Più volte riandando colla mente ai periodi epici, in cui i pionieri del libero pensiero dovettero far getto della loro vita per difendere od affermare una verità, arrivavo alla logica conclusione che il genere umano non si sarebbe potuto affrancare dai dogmi religiosi e politici, se prima non venivano abbattuti i simboli che davano ai dogmi veste e riconoscimento di potenza suprema, universale. (1)
Fatto
Una domenica ai Santi Apostoli, mentre la messa era già cominciata, il Santasillia vide entrare nella chiesa, già tutta piena di gente, una giovinetta bionda, aggraziata assai, in una vesticciuola di percallina bianca, a fiori azzurri, e seguita da una donna di età, linda, composta, che pareva essere qualche cosa meno di una istitutrice, qualche cosa più di una cameriera.
La fanciulla s’era fatta in viso di fuoco, vedendo che i devoti, raccolti nel silenzio della preghiera, volgevano il capo verso di lei, disturbati dalla sua venuta in ritardo. Essa, in fretta, voleva trovare un posto ove mettersi, ma i banchi erano tutti occupati. (2)
Fatto
Allontanarsi
era facile: ma le rise di quelle donne certo riempivano tutta la muta
campagna, perché come io discendeva giù per il sentiero, così
quelle mi seguivano, e mi pareva che dietro la bica le due procaci
sapessero di essere scoperte e pure non arrossissero; ma mi venivano
dietro con le loro risa, ed esse mi schernivano ed io ne aveva
vergogna. Io ne aveva vergogna, non esse, e pure la loro impurità
era bestiale ed orribile, orribile al punto che vinceva la ragione e
incuteva un vaneggiamento di precipitarvi, come a chi contempla gli
abissi.
E non v’era nessuna immagine o voce di purità e di virtù che si levasse al mio soccorso, io che le invocavo! (3)
Fatto
E
se due donnicciuole toscane favellassino, non favellarebbeno
altrimenti che si abbia favellato la Nanna, la Pippa, la Comare e la
Balia: e se la sua patria, madre degli ingegni, se Arezzo, già capo
di Toscana, fu inanzi a la città da cui si tolgono le leggi del
parlare, perché non gli è lecito usare la lingua del paese? Come si
sia, andate altero poiché il folgore di verità e di poesia fa
ombra, con l’ali de la sua fama, a lo esser vostro; e verrà tosto il
tempo che i guiderdoni aparecchiatigli dal Cielo e da la Fortuna vi
felicitaranno, onde poterete vivergli gloriosamente apresso. VALETE.
(4)
“Viene usata come dolcificante, in quanto è molto più dolce del comune saccarosio.
I principi attivi sono lo stevioside, e il rebaudioside A, che si trovano in tutte le parti della pianta ma sono più disponibili e concentrati nelle foglie. Foglie che quando sono seccate (disidratate), hanno un potere dolcificante (per effetto della miscela dei due componenti dolcificanti) da 150 a 250 volte il comune zucchero.
Contrariamente allo zucchero i principi attivi non hanno alcun potere nutrizionale (zero calorie), e sono relativamente stabili nel tempo e alle alte temperature. Per cui conservano perfettamente le loro caratteristiche anche in prodotti da forno o in bevande calde. Diversamente da altri dolcificanti di sintesi come l’aspartame, che subisce degradazione.”
Oggi la troviamo in bibite e merendine, cioè quegli alimenti molto criticati, causa di problemi di scorretta alimentazione nei bambini, che causano obesità, diabete eccetera.
Quindi non ci sono problemi, l’uso della stevia al posto dello zucchero raffinato o altri dolcificanti sintetici. Speriamo che sarà migliorativo, specie per la salute dei ragazzi.
La salute.
Speriamo perché in passato uno dei principi attivi della stevia era considerato genotossico, definizione superata dopo l’interessamento di multinazionali dell’alimentazione. Le quali, forse, non riuscivano a trovare niente meglio di zucchero, aspartame e via discorrendo, già compromessi agli occhi dei consumatori.
Comunque la definizione è superata. Speriamo anche lo siano anche i problemi sulla salute. D’altronde in alcuni paesi sudamericani la pianta è utilizzata da sempre, senza problemi. In alcuni di questi paesi sono pure soliti masticare foglie di coca da sempre.
