Tutti gli articoli di Ceppoduro

Blu

Blu

Lo chiamavano Blu da tanto tempo. Da quando, ragazzetto, portava i jeans al posto di quelli di fustagno con la piega.

Lui non ci aveva mai fatto granché caso, ma se lo chiamavano, si girava automaticamente. Alla fine il suo soprannome gli piaceva, lo gasava sentirlo ne “Le mille bolle blu” di Mina o in “Volare” di Modugno, ormai era il suo nome ed anche lui si sentiva così, come un puffo. Buffo, un puffo aristocratico, con il sangue blu: “E chi, se non io”, diceva.

D’altronde” Il mondo è grigio, il mondo è blu”, come canta Battiato in Cuccurucucu, e lui il mondo lo preferiva di quel colore, decisamente.

Certamente non lo avrebbe voluto nero, perché “personalmente austero vesto in blu perché odio il nero.” da “via Paolo Fabbri 43” di F. Guccini. Non sarà stata la frase più significativa di quel disco meraviglioso dell’omonimo album, ma gli era sempre piaciuta.

Il mondo

A blu piaceva anche incontrare persone con nomi simili al suo, simili nel senso di nomi di colori.

Conobbe alcune Bianca, Rosa, Rosina, Rosetta.

Celeste lo affascinò tantissimo, anche perché era una bella ragazza, colta ed intelligente che giocava assieme a lui sui colori.

“Non farmi arrossire”.

“Sei bianco come un cencio”.

Ma non andarono avanti per molto, la vita li portò altrove l’uno dall’altra e finì tutto.

Poi conobbe lei.

Non credeva fosse vero, lei lo faceva sentire elettrico, oltremare, e quando parlava con lei si gonfiava come un pavone.

Credeva di amarla e si convinse a provarci.

“Ti amo” le disse, ma lei, dopo aver cercato di trattenerla, fece una risata, rise a lungo, poi seria:”

“Ma che dici? Scherzi? Dai?”

A lui prese una fifa blu, si rese conto che stava per perderla.

“Ma io ti amo… Azzurra”. Balbettò.

“Volevo essere il tuo principe azzurro”.

“Ma sei solo Blu, non credi anche tu?”

Ceppoduro

Perdonami

Soffro più di te

Perdonami. Perdonami, chiedo perdono per quello che ho fatto senza te.
Ma soffro ancora di più da quando non ci sei tu, da quando ci siamo lasciati e sei andata via.
Poi ho incontrato lei ed era bella. Era bella e intelligente, diceva le cose che dici tu.
Era bella, aveva gli stessi occhi che hai tu, tu che mi avevi abbandonato, senza sapere perché.


Quando ci siamo lasciati sono rimasto solo, perso nel ricordo del nostro amore ormai finito.

Ma poi

Quando mi sono ritrovato, ero tra le sue braccia che mi sembravano le tue.
Si! Mi devi perdonare. Ti chiedo perdono, perdono, perdono perché soffro ancora senza te.
Io soffro ancora più di te perché abbraccio lei e mi sembri tu.

E’ vero, sto con lei per far del male a te, ma il male l’ho fatto pure a me. Ho pianto tanto e quando piangi non sorridi più. Quando mi ha sorriso lei, lo ha fatto che sembravi tu.

Perdonami

Sai che ti sogno ancora? Finché, di notte, non mi sveglio e accendo un lumicino. Mi sembra il sole che non vedo più da quando non sei più con me.

È strano, ma da quando mi hai lasciato, il sole non mi scalda più.
Perdonami, io soffro più ancora senza te. Ho sbagliato a non cercarti, volevo farti male ma il male l’ho fatto più a me.

Di notte non riesco più a dormire, sono sempre li a pensare a quando ci siamo lasciati e non ricordo più il perché.

E’ vero, guardo lei ma mi sembri tu, ma il suo abbraccio ancora non mi scalda come mi scaldavi tu. Sono solo e abbandonato e soffro senza te.

Si, lei è bella ma perché negli occhi suoi ci vedo te.

Perdonami.

Perdonami amore se ora muoio per te.

