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Gioiello (detto Joy)

Nascere poveri è brutto (*)

Gioiello, Joy come lo chiamavano gli amici, era nato povero, i suoi genitori erano contadini smessi, che nel ‘70 lasciarono il casolare per trasferirsi in paese, per trovare la felicità.

Contrariamente agli altri vicini, i suoi non avevano rubato niente al padrone della fattoria dove erano a mezzadria, ne gli rubarono qualcosa al momento di lasciare il podere, ne chiesero niente o fecero causa a lui o a chicchessia, come tanti a quel tempo.

Insomma da poveri contadini tristi divennero poveri operai, ma felici. Felici di poter garantire un avvenire al figlio.

Il padre che faceva il manovale in una ditta edile, la madre restò a casa ad accudire Gioiello. Allora non c’erano gli asili nido ne altre comodità odierne.

Comunque il babbo si ammazzò di lavoro per farlo crescere felice, che stesse meglio di lui, almeno.

Si ammazzò nel vero senso della parola quando, un giorno, cadde dal ponte che stava montando ed andò a battere la testa sulla betoniera, 7 o otto metri più sotto.

Gioiello di mamma

La mamma, disperata, superò a stento il dramma di quanto successo. Quando andò a servizio, la vita ricominciò a sorriderle. Riuscì anche a far studiare Joy, in modo che potesse trovar lavoro in banca ed essere felice.

Joy studiò sodo, voleva far contento la madre e poi voleva emergere, voleva lasciare quella condizione economica precaria.

Fu felice quando entrò in Banca, come cassiere, i soldi cominciarono ad arrivare e la miseria era ormai un ricordo.

Fu triste quando morì mamma ma la vita deve continuare come lo spettacolo.

Cominciò la sua carriera: tanti i cambi di ufficio, tanti quelli di mansione, tante automobili nel frattempo. Si sentì appagato e felice solo quando le fecero direttore generale, riuscendo a farsi una bella macchina, una casa grande in collina, una bella moglie giovane ed anche dei figli, che erano un amore: Belli ed intelligenti anche loro. Era finalmente felice, ricco e felice, non avrebbe desiderato altro, se non che anche i figli si sistemassero; in prospettiva, meglio di lui.

Ma un giorno, la mazzata. I figli erano stati arrestati per droga, non solo consumo ma anche spaccio. Droga pesante, di quella che si inietta.

Quando riuscì ad incontrarlo chiese al figlio maschio perché? E lui facendo spallucce “Oh babbo, per noia”.

Joy, Ohi.

A Joy crollò il mondo, sentì che nonostante tutti i soldi che aveva, e che aveva dato alla famiglia, che non aveva reso felice nessuno, nemmeno se stesso. Nepure conosceva i suoi figli, sua moglie, non aveva amici se non quelli interessati agli affari o che interessavano a lui per i suoi affari.

Non conosceva nessuno, veramente.

Non era nessuno, realmente.

Non era felice come non lo era nessuno intorno a lui, con lui.

Giancarlo

(*) Racconto basato sul paradosso di Easterlin.

Dodicesimo secolo

Bucine città murata

E’ arroccata su un piccolo colle e cinta da mura enormi. Bucine nel dodicesimo secolo ha solo tre porte per comunicare con l’esterno.

Inoltre sono porte doppie, tanto è ciclopico lo spessore delle mura.

Un ponte levatoio fa accedere alla porta da un lato e ne fa scendere dall’altro permettendo in questo modo di attraversare i due larghi e profondi fossati presenti da ambo i lati delle porte.

In poche parole per entrare a Bucine si doveva abbassare un ponte levatoio per superare il fossato esterno ed accedere alla porta esterna.

L’apertura della porta faceva alzare il ponte levatoio abbassato e quindi permetteva l’accesso alla porta successiva dopo l’attraversamento delle mura. L’apertura della successiva permetteva di calare l’altro ponte e superare il fosso interno ed entrare in paese.

Era una sicurezza contro eserciti invasori con avrebbero mai potuto entrare in massa.

Cerchie di mura interne permettevano un ulteriore difesa.

Ma le porte servivano anche ad altro.