Certo un dolcificante naturale a zero calorie alletta, alletta tanta gente. Basta non esagerare (principio del buon senso), l’acqua bevuta con moderazione non affoga nessuno.
E infatti, sempre da Wikipedia
“Esaminando tali dati provenienti dai Paesi che ne fanno uso corrente, anche da molto tempo, la FAO e l’OMS hanno stabilito una “dose massima giornaliera” di steviolo di 2 mg/kg peso corporeo. Questo limite, nello studio della FAO, presenta un fattore di sicurezza 200, ossia è 200 volte inferiore alle quantità che possono essere considerate “eccessive”, e quindi influenti negativamente sulla salute”.
Lo steviolo.
E’ chiaro che nessuno sa come si possa contare lo steviolo che assumiamo. Ne come possano farlo i ragazzi che presto se lo troveranno ovunque: bevande, merende, dolci, gomme, salse ecc. ecc.
Nessuno sa che l’eccesso fa male. Nessuno sa quale sia l’eccesso.
Come al solito si preferisce che a sperimentare siano le persone, ragazzi compresi, poi, se si scoprirà qualcosa che non va, si vedrà come rimediare.
Tra l’altro nelle confezioni di dolcificante in vendita, così come nel dolcificante a base di stevia acquistato dalle grandi industrie dolciarie e delle bibite, solo il principio attivo è a base di stevia di cui il 95% è steviolo, il resto non si sa bene che sia. Ovvero si tratta di eccipienti ed altri dolcificanti, che con altri composti ancora diluiscono il potere dolcificante. La presenza di questi componenti aggiuntivi comunque è molto chiacchierata.
Questo sembra dovuto al fatto che questi dolcificanti sono catalogati come additivi alimentari e non alimenti. Negli additivi è controllato solo il principio attivo, o almeno così pare sia per gli USA.
Io avrei preferito una maggiore attenzione, ma spero di sbagliarmi e che tutto fili liscio.
In the very olden time there lived a semi-barbaric king, whose ideas, though somewhat polished and sharpened by the progressiveness of distant Latin neighbours,were still large, florid, and untrammelled, as became the half of him which was barbaric. He was a man of exuberant fancy, and, withal, of an authority so irresistible that, at his will, he turned his varied fancies into facts. He was greatly given to self-communing, and, when he and himself agreed upon anything, the thing was done. When every member of his domestic and political systems moved smoothly in its appointed course, his nature was bland and genial; but, whenever there was a little hitch, and some of his orbs got out of their orbits, he was blander and more genial still, for nothing pleased him so much as to make the crooked straight and crush down uneven places.
Among the borrowed notions by which his barbarism had become semified was that of the public arena, in which, by exhibitions of manly and beastly valour, the minds of his subjects were refined and cultured.
Si, a Levane c’era un re, un re barbaro. Anzi semi-barbaro per l’influenza benevola e la vicinanza del re di Bucine. Con cui assieme a lungo combatterono la barbarie delle genti vicine.
Ma torniamo a levane, al suo re ed alle sue usanze.
Egli soleva risolver le questioni, anche i più banali conflitti, come quelli d’amore o d’interesse, semplicemente gettando il presunto reo nel mezzo dello stadio. L’arena Leona. L’arena era ben recintata ed aveva due sole uscite. Le porte, che non sono semplici porte come quelle da calcio, con la rete. Sono porte di ferro, dure come l’acciaio. Colui che era oggetto di giudizio aveva l’opportunità di salvarsi come di condannarsi, uscendo da una porta o dall’altra. Una lo salva l’altra lo manda in pasto alla fiera tigre Leona, simbolo cittadino e protettrice delle terme.
Quando diciamo che il re era mezzo barbaro non lo diciamo a offesa o per dileggio. E’ che era così. A parte un ridicolo Pantheon di Dei accroccati alla meglio, egli aveva credenze e superstizioni che, a quei tempi, lo facevano apparire strano agli occhi dei suoi sudditi. Ad esempio non riteneva opportuno che alcun uomo potesse decidere della vita di un altro. Men che meno che gliela potesse togliere, uccidendolo. Per questo ideò l’ingegnosa soluzione delle due porte nell’arena Leona. Il malcapitato si sarebbe ucciso da solo se reo dell’accusa oppure si sarebbe salvato se innocente. Se il destino, o i suoi Dei, lo avessero voluto salvare. E quando fosse uscito dalla porta giusta avrebbe ottenuto un premio, come risarcimento per l’ingiusta accusa.