Ceppoduro

(*) Liberamente ispirato a Perdono di Caterina Caselli

immagine di copertina: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4677256

Competizione

Uno contro tutti

La vita è competizione. Si lotta per il cibo, per la riproduzione, per vivere sin dagli albori del tempo, da quando sono apparse le prime strutture viventi, forse anche da prima.

La chiamano anche lotta per la sopravvivenza. Non è una cosa cattiva, è naturale, ma nel tempo e da tempo è cambiata.

All’inizio per lungo tempo, per tempi lunghissimi, è bastato poco, un po di nutrimento, che forse era anche abbondate e facile da reperire, non c’era riproduzione sessuata, quindi un organismo si bastava da se per riprodursi, come nella suddivisione cellulare. Non servivano ripari, ne ambienti particolari in cui vivere, tutto era semplice ma pur sempre competitivo.

Andando avanti la cosa si è complicata, nelle strutture, nelle relazioni tra esseri viventi aumentando la competizione. La complicazione ha portato anche alla evoluzione di comportamenti collaborativi. Organismi viventi si sono messi assieme con differenti competenze migliorando l’efficienza di entrambi vincendo la sfida globale. E’ il caso delle cellule: composte da diversi organismi divenuti organi della cellula stessa sviluppando funzioni specifiche con performance maggiori, mettendole in comune con quelle diverse degli altri.

Quindi la competizione ha portato anche allo sviluppo della collaborazione e della condivisione.

La competizione nella società moderna

Tra gli uomini non è diverso abbiamo concorrenza e collaborazione, quello che cambia è che oggi siamo tutti spinti verso la competizione esasperata e la non condivisione.

Fin da piccoli ci insegnano a primeggiare: a scuola, nello sport, sul lavoro, nel divertimento e nella ricreazione.

I voti a scuola, sono l’incentivo competitivo.

Non basterebbe che ci insegnassero a leggere, scrivere e far di conto? Magari anche a ragionare con la nostra testa, basandoci sulla nostra cultura (sulle nostre conoscenze) e non su quella di altri (gli opinionisti, gli influencer).

Non sarebbe sufficiente che potessimo lavorare per poter mangiare, bere e dormire? E non per comprare l’auto più bella, arredare sfarzosamente la casa, vestire alla moda e fare vacanze in paradisi tropicali fino al giorno prima incontaminati e sconosciuti.

Non sarebbe meglio investire i capitali generati dalle nostre società in istruzione, salute e miglioramento dell’ambiente in cui viviamo? Invece di buttarli in guerre, terrorismo ed inquinamento globale.

Competere per migliorare

Non sarebbe meglio stare tutti meglio?

Sarebbe meglio.

Ma ci vogliono competitivi, agguerriti, individualisti, così possono esserlo anche loro, giustificandolo col fatto che lo siamo tutti.

Così se resti indietro è colpa tua, non della società.

Che pena.

Ceppoduro

Di notte

E’ buio

A letto, di notte, vorrei dormire, ma non posso. Qualcosa mi rode dentro. Non riesco e distogliere la mente, vorrei cambiare pensiero, vorrei correre in una valle fiorita, in primavera. Scalzo. Anzi nudo.

Ma niente, non posso non pensarci.

E’ strano, non sono mai stato ansioso, mai prima d’ora. Ma cos’è questa se non ansia?

Dovrei immaginare il domani, un nuovo giorno bellissimo, con tutti i miei figli attorno a me, festanti per qualcosa, per un nonnulla. Ma non li vedo, non ci riesco. Che sia la luce della luna, che mi abbaglia?

No neppure con la testa sotto le lenzuola trovo pace.

Eppure sono stanco, ho guidato il camion tutto il giorno, macinando chilometri su chilometri. Chi ha fatto il camionista lo sa quanto sia duro guidare.

Di giorno la radio

Meno male che di giorno la radio mi accompagna con le sue canzoni, con le sue notizie.

Non che mi piacciano tutte le canzoni che passano, anzi… le più fanno pena.

Non che mi interessino tutti gli argomenti di attualità o di politica. Per come li raccontano poi ne farei volentieri a meno.