Bucine, dodicesimo secolo

A quei tempi la pena capitale non era stata ancora abolita in Toscana, ma i reggenti di Bucine, illuminati anzitempo, offrivano sempre una chance di salvezza al condannato anziché ucciderlo.

L’uso era questo:

In pratica il condannato veniva esiliato, quindi doveva lasciare il paese, passando da una porta.

Vi ho detto che dentro le mura venivano allevati animali. Erano capre, maiali, buoi e cavalli; ma per quella occasione dietro una porta venivano celati dei leoni affamati, trattenuti in lunghe catene e solo il custode sapeva dove.

A quel punto il condannato doveva scegliere una porta di uscita ed oltrepassarne il ponte levatoio. Solo allora poteva chiedere aiuto ed il custode in risposta avrebbe aperto una delle due porte rimaste, una che lui sapeva custodire solo animali domestici. A quel punto al condannato veniva chiesto se volesse cambiare porta, e passare da quella delle due rimasta chiusa o preferisse mantenere la scelta iniziale e proseguire da li.

I più scaltri cambiavano idea ed in gran parte riuscivano a raggiungere l’esilio. I più fessi mantenevano la scelta e venivano in gran parte divorati dalle fiere affamate nascoste dietro la porta.

Morale della storia:

Cambiare da maggiori probabilità di successo (*).

Giancarlo

(*) Una storia di Bucine basata su un’elaborazione del paradosso delle tre carte.

Sono un matematico

Sono un matematico

Ma non perché lo faccia di professione, sono un matematico, perché voglio conoscere il mondo. Sono curioso.

Non è che abbia mai imparato molto, dalle mie curiosità, non sono nemmeno costante nell’applicarmi allo studio, lo faccio solo finché regge la curiosità, poi mi dimentico.

Ma non mi bastano le spiegazioni esoteriche ne quelle essoteriche sulle cose del mondo. Voglio capire, ci deve essere una spiegazione razionale. Dimostrabile.

sono un matematico
La Scuola di Atene. D.R.

Se la matematica è ritenuta la regina delle scienze, sono un matematico perché voglio essere re degli scienziati. Insomma gli strumenti offerti dalla matematica, per definire, calcolare e comprendere il mondo e le cose del mondo sono utili in tutte la attività umane, quindi voglio esserne padrone.

Pensate alla logica, i suoi strumenti ci permettono di capire, di decidere, senza affidarci ad altri.

La logica ci libera dalle catene della religione, della politica e di chiunque voglia sottometterci. Il pensiero logico e matematico ci libera.

Sono un matematico convinto.

In tal senso mi sento anche filosofo. Questi sbaglia più facilmente del matematico, ragionando sull’uomo e sul mondo, può divenire a conclusioni scorrette. Ma anche il filosofo ha il merito di ragionare con la propria testa, solo che gli strumenti che gli mette a disposizione la filosofia sono pochi. E allora deve usare quelli della matematica.

sono un matematico

Come ho già detto, deve usare la logica. Per non cadere nei tranelli del linguaggio, della grammatica delle relazioni interpersonali che possono mistificare la realtà. I numeri non ingannano. Le operazioni sui numeri, oltreché bellissime non permettono partigianerie, tutti possono controllare, verificare, confutare. Ma nessuno può riprenderti se sei nel giusto.

Se provassimo a confutare un pensiero teologico con una seconda teologia, di cosa staremmo parlando? D’aria fritta.

I numeri, e le operazioni tra loro, non sono mai ambigui.

Sono un matematico perché voglio conoscere il mondo, lo voglio capire e voglio capire la ragione della nostra vita breve.

Giancarlo

immagini

Di Pietro della Vecchia – http://www.gallerie-estensi.beniculturali.it/ricerca-nel-database-museale/id/35193, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66882041

Di Raffaello Sanzio – The Yorck Project (2002) 10.000 Meisterwerke der Malerei (DVD-ROM), distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH. ISBN: 3936122202., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=157721

Di Rodin (1840-1917)User:Hansjorn (Hans Andersen) – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=288180

Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=656166

Il sistema di numerazione Romano

Il sistema di numerazione Romano

Tra i tanti metodi di numerazione, il sistema di numerazione Romano merita qualche considerazione particolare.

