, completamente corretto; quanto, falsamente, affermato nel titolo del post sarebbe stato vero, perché l’errore sarebbe insito nel titolo stesso, cioè l’affermazione falsa sarebbe vera.

Questo Levaggi
La scalinata di 3vi. Che illustra molto bene il concetto del falso prospettico che guarda il mondo reale. Bidimensionamento della trirealtà.

rene
Cielo a pecorelle pioggia a catinelle. Con riferimenti alla leggerezza dell’essere e la pesantezza del non essere.

Questo Magritte
Nella pasta e ceci va usata la pasta lunga, pasta lunga spezzata o pasta corta? Dilemma ad oggi tuttora irrisolto.

Escher Questo post contiene almeno un errore
Estrinseca l’intrinseco che è in te. Il paradosso delle palle in mano.

Per evitare ogni possibile confusione non c’è errore nel testo qui sopra e ciò potrebbe voler dire che l’errore è nell’affermazione “non c’è errore nel testo qui sopra”. Quindi non prendete per oro colato quanto scritto nei blog, a meno che l’errore non sia quest’ultimo consiglio che vi ho dato.

Il titolo del post evidenzia il paradosso dell’introduzione di David Makinson.

Mentre le immagini si riferiscono a paradossi di altro tipo.

Giancarlo

Un post paradossale già nel titolo, ma che di paradossale ha ben altro nel contenuto.

Se vi riuscisse di risolverlo sareste bravi a caso.

Nota a piè di pagina:

Questo è, invece, un post perfetto:

Questo post non contiene alcun errore

Questo è molto di più di quanto sopra.

Ecco la dimostrazione che si può, ed anch’io lo posso fare, scrivere un post , quello che state leggendo come nota a piè pagina, senza alcun errore, completamente corretto. Per questo quanto, giustamente, affermato nel titolo del post sarebbe è vero, perché privo d’errore già nel titolo stesso. L’affermazione del titolo sarebbe vera.

Ma se realmente fosse vero che non c’è errore nel testo qui sopra, che cosa l’ho scritto a fare tutto ‘sto robo?