Il premio era una “femmina”
Il premio era una “femmina”, di solito una dolce e bella fanciulla. Che sarebbe stata sua compagna e sposa per il resto della loro vita. Non importava se il liberato avesse già moglie, figli o altri gusti di coppia, quello era il premio e doveva accettarlo. Tutto il resto, tutto il passato, veniva cancellato come l’imputazione del reato.
Dobbiamo, però, notare come il re fosse avanti nel trattamento dei delitti e delle pene. Ma, forse per la crudele fine riservata a quelli divorati dalla tigre, era considerato mezzo barbaro. Ma certamente il restante mezzo appariva più buono e più moderno di quanto non fosse. Per questo si diceva anche che se il re fosse convinto della colpevolezza dell’imputato, questi anche salvandosi non si sarebbe salvato. Il presunto reo avrebbe ricevuto in dono una fanciulla speciale che gli avrebbe creato problemi ben peggiori della morte appena scampata. E questi “problemi” sarebbero durati per tutto il resto della sua vita. Comunque, l’omaggio non poteva essere rifiutato, pena ripetere la prova dell’arena, magari con tutt’altro esito.
Ecco, l’arena Leona poteva essere una trappola senza uscita. Si racconta che qualcuno, alla vista della fanciulla in dono, abbia voluto ripetere la prova sperando nella tigre ad attenderlo dietro la porta.
Ora vi voglio raccontare quello che accadde a un bucinese. Un mio antico concittadino, che a quei tempi era scapolo e si chiamava Luzio. Era il secondo ed il più scaltro di tre fratelli, di una famiglia molto povera di Bucine.
Il re di Levane aveva una figlia.
Il re di Levane aveva una figlia, che si chiamava Utopia, già in età da marito da qualche anno. Ma nessuno l’aveva ancora reclamata in moglie, si vociferava, per non imparentarsi con il re. Ma Utopia era in realtà bellissima, come il suo nome. Luzio l’aveva notata da tempo, anche se non era mai riuscito ad incontrarla prima.
Un giorno, aiutato con una scala, dal fratello minore Nario, irruppe nelle sue stanze. Al primo pano del palazzo del re dove ella viveva. Per rapirla e portarla con se. La vide come lei lo vide. Rimasero incantati a guardarsi per un po. Poi lui le si avvicinò e l’abbracciò appena. Ma subito le guardie arrivarono togliendogli l’Utopia senza che potesse portala con se per farla sua. Bloccato dagli sbirri del re, come ho detto, fu condotto al suo cospetto. Il re lo condannò alla prova dell’arena, entro trenta giorni, per aver abbracciato Utopia, senza il suo consenso.
Il re scelse la donna che sarebbe andata in dote a Luzio, se avesse scelto la porta giusta. La scelse non senza con una certa ripicca. Infatti non scelse la bella ma preferì la Bomba. Bomba era una ragazzona rotonda. Sembrava più un macchinista ferroviere che una rappresentante del gentil sesso. Proprio l’opposto di Utopia. Anche se le due erano amiche e cresciute insieme sin da piccole.
La bella! E la bestia?
Rivo, il fratello maggiore del nostro esuberante innamorato, cercò di far arrivare dei messaggi alla figlia del re. Messaggi con cui chiedeva aiuto per il fratello Luzio. Chiedeva che gli facesse sapere quale porta aprire, per salvarlo e non farlo finire in pasto alla tigre. Bastava un cenno e lui avrebbe capito.
La bella Utopia, in qualche modo riusci a scoprire il destino celato dietro ogni porta. Quale portasse Luzio alla morte certa e quale a Bomba. Ma per i giorni a seguire fu angosciata dai dubbi e le notti passarono insonni. Notti e giorni disperati, domandandosi se per Luzio fosse meglio la morte per la tigre o per la Bomba. Alla fine in un attimo decise, lei, Utopia, le sorti del mondo. E la sorte di Luzio, di Rivo ed anche quella di Nario, e di tutti i loro futuri compaesani, me compreso.