Per prima cosa gli antichi Romani ce ne hanno lasciato ampia traccia nelle arti e nei mestieri, oltre che nella vita di tutti i giorni.

Naturalmente, come in tutti i sistemi, ci sono dei simboli che rappresentano i numeri, diversi da quelli che attualmente utilizziamo.

I simboli si sommano o si sottraggono a vicenda ed il numero rappresentato è il risultato di queste operazioni. Il sistema è quindi di tipo additivo/sottrattivo.

I simboli

Gli antichi Romani non avevano un simbolo per esprimere lo zero. Gli altri numeri espressi con un simbolo erano pochi:

I = 1

V = 5

X = 10

L = 50

C = 100

D = 500

M = 1000

Veramente pochi, sommando questi simboli non avrebbero potuto ottenere facilmente grandi numeri.

Sono dovuti ricorrere a trucchi.
Ad esempio, ponendo una linea sopra i simboli precedenti, ogni simbolo esprimeva un valore mille volte maggiore.

Centomila volte il valore si otteneva aggiungendo alla linea sopra, altre due linee ai bordi laterali del simbolo, mentre un milione di volte era espresso con una doppia linea sopra al simbolo numerico.

Come si enumera con questi simboli

Il sistema di numerazione romano

Ogni numero è rappresentato da una stringa di simboli che rispetta le seguenti regole:

in ogni numero romano solo i simboli I, X, C e M possono essere ripetuti consecutivamente al massimo tre volte (a parte qualche numerazione Etrusca dove l’uno è ripetuto fino a quattro volte), mentre i simboli V, L e D possono essere inseriti solo una volta.

In una stringa di simboli senza valori crescenti il numero viene espresso sommando i valori dei simboli presenti: II = 2, III = 3, VI = 6, XIII = 13, CCXVI = 216, DCLVII = 657, ML = 1500.

Se invece un simbolo è seguito da un secondo di valore maggiore questo si deve sottrarre al successivo: IV = 4, IX = 9, XL = 40, XC = 90, CD = 400, CM = 900.

Naturalmente, per i numeri superiori al nove, i simboli successivi alla coppia sottrattiva devono avere valore inferiore.

Si possono sottrarre solo i simboli I, X e C.

Qualora un numero possa esprimersi con stringhe differenti si preferisce utilizzare quella più concisa, che è più facile da leggere e calcolare.

Numeri

La prima decina di numeri è:

I, II, II, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X

Premettendo a questi il simbolo X si ottengono i successivi numeri da 11 a 20:

XI, XII, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVII, XIX, XX

Premettendo a questi un altro simbolo X si ottengono numeri da 21 a 30.

Ancora una X per ottenere dal 31 al 39, il quaranta non possiamo scriverlo con quattro X, quindi diviene XL.

Se a questo si fanno seguire i primi nove numeri della prima decina otteniamo da 41 a 49. Il cinquanta è L.

Naturalmente esistono anche le frazioni di numeri in numeri romani ma se volete potrete approfondirla da soli.

I calcoli con in numeri romani sono complessi e per questo si usava l’abaco.

La congettura di Goldbach

La congettura di Goldbach

La congettura di Goldbach non è stata ancora dimostrata, quindi non è mai diventata un teorema.

Goldbach stava studiando mezza matematica, nel senso che stava analizzando i numeri pari.

Non è cosa da poco, visto che sono sì la metà dei numeri naturali esistenti, ma sono pur sempre infiniti.

Verso la metà del diciottesimo secolo disse che tutti i numeri pari meno il primo (il due) si potevano scrivere (scomporre) come somma di due numeri primi, intendendo che il numero primo poteva anche essere ripetuto come nei primi due casi della lista che riporto qui sotto.

4=2+2

6=3+3

8=3+5

10=3+7

12=5+7

14=3+11

L’affermazione

è stata verificata negli anni per numeri sempre maggiori, fino ai giorni nostri in cui si è superato il traguardo dei duemila miliardi.