Ma la radio fa compagnia, ti evita di dover pensare, è quasi come avere qualcuno accanto.

Solo che di notte torno solo e non posso accendere la radio. Sveglierei mia moglie. Non posso neppure dirlo a lei, la sveglierei.

E continuo a non dormire.

Sono mesi che ci penso, ormai è un’ossessione, e con il buio non posso scacciare questi pensieri.

Dormo sempre meno, ma devo guidare sempre di più.

E’ un guaio.

Di notte è buio

E’ buio di notte.

Dovrei dormire.

Conto i chilometri fatti.

Penso ai miei figli.

Penso a mia moglie.

Forse se non penso a niente. Se libero la mente. Se mi lascio andare…

Driiiiin.

Accidenti sono le sei.

Mi devo alzare.

Ceppoduro

Mi chiedevo

Un giorno, diverso dagli altri

Mi chiesi se si potesse esprimere un concetto senza proferir parola. Mi chiedevo se un muto potesse parlare. E dire la verità, anzi rivelarla ad altri.

Lo stavo facendo, pensando tra me e me. Ne discutevo, parlavo a me stesso, senza che un altro fosse vicino a me. E stavo certamente percorrendo il sentiero che porta al vero. Ma se questo è vero, mi chiedo anche se si possa rispondere ad una domanda del genere con un si o un no. Forse potremmo farlo con un “ni”, ma ritengo sia meglio, più giusto e corretto farlo con un “noèèè”, strascicato.

Chi sa tace. Così, grazie a questo concetto posso illudermi di sapere dove andare. Davvero. Se ci pensate tacere sapendo è una bella cosa, in un mondo dove tutti fanno a gara a dire la loro. Anch’io saccente, nel “Blog di Bucine”, distribuisco pareri non richiesti, come se fossi esperto e sapessi tutto di tutto, anche sapendo di non sapere niente.

Mi chiedevo come fosse possibile

Un bravo asino si muove anche solo vedendo la frusta da lontano. Da buon apprendista, questo l’ho capito subito e mi sono adeguato. Mi muovo, cerco la nuova strada anche se non so dove andare, anche se non mi ricordo da dove vengo. Vedo la frusta lontana, vedo la sua ombra carezzarmi le natiche, ma non vedo chi la impugna, non c’è nessuno a guidarmi, mi devo arrangiare io. Solo io posso essere la mia guida, non seguire nessuno, guai a farsi portare da altri.

In questo modo si possono ottenere cose altrimenti impossibili.

Per camminare scalzi lungo lame taglienti o correre a perdifiato sopra laghi ghiacciati non serve seguire le orme di altri.

Devi andare sugli scogli e tenere le braccia alzate.

Segui solo la tua verità.

Ceppoduro

Basato su e liberamente interpretato da un kōan compilato nel XIII secolo.

In The Gateless Gate

Immagine di copertina di https://www.flickr.com/photos/lofa/

IO

Io sono Solo e Povero.

Mi chiamo Ceppoduro

Arriva un bel signore, si vede che può. Non ha i miei problemi per sbarcare il lunario lui.

Ho sete e non ho più una lira. Il barista non mi fa credito, non più, con tutto quello che gli devo.

Chissà se questo forestiero mi aiuterà, se vorrà aiutarmi. Sarà un tipo generoso ed altruista abbastanza da pagarmi da bere? Penso di si, in fondo non mi costa nulla provarci.

Mi aiuti amico

“Amico” esordisco dandomi coraggio, “sono Ceppoduro, sono solo a questo mondo, senza famiglia ne lavoro e sono assetato. Assetato come pochi ma povero, povero in canna. Il barista non vuole più servirmi, quella merda, con tutti i soldi che gli lascio, in cambio del suo vino acetoso; saresti cosi gentile da offrirmi da bere, te ne sarei immensamente grato”.

Lo straniero mi squadrò da cima a fondo, quasi divertito, poi mi chiese: “Ceppoduro, hai detto?” “Certo amico e crepo di sete” risposi.

“E’ strano” fece lui “qui servono un buon vino, l’ho assaggiato ieri sera, tu ne hai già bevuto tre calici e vorresti dire che fa schifo e che sei ancora assetato? Che le tue labbra sono ancora aride?”