Fine della storia
Bene credo di avervi detto tutto e non voglio tediarvi oltre, vi lascio alle parole del grande Frank Richard Stockton per sapere come la bella Utopia fu decisiva: chi verrà fuori dalla porta donna o tigre? Quale sarà il destino di Rivo, Luzio e Nario, viver con Utopia o rassegnarsi alla Bomba?
Would it not be better for him to die at once, and go to wait for her in the blessed regions of semi-barbaric futurity?
And yet, that awful tiger, those shrieks, that blood!
Her decision had been indicated in an instant, but it had been made after days and nights of anguished deliberation. She had known she would be asked, she had decided what she would answer, and, without the slightest hesitation, she had moved her hand to the right.
The question of her decision is one not to be lightly considered, and it is not for me to presume to set myself up as the one person able to answer it. And so I leave it with all of you: Which came out of the opened door,–the lady, or the tiger?
Qui trovate la ricetta del Nocino Onicon in formato PDF: 11_Nocino_Onicon
Abbiamo preparato il famoso Nocino Onicon, si fa il giorno di San Giovanni, oggi 24 Giugno, e si beve il più tardi possibile.
Si beve con moderazione perché è maledettamente alcolico.
Se si beve non si guida.
Giancarlo
Nocino Onicon o Nocino?
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Origine e leggenda
Le origini del liquore sono incerte. Si sa che esistono versioni di liquore di noci in molti paesi europei, dall’Italia, agli Urali, all’Inghilterra. Documenti romani antichi riportano che i Picti, popolo dei Britanni, si radunavano “nella notte di mezza estate e bevevano “da uno stesso calice uno scuro liquore di noce”. Fonti successive riportano che tra i francesi era in uso un liqueur de brou de noix, o ratafià di mallo.
Il liquore fece il suo probabile ingresso in Italia dalla Francia, diffondendosi prima nella zona del Sassello e poi nel Modenese. Il noce mantenne sempre un alone di leggenda, legato alla presenza di streghe e incantesimi, che si trasmise alla preparazione del liquore. Infatti, per tradizione, le noci venivano raccolte nella notte di San Giovanni dalla donna più esperta nella preparazione che, salita sull’albero a piedi scalzi, staccava solo le noci migliori, servendosi delle sole mani e senza intaccarne la buccia.
Lasciate alla rugiada notturna per l’intera nottata, si mettevano in infusione il giorno dopo. La loro preparazione terminava la vigilia di Ognissanti, cioè la notte del 31 ottobre. La tradizione prescrive di non usare attrezzi di ferro per la raccolta dei frutti, in base alla credenza secondo cui quel metallo fosse in grado di compromettere le proprietà delle piante officinali. L’usanza è comunque molto antica e già i druidi la seguivano cogliendo il vischio con un falcetto d’oro.
2. Mi raccomando non guidate subito dopo, attendete di aver metabolizzato e smaltito l’alcool.
3. Il vino deve essere rosso e corposo, anche se non usate il Chianti.
Da bere
1. Acqua.
2. Chianti.
3. Fate voi.
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1. Per prima cosa preparare il fuoco e fare tanta brace.
2. Prendere le cipolle e seppellirle nella brace.
3. Dopo circa venti minuti sono cotte.
4. Toglietele dal fuoco e sbucciatele della parte fogliosa esterna bruciacchiata.
5. Raccogliete la parte interna in una ciotola ed aprite a spicchi (se preferite tagliate in quattro con il coltello).
6. Condite con olio, sale ed aceto.
Note
1. Mangiate calde sono buonissime, ma anche fredde non sono male.
2. Piatto completamente vegetariano, ma contorna bene la carne.
Da bere
1. Acqua in abbondanza, ma del pozzo o della fonte.
2. Vino, buono.
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1. Pane (Bianco, toscano (senza sale) meglio fresco ma anche di qualche giorno addietro non è male).
2. Pomodoro fresco maturo (meglio se del vostro orto o del vostro balcone, in alternativa comprato direttamente dal produttore, se la campagna è lontana ci sarà pure un anziano che fa l’orto sull’argine o dovunque vicino a voi, ecco andate li).
3. Olio extravergine di oliva (se avete soldi prendetene uno costoso, comunque anche se non avete molti soldi da spendere prendetelo sempre dal produttore e prendetelo sfuso, con la stessa cifra ne prendete di più e/o migliore).