La congettura di Goldbach
In questa immagine sono rappresentati gli interi pari da 4 a 28 come somme di due numeri primi: anche gli interi corrispondono alle linee orizzontali. Per ogni primo, ci sono due linee oblique, una rossa e una blu. Le somme di due numeri primi sono le intersezioni di una linea rossa e una linea blu, contrassegnate da un cerchio. Quindi i cerchi su una determinata linea orizzontale danno tutte le partizioni del numero intero corrispondente nella somma di due numeri primi. Apri il file originale su: https://en.wikipedia.org/wiki/File:Goldbach_partitions_of_the_even_integers_from_4_to_50_rev4b.svg

Tanti ci hanno provato, ma ancora senza successo, a dimostrare la verità della congettura.

Meriteresti un premio per la congettura di Goldbach

Se riuscissi a dimostrare la congettura meriteresti un premio. In effetti un premio a chi la risolve è stato già promesso e mai riscosso.

E’ stato offerto all’inizio di questo millennio, con la pubblicazione di un libro che si intitola “Lo zio Petros e la congettura di Goldbach”, romanzo scritto da Apostolos Doxiadis. E’ un racconto interessante in cui questo Petros, per non fare iscrivere suo nipote alla facoltà di matematica ed indirizzarlo verso studi migliori, gli propone di tentare la soluzione del problema.

Se riuscirà dimostrerà di essere ferrato in matematica e potrà seguire i suoi desideri, altrimenti accontenterà lo zio e si iscriverà a Diritto per diventare giudice o avvocato, o magari un politico. Naturalmente, nonostante gli sforzi di tutta un’estate il ragazzo non riuscirà nell’intento e si avvierà ad altri studi.

Ma il premio per la congettura di Goldbach?

Le case editrici del libro (Bloomsbury USA negli stati uniti e Faber and Faber in Gran Bretagna) offrirono, per lancio pubblicitario del volume, un milione di dollari a chi avesse dimostrato la congettura. Si doveva farlo prima dell’uscita del libro in libreria, due anni dopo.

Il libro ha avuto grande successo ma il premio è rimasto in tasca all’editore.

Giancarlo

Immagine base di copertina:

By Christian Goldbach – http://www.mscs.dal.ca/~joerg/pic/g-letter.jpg, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1721422

I numeri di Fermat

I numeri di Fermat

I numeri di Fermat

Il grande matematico Pierre de Fermat ha dato molto alla matematica.

Molte delle sue intuizioni sono state poi confermate dal tempo, ma oggi voglio parlarvi di una congettura che è stata invece smentita.

I numeri di Fermat
By http://www-groups.dcs.st-and.ac.uk/~history/PictDisplay/Fermat.html, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36804

Fermat scoprì una relazione tra numeri che lo portò ad individuare una serie particolare che lui riteneva essere composta solo da numeri primi.

La forma è la seguente:

In effetti calcolando1 i primi cinque numeri si trovano solo numeri primi:

F0 = 3

F1 = 5

F2 = 17

F3 = 257

F4 = 65 537

Per F5 F6… ecc. era, a quel tempo, difficile controllare la primalità.

Solo Eulero, decine di anni dopo riuscì a dimostrare che il sesto numero di Fermat non era primo falsificando così la sua congettura.

Per ora, siamo alla fattorizzazione 15, non è stato trovato nessun altro numero di Fermat che sia primo.

Si ritiene che i numeri di Fermat primi siano in numero finito, forse solo i cinque da lui trovati.

Proprietà

Nonostante la smentita della congettura i numeri di Fermat hanno delle proprietà molto interessanti.

Sono tutti interi dispari, (perché al numero naturale, sempre pari per l’elevazione a potenza di due) si aggiunge uno).

Sono infiniti (perché al numero naturale si aggiunge sempre uno).

Poiché sono infiniti anche i numeri primi sono infiniti (ogni numero primo divide al massimo un numero di Fermat, quindi devono esistere infiniti primi).

A coppie sono coprimi (cioè numeri consecutivi che non hanno nessun divisore che divida entrambi, vedi congettura di Goldbach).

Nessun numero di Fermat può essere espresso come somma di due numeri primi (ad eccezione di F1=5=2+3 poiché, oltre il numero 2, tutti i primi sono tutti dispari e la somma di due dispari, due primi, da pari).

Sperando di aver stimolato in voi qualche curiosità.