Non avevo capito

Ma sentii uno al tavolo accanto commentare la cosa: “Ceppoduro ha alzato troppo il gomito e stavolta ha esagerato nelle richieste, quello ci vede bene, non si fa infinocchiare e lo manda a cagare”.

Il forestiero si rivolse a me con voce bassa ma con tono deciso: “Non penso di giudicarti male, lungi da me giudicarti, ma ho gli occhi per guardare e orecchi per sentire e mi pare che tu abbia bevuto troppo. Non pensi di aver bevuto troppo Ceppoduro?”

E continuò: “Però, nonostante tu sia l’uomo più povero di Bucine sei certamente anche quello più coraggioso. Non stai in piedi, per come sei ubriaco, e mi chiedi soldi per bere ancora come se io fossi ricco sfondato.

Ceppoduro

Basato su e liberamente interpretato da un kōan compilato nel XIII secolo.

Raccolto in The Gateless Gate

Un eroe

Di seguito il post di un tizio su FB

“Che cos’è un eroe?

Un eroe è colui che, per qualcuno, rappresenta un modello, un esempio da ammirare e da imitare. Può essere un amico, un genitore, un cantante, uno sportivo, uno scrittore, un insegnante… non importa. Non importa se non l’hai mai potuto conoscere di persona: un eroe te lo senti vicino dentro. Non importa nemmeno se lui non saprà mai chi sei: importa solo quello che ti dà, quello che ti spinge a fare nella tua di vita, quanto ti aiuta a credere che anche tu ce la puoi fare, nei tuoi progetti, nei tuoi obiettivi. È questo che fanno gli eroi: ti fanno sognare e credere che ne vale la pena. Grazie Caio per essere stato il suo eroe.”

Non importa chi sia l’eroe, nemmeno chi sia il tizio che ha scritto queste parole: io non mi sento tale.

Neppure mi piacciono gli eroi.

Capisco che molti abbiano bisogno di un modello, da imitare, ma non sopporto che non siano loro stessi a farsi modello, a dirsi come si devono comportare e perché.

Un eroe di me stesso

Eroe solo per me, questo voglio essere io. Sicuro che vorrei dare l’esempio, ai miei figli ed anche a tutto il mondo, se ci riesco.

Se ci riesco anche solo con i miei figli sarò già pienamente soddisfatto.

Ma un eroe, nel senso che dice il tizio, uno che si fa ammirare, non sarà mai uno che si comporta bene, sarà un ribelle, uno schizzato, un pazzo. Non avrà paura delle conseguenze delle sue parole e dei suoi gesti. Per (di)mostrare il suo eroismo metterà in pericolo tutto e tutti.

Che eroe

Poi se avrà successo, diremo: “come è stato bravo, lungimirante, innovativo… eroico”. Se fallirà pagheremo noi le conseguenze del suo ardire, della sua intemperanza della sua pazzia.

Non voglio eroi.

Voglio gente per bene.

Gente che sappia quel che fa, ne ponderi bene le conseguenze e se ne assuma tutte leresponsabilità.

Non si possono fare rivoluzioni per i rivoluzionari.

Le rivoluzioni si fanno per il popolo, ma tanto poi lui non capisce.

E’ sempre successo così.

Rassegnamoci.

Meglio un eroe in meno e qualche azione concreta in più.

Ceppoduro.

Casalingo

Nedo e Chiara

Nedo era un casalingo. Chiara l’aveva conosciuta una sera d’estate se ne era innamorato subito, perdutamente.

Lei era bella, elegante, istruita e intelligente. Poi aveva un sacco di soldi. Almeno a guardare come li spendeva, senza problemi, doveva averne veramente tanti.

Anche lui era bello, statuario, come siamo belli a vent’anni, ma di soldi meglio non parlarne, dopo la scuola dell’obbligo aveva trovato solo lavori saltuari, lavorando per tre mesi come postino, facendo un paio di stagioni a cogliere l’uva e poi le mele, poi cameriere in pizzeria, in un bar, baby sitter, aiutante giardiniere, tante volte a trapiantare le piantine nelle serre e così via, sempre contando in un pasto caldo a casa, dai genitori, con la mamma che ti acquista jeans e magliette e il babbo che ti riempie il serbatoio e ti da la macchina “bella” nel fine settimana.