1. Tagliate il pane a fette alte (La parte migliore è il corteccio tagliato a 5-6 cm).
2. Salate.
3. Dividete in due il pomodoro (in più parti se troppo grosso) e strofinatelo sopra il pane fino a che la polpa non sia tutta trasferita sulla fetta. La rimanente buccia se ha della polpa attaccata si distribuisce sopra la fetta altrimenti si scarta. Al corteccio va cavata la mollica: con il coltello si incide in profondità lungo la crosta, come a fare una barchetta, e poi si strofina il pomodoro e la polpa si accumula nella vaschetta centrale così realizzata. La mollica non va assolutamente buttata dato che da ultimo servirà da coperchio della vaschetta.
4. A questo punto si possono aggiungere alcuni degli ingredienti a piacere: Una passata di origano, la cipolla fresca tagliata a fettine fini, l’aglio tritato finemente, alcune gocce di aceto o di vino buono, pezzetti di acciuga lavata, di solito un tipo solo tra questi ingredienti, ma potete anche esagerare ed aggiungerne due alla volta.
5. Aggiungete olio.
6. Chiudete il corteccio con la mollica.
7. Lasciate riposare il tutto per 5 minuti e mangiate.
Note
1. E’ una merenda eccezionale per voi e per i vostri figli (il vino necessario si limita a poche gocce per ogni fetta e se non volete darlo a minori basta non aggiungerlo).
2. L’aggiunta di acciuga è di una raffinatezza particolare, purtroppo è sempre più difficile trovare acciughe buone.
3. Senza acciuga pane e pomodoro è una merenda vegetariana al 100%
Da bere
L’acqua sicuramente va bene, io bevo quella del pozzo, se non lo avete ci saranno delle fonti vicino a voi, andate li. Niente bibite gassate, per il resto basta che sia buono e non dobbiate guidare.
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2. Toglietele dalla pentola e pelate la buccia con il coltello. (Occhio bruciano da matti).
3. Rompetele sul tagliere con la forchetta trasformandole in pasta.
4. Impastatele con la farina, fino ad ottenere un impasto consistente.
5. Fate riposare l’impasto per un po.
6. Spolverate la spianatoia o il tavolo con la farina.
7. Prendete un pugno di impasto e arrotolatelo con i palmi uniti delle due mani fino ad ottenere uno spaghetto cilindrico di circa un centimetro di diametro.
8. Mettetelo in una parte della spianatoia inutilizzata e spolverata di molta farina.
9. Trasformate tutto l’impasto in questi cilindri.
10. Fateli riposare.
11. Mettetene 4 o 5 paralleli vicino al bordo della spianatoia e tagliateli a tocchetti (gnocchi) di circa un centimetro con il coltello a lama lunga. Allontanandoli ad ogni taglio dagli spaghi non tagliati.
12. Quando li avete tagliati tutti spolverate la spianatoia con farina e disponeteli diradati ad asciugare.
Note
1. Per cuocerli prendeteli senza farli attaccare e buttateli nell’acqua bollente.
2. Cuociono in 2-3 minuti. come vengono a galla sono cotti.
3. Conditeli a piacimento.
4. Se le patate sono del vostro orto o dei vostri vasi o ve le ha date un vicino che le ha coltivate così, non hanno prezzo.
Da bere
1. Anche qui acqua di rubinetto o di fonte.
2. Il vino suggeritelo voi.
3. Niente bevande gassate.
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(*) Va bene di grano duro o tenero, tipo “0” o “00”, a me piace quella di grano tenero.
2. Uova di gallina
Ferramenta
1. Matterello
2. Spianatoia o tavolo
3. Coltello a lama liscia lunga
4. Telo di cotone.
5. Essiccatoio (*)
(*)Per essiccatoio intendo un oggetto o un’area dove mettere distesa o appesa la pasta ad essiccare. Quindi deve essere adatto.
Preparazione
1. Versare la farina in una spianatoia.
2. Dare forma a vulcano e romperci dentro le uva.
3. Rompere tuorlo con albume con le dita ed impastare il tutto con le mani, aggiungendo farina se necessario.
4. Far riposare l’impasto in un telo umido per qualche tempo (dipende dal tempo che avete). L’impasto si uniforma e si perdono i grumi.