Giancarlo

1Ricordo che qualunque numero elevato allo zero vale 1

Immagine di copertina tratta da:

By Anonymous, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71399865

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Medaglia Fields ad un Italiano

Questa volta è toccato a noi.

Medaglia Fields ad un Italiano, si chiama Alessio Figalli, ha studiato alla Normale di Pisa ma lavora all’estero.

Trovate tutte le informazioni nella sua pagina personale del politecnico di Zurigo, dove insegna.

Oppure trovate altre informazioni su di lui su wikipedia.

Ma non voglio parlarvi di lui, utilizzo questa notizia per parlarvi di noi, di noi Italiani.

La medaglia Fields è il maggiore riconoscimento pubblico scientifico con cui possa essere insignito un matematico. Si riceve da giovani, perché superati i 40 anni non viene più conferita, anche se , ammesso che sia possibile, qualcuno mostri eccellenti doti matematiche oltre quella età. Ed è già successo.

Solo ad un altro Italiano era riuscita l’impresa, Enrico Bombieri, anche lui aveva studiato a Pisa ed anche lui lavorava all’estero Institute for Advanced Study, US.

La fuga dei cervelli e la medaglia Fields

Medaglia Fields

Tutte le nostre menti migliori lavorano od insegnano all’estero.

Non riusciamo e non vogliamo trattenerli.

Non abbiamo niente da offrire ai nostri geni, ma anche a tutti gli altri giovani Italiani che vorrebbero lavorare, qui, ora, non offriamo niente. Tutti i posti sono presi, occupati, bloccati.
In pensione non andiamo più.

Morire non moriamo più.

Il ricambio generazionale non c’è più.

Se uno è bravo va a prendersi lavoro e medaglie all’estero, se è meno bravo muore di fame in casa.
Distraendosi, nel frattempo, sui socia col telefonino, a meno che non decida di fare il barman nella City.

Dovremmo cambiare atteggiamento

Pretendere che in Italia ci siano le condizioni per lavorare, per tutti, per i cervelloni e per gli zucconi.

Medaglia Fields
Cultura e Fatica, 1984 by Giancarlo Arrigucci Olio su tela

Ma le passate classi dirigenti, che tanto hanno detto e stra-detto contro i nuovi barbari, gli incompetenti al potere, dove erano quando il potere lo gestivano loro? Che competenze avevano?

Cosa hanno fatto per migliorare la situazione quando potevano, dovevano, farlo?

Hanno stilato il Jobs Act e la legge Fornero, creando posti di lavoro precari e malpagati.

Ponendo le basi per la fuga di capitali, economici ed umani, per la delocalizzazione economica ed intellettuale.

Creando cariatidi lavoranti e trentenni “mammoni” capaci solo di usare video lottery.

Come può, la piccola Svizzera dare impiego al Figalli e la grande Italia lasciarlo andare?

La “Politica” torni a far lavorare i nostri giovani in Italia, tutti.

Basta Alessio Figalli professore in Svizzera, basta Mario Rossi barista a Londra.

Giancarlo

 

Un numero sbagliato

Un numero sbagliato.

Ma può esistere un numero sbagliato?

Noooo! I numeri sono giusti per definizione. Se non fossero giusti non esisterebbero.

Uno più uno fa due, uno più due fa tre, tre più uno quattro e così via. Non c’è errore, non c’è inganno.

Ma possiamo anche contare in un altro modo, aggiungendo il numero precedente all’ultimo sommato, così: uno, uno (0+1), due (1+1), tre (1+2), cinque (2+3), otto (3+5) ecc. come fece Fibonacci.

A qualcun piace giocare con i quadrati: uno, quattro, nove, sedici, venticinque, trentasei, quarantanove e sessantaquattro come nel gioco degli scacchi.

Possiamo anche, solo, raddoppiare: uno, due, quattro, otto, sedici, trentadue, sessantaquattro, come i bit degli informatici.

E non scordiamoci i cubi: uno, otto, ventisette, sessantaquattro, centoventicinque e avanti fino a quando vogliamo.

Si, continuiamo finché si vuole. Si può fare perché meno male che i numeri sono infiniti e così le loro infinite combinazioni.