Si. Per Nedo Chiara è stata un fulmine a ciel sereno, gli sembrava di aver toccato quel cielo con un dito. Era felice e felicemente innamorato. Poi si andava con la sua auto e pagava sempre lei, niente più bisogno dell’auto del padre o dei soldi.

Per Chiara Nedo non era solo il suo ragazzo, era la dimostrazione che lei, la secchiona, prima a scuola e poi al lavoro, ce l’aveva fatta su tutti i fronti. Era la realizzazione, la certificazione delle sue capacità del suo potere.

Lui faceva qualsiasi cosa lei volesse, ancorché assurda. Sapeste le volte che lo ha umiliato o fatto passare da stupido per la sua poca cultura. Ma lui niente, sembrava contento così.

Insomma erano fatti l’una per l’altro.

Si sposarono.

Tornarono a casa da lei.

Lei lavorava, lui faceva il casalingo.

Nedo faceva il Casalingo

Passavano le stagioni.

Lui teneva la casa, aspettando che tornasse la sera.

Lei a volte non tornava, a volte tornava, ma non cenava neppure, si cambiava e ripartiva, per tornare a tarda notte o la sera dopo.

Intanto passavano le stagioni.

Lei continuava a trascurarlo.

Lo sgridava.

Si incazzava.

Lui stava zitto.

Le stagioni continuavano a passare.

Nedo provò a ribellarsi, a dire qualcosa, ma lei gridava e lo prendeva a calci.

Lui disse basta, decise di andarsene, anche se non sapeva dove. Gli erano già morti entrambi i genitori.

Una sera andò via, gonfio di botte.

Uscì di casa e dormì alla stazione.

Il giorno dopo rientrò, non sapeva che fare.

Chiara questa volta si incazzò di brutto, anche lui si alterò, non voleva più subire in silenzio.

Chiara livida di rabbia per la sua ribellione, estrasse una pistola e gli sparò al petto. Un fiotto di sangue la raggiunse, era caldo, ma si ghiacciò subito, poi si sentì sporca.

Tutto era tutto rosso.

Chiara si appoggiò la pistola sotto il mento… poi tutto divenne nero.

Ceppoduro

Per esempio

Educare

I giovani, per esempio, che siano i propri figli o meno, vanno educati dando l’esempio.

Sono convinto che questo sia vero. Come sono convinto che i giovani seguano ed imitino gli adulti ed i padri.

Allora penso, e quando penso, mi rendo conto di tante cose che prima neppure pensavo.


Questo mi da ancor più da pensare e riesco di entrare in un circolo (vizioso) da cui è difficile uscire. Allora smetto di pensare e scrivo, così da fissare le poche idee (buone) che mi sono venute.

Se l’esempio è importante nella formazione dei giovani, se è importante in senso più generale, dovremmo sempre darlo buono. Anzi se riuscissimo in questo proposito il mondo dovrebbe essere perfetto. Ma il mondo non è il migliore possibile, ci sono tante cose che non vanno, quindi non diamo sempre, forse non lo diamo mai, un buon esempio.

Ma come? Come è possibile che non sia così? Chi non riesce a dare il buon esempio?

E’ difficile dirlo, ritengo che a domanda diretta tutti risponderemmo “io cerco sempre di dare il buon esempio, io cerco sempre di comportarmi bene”. Ma non lo facciamo, perché?

Per esempio

Ad esempio il presidente degli stati uniti d’America, la persona più influente al mondo, se si esclude il Papa.

Lui e tutti i presidenti USA prima di lui, quale esempio hanno dato?

Hanno sempre mostrato che mentire conviene, anche in America, negli Stati Uniti, un paese che è risaputo non tollera le menzogne, per esempio:

Secondo George H. W. Bush, 41° presidente degli stati uniti d’America, Saddam Hussein, leader e dittatore Iracheno, avrebbe avuto armi di distruzione di massa e le avrebbe impiegate contro la popolazione civile. Avrebbe anche sostenuto e foraggiato organizzazioni terroristiche internazionali.