5. Spolverate la spianatoia di farina e prendere una palla di pasta da stendere, prima grossolanamente con le mani, poi con il matterello.
6. Se non sapete usare il matterello non potete fare la pasta all’uovo da voi a meno di utilizzare una macchinetta a mano o a motore od un robot da cucina, ma allora che gusto c’è?
7. Affinate la pasta con il matterello, arrotolandola su di esso ed allargandola con i palmi dalle mani.
8. Rigiratela più volte srotolandola e riarrotolandola in direzione a 90° rispetto a quella precedente.
9. Spolverate sempre con la farina.
10. Tirate la sfoglia più che potete.
11. Fatela riposare ed asciugare un po.
12. Spolveratela di farina.
13. Piegate un bordo al centro.
14. Ripetete l’operazione dalla parte opposta.
15. Avete due semicerchi che vanno a ricoprire (parzialmente) la sfoglia.
16. Ripiegate i nuovi bordi verso il centro.
17. Ora avete un budello schiacciato con quattro sfoglie sovrapposte.
18. Ripetete l’operazione per avere un salame più stretto e la sfoglia ad otto strati.
19. Fermatevi prima che le pieghe siano troppo strette.
20. Dovreste avere un doppio tubo, largo 5-10 cm, secondo la vostra abilità.
21. Tagliatelo a fette sul tagliere o sul tavolo con il coltello a lama lunga, aiutandovi con le nocche della mano con cui non tenete il coltello per la direzione e la distanza delle fette.
22. Quando ne avete affettate alcune infilate il coltello con la lama parallela al tavolo, centrale rispetto al doppio tubo e quindi sollevatelo dalla parte della costola, tra le due metà della fetta ed apritela facendo srotolare le strisce.
23. Secondo la distanza di taglio avrete fatto pappardelle, tagliatelle o tagliolini.
24. Riponetele, disponetele, appendetele nell’essiccatoio per far evaporare l’umidità e seccare la pasta.
25. Questa pasta si cuoce in qualche minuto (3-5) se fatta con grano tenero, più lentamente se fatta con farina di grano duro.
Note
1. E’ un lavoro impegnativo e faticoso ma vuoi mettere il gusto.
2. Si condisce con quello che volete.
3. Buon appetito.
Da bere
1. Che posso dirvi, io ci berrei un buon vino.
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Preparazione
1. Pulite tutte le verdure che avete (anche di più o anche di meno di quelle elencate).
2. Sbucciate quelle da sbucciare.
3. Tagliatele a tocchetti (belli grandi) quelle da tagliare.
4. Mettete abbastanza acqua in pentola (ma se risulterà insufficiente l’aggiungerete in qualsiasi momento).
5. Mettete le verdure più dure per prime.
6. Il pomodoro (maturo ma fresco) può essere aggiunto ora per far colorare meglio il brodo.
7. La cipolla migliore è la fresca con tutte le “fronze” (*) tagliate a tocchetti.
8. Aglio, abbondate.
9. Fate bollire.
10. Aggiungete le verdure più morbide.
11. Fate bollire fino a raggiungere la cottura e la quantità d’acqua desiderata ( a piacere).
12. Aggiungete sale.
13. Aggiungete Origano.
14. Aggiungete olio extravergine di oliva e togliete dal fuoco.
Note
1. Si può aggiungere del pane (arrostito) sul piatto, ma anche no.
2. Durante la cottura si può aggiungere della pasta, ma è più buono senza,
comunque sta a voi.
3. Se avete fatto dei tagliolini all’uovo con farina di grano tenero, mettetene
pochi perché ingolfano tutto.
4. Piatto vegetariano gustosissimo.
5. Se le verdure, se sono del vostro orto o dei vostri vasi, è ancora più
buono, se un vicino o un conoscente ve le offre dal suo orto, fate conto di
averle coltivate voi, ma offritegli una scodella di minestrone.
6. L’origano è la morte sua.
7. Alla fine grattateci del formaggio pecorino o parmigiano, ma se non vi
va non grattatecelo, è già buono così.
8. (*) Foglie verdi tubolari della cipolla fresca. Da bere
1. Acqua del rubinetto o di fonte.
2. Per il vino (buono mi raccomando) attendo suggerimenti da qualche
amico o da chi ne abbia voglia.
3. No bibite gassate.
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