Come la lista dei numeri primi, quella seguente:

A una cifra

  • 2
  • 3
  • 5
  • 7

A due cifre

  • 11
  • 13
  • 17
  • 19
  • 23
  • 29
  • 31
  • 37
  • 41
  • 43
  • 47
  • 53
  • 59
  • 61
  • 67
  • 71
  • 73
  • 79
  • 83
  • 89
  • 97

Ora poiché di numeri ne esistono molti, possiamo anche classificarli, se ci fa comodo:

Allora ecco la lista dei numeri

 

  1. Naturali 
  2. Interi relativi 
  3. Razionali 
  4. Algebrici
  5. Reali 
  6. Complessi 

Possiamo notare che i numeri complessi sono compresi nei numeri reali. Mentre questi ultimi sono entro gli algebrici. Che compongono i razionali. I quali a loro volta si trovano negli interi relativi. Che, infine, sono nell’insieme dei numeri naturali. Insomma sono tutti connessi, strettamente connessi.

Una bellezza. E in tutta questa bellezza pensate seriamente che ci sia qualcosa di sbagliato?

No! Eppure “mi hai dato il numero sbagliato”.

Certo se nel tuo numero manca una cifra non torna più niente. Il numero, come dire, non funziona. Certo se la sequenza è completa ma il numero è abbinato ad un utente diverso da quello che cercavo, allora di certo il numero “è sbagliato”, almeno rispetto a chi volevo chiamare. E non riuscirò a parlarci.

Dai!

Un numero sbagliato

Ecco, l’unico numero sbagliato non poteva che essere un numero di telefono.

Giancarlo

 

Numeri perfetti

Numeri perfetti

Cosa esprime perfezione nei cosiddetti numeri perfetti?

Non è la bellezza estetica ma la perfezione ideale.

Un numero è perfetto se la somma dei suoi divisori rende il numero stesso.

Non è stato sempre così, per Speusippo, un filosofo Greco nipote di Platone, un numero perfetto diceva che per i Pitagorici 10 era il (solo) numero perfetto. Esso aveva un numero pari di numeri primi (2, 3, 5 e 7)e non primi (4, 6,8 e 9) nella sequenza da 1 al numero stesso.

I Pitagorici hanno poi allargato la loro idea di perfezione includendo i numeri amicali e quelli socievoli (Nicomaco).

I numeri con la somma dei divisori diversa dal numero stesso si definiscono abbondanti o difettivi.

Ma vediamo i numeri perfetti

Il primo è il 6.

I divisori di 6 sono 1, 2 e 3, sommandoli si ottiene ancora 6.

Il secondo perfetto è 28, i cui divisori sono 1, 2, 4, 7 e 14.

Il terzo non è così vicino ai primi due: 496: diviso da 1, 2, 4, 8, 16, 31, 62, 124 e 248.

La formula dei numeri perfetti è la seguente: 2n1∗(2n 1) dove (2n 1) è un numero primo di Mersenne.

6 si ottiene con la potenza di 2:

22-1 * (22-1) = 21 * (4-1) = 2*3=6.

Ogni numero perfetto pari è anche:

un numero triangolare

un numero esagonale

è anche un numero pratico.

Non si sa se i numeri perfetti continuino all’infinito né se esistono numeri perfetti dispari, però tutti i numeri perfetti pari terminano con un 6 oppure con un 8.

Infatti, da 2n-1 × (2n − 1) si ha che: 2n-1 è pari e termina per 2, 4, 8, 6;

(2n − 1) è dispari e termina per 3, 7, 5, 1.

La cifra finale ‘5’ va scartata perché sappiamo che (2n − 1) dev’essere primo, quindi le coppie che rimangono sono (2,3), (4,7) e (6,1), i cui prodotti danno le cifre 6 e 8 come finali di ogni numero perfetto pari.

Numeri perfetti

Giancarlo

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L’ultimo teorema di Fermat

Voi non immaginate nemmeno quanto sia bello il

Teorema di Fermat, anzi l’ultimo teorema di Fermat.