Non era vero, ma Saddam Hussein è morto e gli USA dominano la regione.

Donald Trump ha chiesto al presidente Ucraino Volodymyr Zelens’kyj di indagare sul suo più forte concorrente Joe Biden ( e sul figlio Hunter Biden) per squalificarlo di fronte agli elettori delle ultime presidenziali USA.

Non era vero, Trump è stato eletto 46° presidente degli Stati Uniti d’America.

Ma se questo è l’esempio…

Ceppoduro

Dgecc (Jack)

Una mattina

Era una calda mattina autunnale e Dgecc si era svegliato bene quel giorno.

Sentiva l’aria pregna di buoni odori.

Ottima cosa, gli venne voglia fare una uscita fuori paese.

Bucine non era grande, neppure ai tempi di Dgecc, le auto erano poche ed incontrarne una ti faceva ancora girare la testa per guardare.

Ma quel giorno non girava un cane per Bucine e allora perché restare lì? Tanto valeva andare verso i Borrali o in cava. Ma i Borrali sono sempre stati troppo umidi e bui, meglio in cava, li si può sempre incontrare qualcuno, certamente.

La cava di Bucine

La cava era abbandonata da tempo, ma il laghetto rimasto al posto dello scavo è sempre stato un richiamo per animali e pescatori.

Dalla cava si estraevano sabbie e ciottoli, ammucchiatisi sulla sponda destra del famoso lago del Valdarno, presente fino al paliocene, o giù di li. Si chiamano “Terre di Bucine” e sono la formazione geologica più frequente nel sottosuolo. Si tratta di un agglomerato semi solido di ciottoli e sabbia trasportata dall’acqua erosa dalle attuali colline del Chianti e della Valdambra. La cava negli anni aveva estratto tanto materiale.

Ma Dgecc non lo sapeva

Non ne sapeva nulla, ne gli importava di saperlo. Sentiva solo che i profumi la, erano più intensi e lo inebriavano come fa il mosto dalle coloniche dei contadini.

In cava si incontravano spesso fagiani, quaglie ed anche starne che erano meravigliose quando, goffamente, volavano via impaurite.

C’erano anche delle lepri, ma non gli interessavano, non volano mica quelle.

Ecco era li, da solo perché non si vedeva nessun pescatore, strano nel laghetto c’erano carpe enormi e barbi e cavedani, che lo rendevano ambito.

Peccato che il padrone, un tizio vecchio e astioso, non volesse nessuno in giro, Forse non voleva che rubassero i pesci o spaventassero i fagiani, chissà.

Vecchiaccio maledetto

Fatto sta che il malefico, si era stufato di mandar via gente che entrava nonostante i cartelli. Come se tutti sapessero leggere i cartelli.

Il vecchiaccio sempre più esasperato dai furti e, forse, dall’età avanzata, aveva deciso di finirla.

Aveva messo delle trappole da orso, o da qualcosa di più grosso, e disseminato la zona di cartelli di avviso, di proibizione, di divieto assoluto.

Ma Dgecc se ne fregava cioè, Dgecc non sapeva mica leggere, per lui quei cartelli rossi con croci e teschi non significavano niente.

L’aria profumava e lui era felice così.

Alla fine finì proprio su una trappola, che di scatto lo morse alla gamba.

Se aveste visto l’espressione di sorpresa, di meraviglia… poi di paura… di dolore.

E giù sangue a fiotti.

Ritirò immediatamente la gamba, d’istinto, ma una parte gli rimase li, per terra.

Non sapeva che fare soffriva come un cane.

Beh! In fondo è normale, Dgecc era un cane.

Soffriva ma riuscì a tornare in paese. Qualcuno la vide e lo curò.

Da allora non lo chiamavano più per nome, il suo nome divenne “Tre gambe”, perché quelle gli erano rimaste e con quelle continuò ad andare.

Non tornò più in cava, neanche quando l’aria profumava tanto di quaglie e di fagiani.

Ceppoduro