Sono sicuro che tutti voi ne avete sentito parlare, ma se ciò non fosse…

… quella sopra è una formula che, molto semplicemente, dice che la somma di due numeri corrisponde ad un altro numero. Però questo è vero per  n=1

ad esempio 1+2=3

Cioè si possono sommare due numeri interi qualunque ottenendo, sempre, un numero intero.

In certi casi è possibile ottenere una somma intera anche per n=2.

Come nel teorema di Pitagora. In un triangolo rettangolo la somma dei quadrati  è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa. Un esempio facile da capire senza calcoli complessi è quello di un triangolo rettangolo i cui cateti misurano: uno 3 e l’altro 4 unità, l’ipotenusa conseguentemente misurerà 5 unità. Quindi (3×3)+(4×4)=(5×5) –>(9)+(16)=(25) –> 25=25.

Pierre de Fermat affermò che non esistono soluzioni intere positive all’equazione:

se  .

Cioè non ci sono numeri

Cioè non ci sono numeri interi che risolvano questa equazione per esponenti maggiori di 2. Cubi, potenze di 4 ecc. Questa asserzione fu detta congettura di Fermat. Il quale affermò di poterla dimostrare nel 1637. Quando annotò nel margine di un libro: “Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina”. Dimostrazione che però poi non trascrisse da nessun’altra parte. E nessuno, seppur molti provassero, riuscì nel tentativo di dimostrare la veridicità della congettura. Qualcuno trovò dimostrazioni per l’esponente 3 (Eulero) o per l’esponente 5 (Legendre) ecc. Solo nel secolo scorso (1994) Wiles è riuscito a dimostrarlo per qualsiasi esponente, ma la dimostrazione è difficile, complicata e coinvolge conoscenza matematiche superiori. Tanto che la maggior parte dei matematici la mastica a malapena.

Non tenterò certo di spiegarla io, qui, ora.

Quello che vorrei farvi notare del teorema di Fermat

Quello che vorrei farvi notare, invece è come intuitivamente sia semplice capire che l’equazione non può essere vera per esponenti maggiori di 2.

L’esponente uno ci pone in un mondo unidimensionale per cui ad ogni unità posso aggiungerne altre e queste daranno sempre un numero intero di unità.

L’esponente 2 ci pone in un mondo bidimensionale, anche qui si possono sommare quadrati per ottenere altre figure bidimensionali, di queste ultime quelle quadrate saranno meno frequenti ma ce ne saranno.

la prima delle tante è

 

 

 

cioè 9 + 16 = 25

Teorema di Fermat+Teorema di Fermat

= Teorema di FermatOra, se adiamo avanti, l’esponente 3 ci porta in un mondo tridimensionale.

E’ intuitivo che in questo mondo la somma di due volumi, qualunque siano i loro valori unitari, non potrà mai dare un altro cubo uguale alla somma degli stessi. Cioè se si sommano le unità di volume in una direzione non ci saranno più unità da espandere nell’altra.

Teorema di Fermat

Teorema di FermatTeorema di Fermat

Se raddoppiamo il volume o lo aumentiamo di una unità nelle tre direzioni non otteniamo mai un cubo.

Teorema di FermatPer ottenere ancora un cubo dobbiamo raddoppiare i lati, ma il volume diviene di otto unità (una dietro non si vede).

e non si possono sommare due cubi ottenendo un altro cubo, è fisicamente impossibile. Se triplichiamo il lato il volume aumenta di 27 volte.

Teorema di Fermat

Assumiamo lo stesso andamento  per spazi superiori al tridimensionale, che però non posso rappresentarvi.

Ecco, in modo empirico, abbiamo risolto la congettura di Fermat. Che quindi è vera. Ma questa dimostrazione, seppur mi piaccia, non è matematicamente corretta o accettabile.

Sarebbe stato troppo bello, troppo facile. Dovrete studiarvi meglio la matematica se vorrete affrontare la dimostrazione ufficiale del teorema di fermat, dell’ultimo teorema.

In realtà per raddoppiare il cubo occorre ampliare i lati del cubo di circa 1,259921049894873164767210607… (sequenza A002580 dell’OEIS) che è il valore della radice cubica di 2.

Mi domando, comunque, come potrà mai, l’utilizzo di questo valore, dare un risultato intero nel raddoppio del cubo?

Giancarlo